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(Getty Images)
Economia

Gli Usa, e tra poco l'Europa, alzano i tassi contro l'inflazione. È un bene o un male?

La mossa della Fed anticipa la contromossa della Bce. Nel tentativo di frenare l’inflazione il rischio è che il conto più alto lo pagheranno le famiglie

Ridurre occupazione e salari per contenere l’inflazione e raffreddare i prezzi. E’ questa la terapia d’urto che la Fed sta cercando di utilizzare per curare il paese e tentare di evitare lo spettro della recessione globale. E per farlo la Federal Open Market Committee (Fomc), - l'organismo della Federal Reserve responsabile della politica monetaria degli Stati Uniti - ha annunciato un aumento dei tassi d’interesse di 75 punti base al 3-3,25%, livello che non veniva raggiunto dal 2008. Secondo gli analisti l’aumento del costo del denaro Usa non si fermerà qui e nel giro di qualche mese si potrebbe bruciare il tetto del 4% arrivando al 4,50-4,75% nel secondo trimestre del 2023.

Il discorso del Presidente Federal Reserve Jerome Powell è stato draconiano: “Noi abbiamo tanto gli strumenti, quanto la determinazione che sarà necessaria a ricreare la stabilità dei prezzi per le famiglie e le imprese americane” ha detto fissando l’obiettivo di far tornare l’inflazione sotto il tetto del 2% e poi ha aggiunto: “Il ritmo degli aumenti dei tassi continuerà a dipendere dai dati. Il mio messaggio centrale non è cambiato per nulla dopo Jackson Hole. Ci vorrà un po’ di tempo per vedere gli effetti delle nostre azioni. Per ora ci sono solo prove modeste del raffreddamento del mercato del lavoro. Noi pensiamo che dovremo portare i tassi ad un livello restrittivo, e lasciarli là per un certo periodo”.

Senza mezzi termini ha poi chiosato: “Non diremo mai che ci sono troppe persone che lavorano, ma la questione vera è questa. La crescita nella spesa per i consumi ha rallentato rispetto all’anno scorso, in parte a causa di redditi più bassi, in parte per le condizioni più restrittive. Tassi di interesse più elevati appaiono pesare sugli investimenti aziendali fissi”.

E poi ha concluso: “Vorrei che ci fosse un modo indolore per fare tutto questo ma non c’è”.

Aumento tassi Usa, cosa succede ora in Europa

All’indomani dell’aumento del costo del denaro Usa l'euro che è scivolato a 0,9830 dollari. Wall Street ha virato in negativo e anche i listini Europei hanno chiuso la giornata in rosso.

E visto che un battito d’ali a Wall Street può scatenare un uragano in Europa la politica monetaria aggressiva avviata dalla Fed vedrà come controrisposta un’altrettanto decisa risposta da parte della BCE che potrebbe decidere di alzare nuovamente i tassi di interesse a breve. I trader ora scommettono che la Bce porterà il costo del denaro al 3% entro giugno, il doppio rispetto a quanto atteso a inizio mese. Lo scrive Bloomberg, citando i contratti swap legati alle prossime riunioni della banca centrale europea. Ciò porta l’importo implicito dell’inasprimento cumulativo a 225 punti base.

Del resto le banche mondiali sono concordi nel ritenere che frenare l’inflazione sia la sfida primaria anche a costo di contrarre la crescita.

Parola d’ordine: frenare l’inflazione

Sia in Europa sia negli Usa l’aumento del costo del denaro causerà un forte rallentamento della crescita economica, peraltro già fortemente incrinata del boom dei costi delle materie prime, dalle incertezze geo-politiche e dalle strozzature nella catena degli approvvigionamenti.

A catena le due sponde dell’atlantico faranno i conti con instabilità dei mercati finanziari; deterioramento del mercato del lavoro, e soprattutto recessione.

Diminuisce il potere d’acquisto delle famiglie

Il primo e più immediato effetto sarà quello della diminuzione dei prestiti a famiglie e imprese e della crescita della rata di chi ha scelto il mutuo a tasso variabile. Adirittura si potrebbe assistere a un aumento degli importi mensili vicino al 40%. Più certezze per coloro che hanno scelto quelli fissi, che però viaggiano intorno ai 3 punti percentuali di interesse.

L’innalzamento dei tassi di interesse è, comunque, spesso interpretato come un segnale di fiducia nell'economia perché implica una contrazione precedente a una nuova crescita. Il rischio è, però, quello che si gonfi una bolla finanziaria che invece provochi recessione.

C’è poi il sopracitato effetto sulla ricchezza della popolazione: aumentano di valore i depositi e i fondi patrimoniali, ma diminuisce il potere d’acquisto delle famiglie con la riduzione anche della possibilità di chiedere denaro in prestito alle banche.

L’euro debole, però, favorisce l’export e il turismo in quanto valute forti sono attratte da mercati più deboli. D’altro canto ci mette in difficoltà con l’import e il mercato europeo sarà chiamato a comprare prodotti da paesi dove gli oggetti da importare – soprattutto hi-tech costano meno (come la Cina).

Adesso resta da vedere se il gioco d’azzardo delle banche centrali porterà ai risultati sperati (controllo dell’inflazione e ripresa economica dopo il 2025) oppure ci condurrà verso la recessione.

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Barbara Massaro