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Israele-Hamas, la guerra sui social

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Come già è successo all’indomani dell'invasione russa ai danni dell’Ucraina, anche in questo nuovo fronte che si è aperto da sabato scorso in Israele con l'attacco di Hamas c'è tra le parti un conflitto nel conflitto: è quello che punta a impossessarsi del monopolio della narrazione, quella che un tempo veniva chiamata propaganda, che sulle piattaforme digitali vede coinvolti una molteplicità di attori. Vittime e carnefici, partigiani e simpatizzanti, studiosi e spin-influencer hanno l’uguale necessità di imporre ai follower il proprio racconto. Un mosaico composto da una moltitudine di frammenti narrativi, fatto di immagini e video. Gli uni e gli altri sono stati reattivi nel postare live la propria (post)verità e nel raccontare una prospettiva di crudeltà della guerra.

Così è facile imbattersi nei post che condannano la “la brutale dittatura imposta ai palestinesi da Netanyahu”, come quello scritto e pubblicato su i suoi account dal professore Alessandro Orsini, che insegna sociologia del terrorismo all’Università, o come i post di parte israeliana pubblicati direttamente dal premier Benjamin Netanyahu, che proprio ieri ha postato la foto di un lettino lordo di sangue.

Le narrazioni belliche hanno sempre accompagnato i conflitti, sin dalla notte dei tempi, solo che nella società digitale diventano delle armi strategiche e non più solo delle componenti tattiche. Di più, se un tempo la propaganda veniva delegata dal vertice a singole strutture e collaboratori, adesso il mittente e il mezzo principale attraverso il quale diffondere il messaggio è il leader stesso. Hitler un tempo aveva affidato il compito della narrazione del Terzo Reich a Joseph Goebbels, mentre Zelensky è il messaggio e il mezzo della propaganda anti-russa.

La stessa dinamica la stiamo vivendo in Israele: l’account X di Netanyahu è cresciuto in pochi giorni del 12% incrementando la platea dei follower di ben 270 mila unità. In verità, da sabato 7 ottobre quando è scattato l’assalto armato di Hamas e fino a questo pomeriggio, 10 ottobre, tutti i canali social del premier israeliano hanno fatto registrare un notevole incremento di follower, così come sono cresciute le percentuali di coinvolgimento dei contenuti pubblicati. Un fenomeno peraltro già ampiamente visto a febbraio del 2022, quando gli account e i post del presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, nei giorni successivi all’invasione avevano registrato dei picchi di attenzione mai registrati in precedenza. Oltre ai follower di X crescono a doppia cifra anche quelli che seguono l’account di Instagram, con 64 mila nuovi arrivi, e la pagina Facebook che segna un incremento in cinque giorni di altri 23 mila follower.

Un atteggiamento che può essere tranquillamente spiegato con una duplice linea di interpretazione: la crescita dei follower è un sintomo della vicinanza e della solidarietà dell’opinione pubblica digitale nei confronti della comunità israeliana, è una conseguenza di quello che nel 1970 il politologo statunitense John Mueller definì l’effetto rally around the flag, cioè, in un momento di forte difficoltà per un paese scatta l’automatismo emotivo di volersi idealmente stingersi attorno alla sua massima figura rappresentativa. La crescita esponenziale, perché maturata in poche ore, dei follower di Netanyahu sono una conseguenza emotiva di questo particolare atteggiamento. Al pari, c’è una seconda e parallela spiegazione di queste perfomance, follower da un lato ma non di meno engagement dall’altro, che riguarda la ricerca di notizie di prima mano, di aggiornamenti ufficiali sul conflitto in corso. La preoccupazione di chi naviga la rete è di evitare di condividere notizie false, di alimentare la disinformazione, per questi motivi si sceglie di seguire gli account istituzionali. Del resto, diverse testate online, tra le quali CNBC, hanno già evidenziato come dall’inizio dell’attacco e della controffensiva da parte di Israele, “filmati di rapimenti e operazioni militari si sono diffusi a macchia d’olio sulle piattaforme di social media, incluso X, anzi proprio la disinformazione sulla piattaforma ha reso più difficile per gli utenti valutare cosa sta succedendo nella regione, durante il fine settimana, X ha contrassegnato diversi post come fuorvianti o falsi, ma decine di post con gli stessi video e didascalie non sono stati contrassegnati dal sistema di X”, secondo una prima revisione da parte della stessa CNBC.

Quindi, come già abbiamo avuto modo di vedere con la guerra in Ucraina anche in questo caso i canali ufficiali dei rappresentati istituzionali coinvolti guadagnano una notevole attenzione da parte dei follower.

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Domenico Giordano