Mps e Londra, cuore dello scandalo
Economia

Mps e Londra, cuore dello scandalo

Altro che isole Cayman. Ecco i tre motivi per cui la City resta il paradiso fiscale più facile da raggiungere

Tra la fermata della metropolitana di Aldgate e quella di Liverpool Street ci sono 800 metri, lungo i quali ogni giorno si bevono poco meno di due milioni di caffè. Tra l’ultima tazzina cartonata e la sponda Nord del Tamigi si incontrano in rapida successione tutti i simboli, buoni e meno buoni, della piazza economica londinese: l’austera facciata della Bank of England, dove ti immagini asserragliati anziani burocrati con parruccone d’ordinanza e invece scopri che l’età media degli impiegati supera a stento i quarant’anni; il ponte dei Frati neri, palcoscenico di morte di Roberto Calvi che qui latitava dopo il crac del Nuovo banco ambrosiano, un fallimento che confrontato con gli scandali dell’oggi mostra le fattezze di un porcellino rotto; Lombard street, che accoglie filiali bancarie da tutto il mondo emerso; la Tower 42, sede dei Lloyd’s e fino al 1990 grattacielo più alto del Regno (ma la targa non l’hanno ancora tolta dall’atrio); e naturalmente il London Stock Exchange, la borsa valori, colonne imponenti da avamposto dell’impero, ieri coloniale, oggi finanziario. Una passeggiata sul lungofiume rimesso a nuovo per le Olimpiadi dello scorso anno e sulla sinistra si scorge Trinity square, con i suoi palazzi zeppi di domiciliazioni fiduciarie. A un tiro di schioppo, il tribunale e la Fsa, equivalente britannico della Consob. Mondi che si scrutano ma quasi mai si scontrano.

Fermatevi, unite su una cartina i vostri percorsi e avrete sott’occhio una specie di trapezio. Un miglio quadrato. Anzi, per dirla con Guglielmo il conquistatore (o Winston Churchill, o un abitante qualsiasi della capitale), «il» miglio quadrato. La City.

Un fazzoletto di metropoli dove si concentrano il 50% delle transazioni finanziarie europee, il 47% delle società di comodo domiciliate presso la Ue e, cosa ancora più curiosa per un Paese arroccato a difesa della sua sterlina, il 70% delle emissioni obbligazionarie in euro. Un fazzoletto di metropoli dove, come in tutte le piazze che muovono simili quantità di denaro, lo sviluppo impetuoso in salsa turbocapitalista ha favorito la crescita – e in tempi più recenti, attenuato di molto gli effetti della crisi rispetto al Continente – ma anche il sorgere di zone grigie sempre più ampie.

Non è un caso se quasi tutte le indagini finanziarie più eclatanti degli ultimi anni prima o poi, applicando il vecchio motto follow the money, abbiano trovato appigli all’interno della City.
Non è un caso, dunque, nemmeno se la piazza finanziaria londinese ha un ruolo anche nell’affaire Monte dei Paschi. Da qui, in uno spartano ufficio di King William Street, secondo le accuse formulate dalla procura senese agivano i membri della «banda del 5 per cento ». Vero? Falso? Sarà l’iter processuale a dircelo. Anche perché nel miglio quadrato della City, da sempre, certe domande non trovano soddisfazione.

La collaborazione con le autorità straniere di ogni ordine e grado, da queste parti, è formale e cortese ma mai subalterna o automatica. Come in Svizzera. E le analogie con il paradiso fiscale a noi più noto e prossimo non si fermano qui. Ecco cosa si legge nel prospetto informativo di una delle decine di società di consulenza angloitaliane specializzate in fiscal facilitation (magnifico eufemismo): «Londra permette di usufruire stabilmente di benefici molto ampi ai fini fiscali. I vantaggi che offre aprire una società a Londra rispetto all'italia sono numerosi tra cui i costi iniziali, in alcuni casi limitati a 75 sterline (meno di 100 euro, ndr). Anche aggiungendo i costi di mediazione, la costituzione di una equivalente Srl inglese (Ltd) può costare una frazione rispetto al caso italiano. Non ci sono costi notarili. Di solito è pronta entro 3 giorni e può essere costituita a distanza essendo sufficiente in loco la presenza di un socio, anche non in conto capitale». Prestanome poteva in effetti suonare poco british.

Ma i veri vantaggi, che nessun opuscolo può rendere al meglio, sono di altra natura e sono almeno tre.
Il primo è la tassazione più vantaggiosa sulle transazioni sia commerciali che finanziarie, ulteriormente abbassata, anzi quasi annullata, in caso di residenza prevalente.

Il secondo è la reciprocità fiscale con gli altri membri del Commonwealth, che facilita i trasferimenti di valuta e titoli verso numerosi Stati tra i quali compaiono alcune delle mete offshore più note: Saint Lucia, Isole Vergini, Cayman, isola di Man.

L’ultimo vantaggio, invece, è di carattere squisitamente geopolitico. Londra, esterna all’Eurozona ma membro effettivo dell’Unione, può muoversi in totale autonomia perché priva di controlli esterni sul suo operato da parte della Bce. Una distonia che gli operatori finanziari della City hanno saputo sfruttare al meglio, alzando il tiro contro l’euro nella fase iniziale della crisi per rafforzare la sterlina e dunque il Pil, poi speculando contro i titoli pubblici dei Paesi dell’area Sud, quelli più in difficoltà nel fare quadrare i conti pubblici nel 2011, infine oggi opponendosi a qualsiasi ipotesi formulata a Bruxelles di sovratassazione sulle transazioni finanziarie, che renderebbe quelle effettuate in Inghilterra di colpo più trasparenti e più onerose per broker e banche. Che dal loro miglio quadrato osservano, con superiore sorriso di scherno, l’ennesimo scandalo italiano.

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Gianluca Ferraris

Giornalista, ha iniziato a scrivere di calcio e scommesse per lenire la frustrazione accumulata su entrambi i fronti. Non ha più smesso

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