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Economia

La Bce contro l'inflazione ma lo scudo anti spread non aiuta l'Italia

Rialzo deciso dei tassi (+0,50) per contrastare la crescita dei prezzi, ma sul meccanismo di difesa degli stati più deboli ci sono troppe incertezze. E i mercati non perdonano

La scelta della BCE di alzare i tassi di interesse di 0,50 punti contro lo 0,25 annunciato a giugno e atteso dai mercati, segna la fine dell’era dei tassi negativi e conferma che a Francoforte hanno oggi molta forza i falchi che chiedono misure immediate per fermare l’inflazione. Era dal luglio 2011 che l’Eurotower non interveniva con tanta decisione sull’andamento dei tassi di interesse. Un decennio in cui l’Europa ha dovuto affrontare prima gli effetti della grande crisi economica innescata dalla bolla dei mutui e poi le conseguenze della pandemia. L’aumento di 0,50, cui da settembre potrà quasi certamente fare seguito una nuova stagione di rialzi – lo ha scritto la stessa BCE nella nota di accompagnamento al provvedimento: "Nelle prossime riunioni del Consiglio direttivo sarà opportuna un'ulteriore normalizzazione dei tassi di interesse" -, è stato accompagnato dal varo dello scudo anti-spread chiamato TPI.

Una sorta di riequilibratore per provare a limitare gli effetti negativi, soprattutto sui paesi più fragili, dell’approccio di contrasto al galoppare dell’inflazione. TPI è l’acronimo di Transmission Protection Instrument e nasce allo scopo di “sostenere l’effettiva trasmissione della politica monetaria” intervenendo “di fronte a dinamiche di mercato disordinate e non giustificate, che possano porre serie minacce di trasmissione della politica monetaria”. Una protezione teoricamente non soggetta a restrizioni ex ante e la cui potenza di fuoco dipenderà dalla gravita dei rischi percepiti di squilibrio.

QUALI GARANZIE PER ATTIVARE LO SCUDO?

Basterà a calmare i mercati? La prima risposta pare negativa, con lo spread in crescita oltre il muro dei 230 punti. Del resto, Christine Lagarde e il board della BCE non hanno chiarito in maniera definitiva quali saranno garanzie e parametri per lo scudo: “L'attivazione del TPI a favore dell'Italia in questa specifica situazione di turbolenza sui mercati è interamente nella discrezionalità del Consiglio direttivo" ha spiegato, precisando che l'attivazione avviene "sulla base di criteri indicati molto specificamente" e "sulla base di una valutazione approfondita" della situazione nel paese beneficiario.

Un quadro discrezione che non pare l’ideale per contrastare le incertezze del momento storico. Non è un caso che, mentre Lagarde parlava a Francoforte, lo spread tra BTP e Bund tedeschi si allargava progressivamente a 237, massimo di una giornata di forti fibrillazioni.

STRETTA MONETARIA CONTRO L’INFLAZIONE

La BCE di Christine Lagarde ha deciso così di tentare una cura immediata per provare a riallineare l’inflazione dell’Eurozona al 2% alla fine dell’anno considerato il limite di tenuta della stabilità dei prezzi. Oggi la dinamica inflazionistica corre a velocità molto maggiori erodendo il valore dei risparmi e della moneta in circolazione, con forti ripercussioni sulla crescita economica e sulla capacità di consumo. Si tratta di una mossa dettata anche dal contesto economico generale, con la guerra ucraina che ha introdotto nello scenario un elemento di forte preoccupazione a partire dallo scorso febbraio e con la crisi energetica che sta spingendo al rialzo i costi di produzione e, contestualmente, i prezzi al consumo.

“L'economia dell'area euro sta rallentando" e in questo pesa la guerra lanciata dalla Russia contro l'Ucraina, ha detto Christine Lagarde spiegando la stretta: "Se le forniture dei prodotti energetici dalla Russia saranno interrotte così portare al razionamento per famiglie e imprese", allora il rischio concreto è quello di "un significativo rischio di rallentamento dell'economia". E sulla corsa senza freni dell’inflazione “è attesa restare fastidiosamente alta" anche oltre la fine del 2022, aggiungendo come causa il “deprezzamento" del tasso di cambio dell'euro.

RIALZO DEI TASSI, LE RICADUTE SUL DEBITO PUBBLICO

Il varo del TPI anti-spread (“avvenuto all’unanimità”) è la buona notizia che attendevano i paesi più deboli dal punto di vista economico e finanziario, compresa l’Italia. Il rialzo dei tassi e la prevedibile impennata dello spread, già innescata dalla crisi politica e dalla fine anticipata del Governo Draghi, avranno ricadute sui costi per finanziare il proprio debito. L’Italia e gli altri dovranno offrire ai mercati interessi più alti e la prospettiva di avere una rete di protezione contro la crescita incontrollata dello spread, seppure mediata dalla consapevolezza che i parametri per l’attivazione dello scudo saranno stringenti, schiarisce l’orizzonte.

Anche perché la stretta monetaria interviene contemporaneamente alla fine dell’era del Quantitative easing, il bazooka attivato per evitare il crollo dell’euro e grazie al quale i titoli di Stato sono rimasti al riparo dalla speculazione dei mercati sottraendo l’Italia al continuo rialzo dell’aumento degli interessi offerti agli investitori.

PRESTITI E MUTUI DIVENTANO PIU’ COSTOSI

Una ricaduta ci sarà nell’immediato anche per i privati cittadini. Con la fine dell’epoca dei tassi negativi, infatti, le banche dovranno pagare di più per comprare moneta e scaricheranno il costo su mutui, prestiti e finanziamenti. Una dinamica in realtà già registrata negli ultimi mesi perché la stretta di Francoforte era stata ampiamente annunciata e gli istituti di credito hanno rapidamente cominciato ad allinearsi alla nuova stagione.

Si salverà chi ha sottoscritto un tasso fisso, mentre per i variabili agganciati all’Euribor (che rappresentano la stragrande maggioranza dei mutui) i rincari rischiano di essere consistenti. L’Unione Consumatori ha già fatto una prima stima media: +41 euro a rata mensile e +492 all’anno. Ma si tratta solo di proiezioni perché in autunno la BCE ritoccherà ulteriormente i tassi di interesse. Per gli italiani c’è un’altra incognita legata allo spread se i mercati continueranno a considerare il nostro debito e le nostre prospettive ad alto rischio.

RAPPORTO CON IL DOLLARO E STIME SULLA CRESCITA

La stretta monetaria inciderà da subito anche nel rapporto tra euro e dollaro. Nelle ultime settimane le due divise si sono attestate intorno alla parità come non accadeva da anni, prodotto della politica molto aggressiva di rialzo dei tassi portata avanti dalla Federal Reserve. La decisione di alzare dello 0,50 quello dell’Eurozona risponde anche alla necessità di restituire forza all’euro, essendo l’Eurozona un ambito molto dipendente dall’importazione di materie prime ed energia. Troppo costoso restare con una moneta debole, pur favorendo questo le esportazioni e il turismo.

In generale un intervento così sensibile, con il preannuncio di nuovi rialzi in autunno in un momento di rallentamento dell’economia e con la prospettiva di tornare a rischiare la recessione, avrà come conseguenza la frenata della crescita e una diminuzione di consumi e investimenti. Lo scudo anti-spread dovrebbe evitare di creare un’Europa a più velocità, ammesso che esista la volontà politica di farlo.

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Giovanni Capuano