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Ansa
Calcio

Razzismo, perché la chiusura dello stadio di Udine è una sentenza sbagliata

La chiusura dello stadio di Udine per un turno, pena comminata dopo la vergogna degli insulti razzisti indirizzati a Maignan, ha certamente accontentato chi chiedeva una pena esemplare ma pone qualche domanda cui sarebbe utile rispondere. E' evidente dalla lettura del dispositivo del Giudice Sportivo che ad aver fatto la differenza tra i precedenti e la mano dura sia stata la mancata dissociazione del resto dello stadio, colpevole anzi di fischi ingiustificati e ingiustificabili nel momento del rientro in campo di Maignan dopo lo stop imposto dall'arbitro Maresca e gli avvisi dello speaker.

Una scena, va detto, brutta e che ha allargato il campo delle responsabilità oltre il manipolo di idioti che hanno preso di mira il portiere francese. Il lavoro delle forze dell'ordine e la collaborazione fattiva dell'Udinese stanno consentendo la loro individuazione ed è da rimarcare la decisione del club di espellerli a vita del proprio stadio andando oltre il Daspo comminato dal Questore e la denuncia penale che li ha colpiti.

Questo conferma che l'Udinese non merita di essere tacciata di essere una società compromessa in materia di discriminazione e anche che, finalmente, il calcio italiano ha deciso di affrontare in maniera concreta e chirurgica la metastasi del razzismo: si identifica il responsabile e lo si mette fuori, possibilmente per sempre. Esattamente quello che fa il modello inglese che in più ha il trattamento della giustizia ordinaria (arresto immediato, processo per direttissima e pene certe) che in Italia manca ma non per colpa dei club.

Eppure i friulani si sono visti comminare una sanzione molto dura considerando i precedenti, alcuni clamorosi. Per capirci, la vicenda degli ululati a Lukaku allo Stadium si chiuse per il Giudice Sportivo con un turno di blindatura per metà curva (sanzione poi cancellata per vizio di forma), stessa sorte per l'Atalanta nel maggio scorso dopo le vergogna delle migliaia di gole impegnate a dare dello "zingaro" a Vlahovic mentre a Firenze se l'erao cavata con una multa per la stessa accusa, provata dalle relazioni degli ispettori federali e sentita distintamente allo stadio e in televisione.

Stando ai precedenti, dunque, la partita a porte chiuse imposta all'Udinese è un provvedimento enorme e che appare dettato più dalla necessità di dare soddisfazione al giusto sdegno popolare. Si dimentica, però, che nessuna società di calcio - non solo in Italia ma anche nella civilissima Premier League - è in grado di impedire che singoli o piccoli gruppi di razzisti diano sfogo alle loro frustrazioni e che, esaurita prevenzione e repressione, altro non si può chiedere al calcio. A meno di non decidere che da qui in poi ci sarà sempre tolleranza zero, senza fare figli o figliastri. Anche per cancellare la spiacevole sensazione che sia stato più facile prendersela con un club piccolo e provinciale piuttosto che incide laddove il fenomeno non è ancora stato estirpato alla radice.

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Giovanni Capuano