Riforma dei contratti di lavoro, i punti caldi
ANSA/Riccardo Antimiani
Economia

Riforma dei contratti di lavoro, i punti caldi

Le contrapposizioni che hanno portato alla recente rottura del confronto tra Confindustria e i sindacati

Perché Confindustria e il sindacato hanno interrotto il confronto sulla riforma dei contratti di lavoro? E perché entrambi (in particolare il sindacato) temono adesso un intervento del governo su questa materia? Rispondere a questi interrogativi serve anche per capire meglio cosa potrebbe accadere il prossimo anno, nel sistema delle relazioni industriali italiane, che un tempo si caratterizzava per le sue rigide liturgie, mai messe in discussione dai governi o dai big della politica nazionale. E invece, nel 2016, potrebbe esservi una svolta epocale, con un provvedimento del governo Renzi su queste spinose materie, tradizionalmente lasciate all'autonomia delle parti sociali. Ma ecco, di seguito, una panoramica sugli scenari che si aprono all'orizzonte e sui punti più caldi della possibile riforma dei contratti di lavoro.

Il nodo degli aumenti salariali

Da tempo, Confindustria chiede di legare maggiormente gli aumenti salariali alla produttività del lavoro, eliminando alcune rigidità esistenti nelle politiche retributive. Negli ultimi anni, infatti, secondo Confindustria parecchie aziende hanno dovuto concedere ai propri dipendenti degli incrementi nella busta paga ben più alti dell'inflazione, visto che l'aumento dei prezzi, complice la crisi economica, è risultato più basso del previsto e concordato con i sindacati.

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I contratti aziendali da potenziare

Secondo gli industriali, per legare maggiormente i salari alla produttività bisogna potenziare i contratti di lavoro aziendali, cioè quelli firmati dai rappresentanti sindacali in ogni singola impresa. Oggi, in materia salariale, i contratti aziendali hanno per lo più una funzione integrativarispetto ai contratti nazionali, cioè possono concedere degli aumenti salariali superiori a quelli concordati negli accordi collettivi firmati a Roma da Confindustria e dai vertici dei maggiori sindacati. Non è possibile, invece, stabilire nei contratti aziendali delle retribuzioni minime o dei salari d'ingresso inferiori rispetto a quanto concordato a livello nazionale.

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Contratti nazionali sotto assedio

Ora, la Confindustria preme appunto per una revisione delle regole, per ridurre un po' il ruolo dei contratti collettivi nazionali di lavoro, anche in materia salariale. L'ipotesi più avanzata di riforma è che il contratto nazionale faccia solo da cornice, cioè detti le regole (anche in materia di salari) soltanto in quelle imprese dove non esiste un contratto collettivo aziendale. I sindacati, però, temono che un indebolimento degli accordi nazionali possa provocare una perdita del potere contrattuale e salariale dei lavoratori, soprattutto nelle aziende meno grandi o in quelle in fase di ristrutturazione (come per esempio la Fiat di Marchionne negli anni scorsi).

I rinnovi in vista (sempre più difficili)

La rottura tra Confindustria e sindacati dei giorni scorsi è legata anche all'ondata di rinnovi contrattuali in vista nei prossimi mesi. In diversi settori, ci sono infatti molti accordi collettivi in scadenza o scaduti. Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, vorrebbe rinnovarli con nuove regole per legare maggiormente i salari alla produttività. I sindacati vogliono procedere invece all'inverso: si dicono disposti a discutere delle nuove regole, ma soltanto dopo aver rinnovato i contratti scaduti o in scadenza.

Il ruolo del governo

Se la situazione di stallo tra Confindustria e sindacati non si sbloccherà, il governo Renzi sembra intenzionato a intervenire con una propria riforma della contrattazione del lavoro. Nello specifico, potrebbe essere approvata una specifica legge per potenziare il ruolo dei contratti aziendali e ridimensionare quello dei contratti nazionali. Inoltre, il governo potrebbe introdurre un salario minimo garantito (tra 6 e 7 euro l'ora). Un provvedimento del genere ha anche lo scopo di evitare forme di lavoro sottopagato ma potrebbe dare un duro colpo alla contrattazione collettiva. Molte aziende potrebbero infatti essere spinte a liberarsi dei vincoli del contratto nazionale e a firmare dei contratti aziendali con retribuzioni minime conformi alla legge, ma inferiori a quelle previste dagli accordi collettivi di categoria.

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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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