Herta Müller, 'L'uomo è un grande fagiano nel mondo' - La recensione
No gesto, de la serie Tratado visual sobre el vacio. © Aglae Cortés
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Herta Müller, 'L'uomo è un grande fagiano nel mondo' - La recensione

Poesia della steppa: finalmente tradotto il secondo romanzo della scrittrice rumena Premio Nobel, una fiaba impressionista crudele e bizzarra

La prima cosa che colpisce, come sempre, è la radicalità della prosa. Le frasi scarne e precise, i periodi brevi e intermittenti, i dialoghi secchi, le macchie di colore, le emozioni sfrangiate racchiuse in una cinquantina di quadri. L'insieme appare da lontano, come in un dipinto impressionista. Herta Müller era già il Claude Monet della letteratura contemporanea nel lontano 1986, quando in Germania vide la luce L'uomo è un grande fagiano nel mondo quattro anni dopo il folgorante esordio di Bassure. Quel romanzo esce ora in versione italiana nella bella traduzione di Margherita Carbonaro.

La Giverny di Herta è il Banato rumeno, misteriosa regione di confine con la Germania traslata in paesaggio dell'anima. Le ninfee di Herta sono sterpaglie rugginose in un un villaggio sul ciglio della palude, le crepe dei suoi marciapiedi, i binari del treno ricoperti di erbacce, panche polverose e sacchi di farina in cambio di un passaporto. Bisogna allontanarsi però quel tanto che basta dalla metaforica concretezza dei dettagli per scorgere la natura fantasmatica del racconto. Con fitte pennellate del colore bruno della terra Herta Müller narra uno stato altrimenti indicibile: il tempo bloccato dell'attesa, il tempo che non ha lancette, il tempo che imbozzola le valigie.

Windisch il mugnaio vede partire i suoi concittadini e intanto si interroga sul passato e sul futuro, confessando la propria inquietudine negli smozzicati dialoghi con il guardiano notturno, il "filosofo" del villaggio che ha scelto consapevolmente di restare. Saranno le sue donne - la moglie reduce da cinque anni di gulag, la figlia dalle ciocche sbarazzine - a sbloccare la situazione. Windisch e la sua famiglia traversano montagne grigie piene di nostalgia. "Nella fessura della palpebra tra est e ovest appare il bianco" - dice Ingeborg Bachmann citata in esergo. "La pupilla non si vede".

Ancora una volta animali e vegetali hanno un posto di rilievo nell'opera di Herta, potente metafora esistenziale. Sono compagni muti e inconsapevoli nell'aia della vita a cui la scrittrice concede un'aspra forma di pietas, la bruna cavolaia e il gallo cieco, alberi indiavolati e gufi che popolano le notti come gatti volanti, maiali pezzati distesi fra le carote selvatiche, guaiti di cani e torsoli di mela, rane di terra dai tratti antropomorfi, dalie bianche incapaci di sfiorire, pioppi che si ergono come scope nel cielo, rose bianche in gara con le erbacce.

Il fagiano, appunto. Uccello simbolico cui la natura ha donato ali per volare troppo pesanti per volare davvero, un manto sgargiante e carni buone. L'uomo è un grande fagiano nel mondo contadino ammalorato da una atavica sopraffazione e ad essa ormai assuefatto, le ali della libertà appesantite dalla violenza delle dittature, le ali dell'amore schiacciate dal possesso, le ali dell'onore infangate dalla corruzione. "L'essere umano è stupido. Ed è sempre pronto a perdonare".

Nel breve quadro intitolato "Il re dorme", il sovrano ignora la folla giunta in stazione a tributargli onori. I musicisti tornano a casa con la loro marcia interrotta, gli uomini e le donne con i loro interrotti gesti di saluto, i mazzi di fiori diventano cibo per le capre. Una bimba piange in sala d'attesa per non aver potuto recitare la sua poesia. È una delle più toccanti allegorie del potere che abbia sentito. Tutto si può vendere ma non la lacrima, scrigno di innocenza e di libertà, seme di speranza. Fragile, indomita come questo libro.

Herta Müller
L'uomo è un grande fagiano nel mondo
Feltrinelli
126 pp., 12 euro

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Michele Lauro