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Economia

Salario minimo, ecco perché rischia di creare ancora più disoccupazione

Se aumenta troppo, le distorsioni in termini di vendita dei prodotti e offerta di lavoro ingesseranno i mercati

Mentre gli Stati Uniti festeggiano per la scelta di New York di portare il salario minimo a 15 dollari l'ora, The Economist si chiede se questa battaglia sulla paga oraria sia davvero sensata, o se invece rischi di mettere un'ipoteca sul futuro di tutti coloro che verranno toccati da questa riforma.

Secondo la rivista britannica questa corsa al rialzo dei salari base rappresenta un pericolosissimo salto del buio di cui, come sempre, le classi sociali più svantaggiate finiranno col pagare le conseguenze. I problemi di una riforma di questo tipo, infatti, sono tantissimi.

Salario minimo: gli effetti di lungo periodo di un aumento sproporzionato

Anzitutto non sappiamo che effetti di lungo periodo l'aumento del salario minimo possa avere sugli equilibri del mercato interno. O meglio, le ricerche fatte fino ad oggi dimostrano come un incremento che si mantenga al di sotto del 50 per cento del reddito medio nazionale sia effettivamente utile per raggiungere due risultati: fidelizzare la manodopera, che trova in un aumento anche contenuto un incentivo più che sufficiente per non lasciare l'azienda dove lavora, e aumentarne la produttività, perché chi ottiene un aumento nella maggior parte dei casi lo considera un premio per le proprie capacità ed è di conseguenza stimolato a lavorare di più e meglio. Non solo, un incremento modesto può essere facilmente assorbito dal datore di lavoro e raramente comporta la necessità di tagliare posizioni esistenti per far quadrare i conti.

Peccato, quindi, che i sostenitori della campagna globale a favore dell'aumento del salario minimo non abbiano deciso di proseguire lungo questa strada ma siano determinati a far approvare bonus molto più generosi. +77 per cento negli Stati Uniti, oltre il 60 in Francia e nella Germania dell'Est, e più del 50 nel Regno Unito.

Salario minimo, vendite e nuove tecnologie

Il punto è che un aumento generalizzato del costo del lavoro non potrà non avere ripercussioni sui prezzi di vendita. E così quando si tratta di prodotti da commercializzare la conseguenza più probabile è che venga registrato un calo netto nelle vendite. Quando invece ci sono in ballo servizi potenzialmente rimpiazzabili con l'ausilio di una macchina (un esempio potrebbe essere quello della cassiera di un supermercato, che potrebbe ritrovarsi ad essere sostituita da una cassa automatica fai da te), allora ci penserà la tecnologia a fare concorrenza a una forza lavoro dai costi sempre più esagerati. E c'è chi è convinto che se il costo del lavoro, soprattutto quando si tratta di posizioni base, finirà con l'essere troppo altro, il comparto delle nuove tecnologie comincerà a ricevere sempre nuove sollecitazioni per creare macchine più sofisticate utili a contenere i costi di produzione e gestione delle aziende.

Un altro aspetto da non trascurare è quello della trasferibilità dei lavori. Sono sempre di più le compagnie che hanno deciso di aprire call centre all'estero solo per contenerne i costi, e gli operatori turistici che assumono stranieri perché costano di meno, o sono disposti ad accettare salari meno generosi.

Le alternative all'incremento del salario minimo

Essere contro un incremento sproporzionato del salario minimo naturalmente non significa essere contro l'idea di migliorare le condizioni di lavoro delle classi più svantaggiate. Il punto è ottenere questo risultato utilizzando strumenti che non creino eccessivi squilibri sul mercato interno, come le tasse. Per The Economist, la concessione di crediti di imposta resta il metodo più efficace per aiutare i poveri in maniera diretta, efficace, e senza creare distorsioni. Certo, situazioni come quelle di Grecia, Spagna o Giappone, dove il salario minimo è inferiore ai 6 dollari, per non parlare di Brasile, Romania, Lituania e Bulgaria dove siamo sotto i due non devono certo essere copiate, anzi. Ma lanciare la crociata per aumentare il salario minimo in maniera non graduale e senza aver prima creato meccanismi in grado i assorbirne l'impatto rischia di generare, già nel medio periodo, più danni che benefici, anche per quel che riguarda la popolarità dei governi in carica. 

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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