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Tecnologia

La sicurezza stradale migliorerà, merito dei giovani

La Rubrica - Strade sicure, con la tecnologia

Non si parla mai abbastanza del tema della sicurezza stradale, ma questa strage silenziosa continua ogni giorno sulle nostre strade, dove molte persone perdono la vita per le cause sono le più svariate: si va dall’alta velocità, agli alcolici ed anche la disinformazione gioca un ruolo importante. Ce ne ha parlato Stefano Guarnieri, Vicepresidente e fondatore dell'Associazione Lorenzo Guarnieri, nata in memoria di suo figlio Lorenzo investito a 17 anni da un uomo che guidava ubriaco e drogato. L'obiettivo della sua associazione è quello di salvare vite umane favorendo un’attività di prevenzione attraverso il coinvolgimento delle amministrazioni e dell’opinione pubblica sul dramma della violenza stradale, fornendo anche assistenza alle famiglie colpite da incidenti gravi.

Stefano Guarnieri

Quanto gli italiani hanno la percezione del rischio che corrono quando vanno in strada?

Ancora c’è molta strada da fare, ma un piccolo miglioramento lo vedo fra i giovani. Su questo ci sono dei dati che, secondo me, sono confortanti: c’è una minore scelta dell’auto fra i ragazzi appena maggiorenni, a differenza degli anni della mia generazione per cui appena compiuta la maggiore età si prendeva immediatamente la patente. Adesso dopo 3 anni dal compimento della maggiore età, a 21 anni, il 47% dei giovani ancora non ha preso la patente. Questo indica che c'è una riflessione per quanto riguarda gli aspetti della mobilità, dovuta a due fatti: il primo è l’aspetto della sostenibilità, l’altro è la percezione del rischio. Però c’è ancora tanto lavoro da fare, quando andiamo sulla strada si vedono dei comportamenti che nessuno di noi avrebbe in altri contesti.

Ad esempio?

Ad esempio: elevata velocità, uso del cellulare alla guida, mancanza nel mantenere la giusta distanza di sicurezza, guida sotto l’effetto di alcol e droga… questi sono comportamenti estremamente pericolosi e le persone non si rendono conto dei danni che possono fare a sé stessi o agli altri. Non percepiamo il pericolo, perché da decenni siamo condizionati dalla narrazione della pubblicità delle auto e dei media. Le pubblicità ci mostrano sempre le auto in un contesto cittadino estremamente sicuro dove non ci sono pedoni, ciclisti, semafori o auto che vengono incontro. I media descrivono spesso gli incidenti usando termini come “auto impazzita”, “strade killer” e “curva maledetta” come se il guidatore non esistesse. La parola stessa “incidente” usata per descrivere gli scontri indica causalità, destino. Tutto questo deresponsabilizza il guidatore e lo giustifica dall’aver condotto il mezzo in modo pericoloso e quasi sempre fuori dalle regole nel caso di uno scontro.

Cosa pensa dell’inasprimento delle norme del Codice della Strada?

Alcune norme sono corrette, ad esempio quella della guida dopo aver assunto stupefacenti. Attualmente la sanzione di “guida sotto l’effetto di stupefacenti” è raramente applicata perché occorre effettivamente dimostrare che in quel momento esatto la persona controllata è sotto l’effetto di stupefacenti. Un rilevatore da solo non può farlo, deve esserci un medico. Questo rende il controllo molto complicato e soggettivo. Un esempio da considerare è come agiscono in Inghilterra: come l’antidoping nello sport. Se tu hai certe sostanze nel sangue o nella saliva superiori ad una certa soglia, sei positivo. E questa pare essere la direzione che prenderà il nuovo codice della strada

Su altri aspetti sono meno in accordo con le modifiche proposte. Non è corretto ad esempio secondo me limitare la mobilità leggera all’interno delle città. Non è stata posta inoltre la giusta attenzione alla riduzione della velocità soprattutto nei centri abitati. È evidente però che le norme da sole non bastano, se non le accompagni con l’educazione e con i controlli perdono efficacia. In Italia abbiamo 1 milione di controlli alcolemici l’anno, che significa che una persona viene fermata una volta ogni 40 anni. In Francia e Spagna si contano 7/8 milioni di controlli l’anno e quindi un guidatore viene controllato una volta ogni 4/5 anni. Nel caso della guida sotto l’effetto di alcol le norme ci sono, ma mancano i controlli

Parlando di formazione, quanto è importante cominciare a educare i giovani?

L’educazione alla sicurezza stradale andrebbe fatta nelle scuole di ogni ordine e grado. Occorre educare i giovani, partendo fin da piccoli, ad una mobilità sicura e sostenibile. Far loro capire che gli spazi pubblici sono condivisi (la strada è di tutti), renderli consapevoli del rischio che corrono ogni giorno a stare sulla strada, insegnando loro anche come gestirlo. Alla guida di un mezzo posso essere obiettivamente pericoloso; l’auto o la moto possono essere delle armi. Devo quindi tenere avere un comportamento volto a non uccidere gli altri. Allo stesso tempo mi devo rendere conto che sulla strada sono vulnerabile e quindi devo adottare atteggiamenti difensivi (come, ad esempio, allacciare le cinture sui sedili posteriori in auto o porre molta attenzione quando attraverso una strada anche sulle strisce). Quando noi andiamo nelle scuole, soprattutto nelle superiori, lavoriamo molto su questa consapevolezza del rischio.

A tal proposito, stiamo lavorando a fianco di Safety21 proprio lungo questa strada con dei progetti di educazione per i più giovani che vedranno la luce già il prossimo 24 e 25 gennaio presso due Istituti superiori di Milano.

E invece come si rieduca un adulto?

Per quanto riguarda gli adulti, si rientra in un problema di norme e controlli. La patente è una licenza strana: sulla strada le regole cambiano, cambiano i mezzi, la tecnologia delle macchine e le strade, ma non sono previsti degli aggiornamenti formativi per la licenza alla guida. Inoltre, la patente di guida è l’unica licenza di questo tipo che non ha una data di uscita. Se una persona è guidatore professionista non può più guidare dopo i 68 anni il suo mezzo di lavoro, mentre può guidare il suo mezzo privato anche fino a 100 anni e più. Secondo me, sarebbe utile definire un’età di soglia superata la quale le persone non possano più guidare. Per gli adulti purtroppo l’educazione non ha molto effetto e quindi occorre lavorare su norme e controlli.

La tecnologia attorno a noi quanto può essere utile e importante da questo punto di vista?

È estremamente importante. Gli anglosassoni dicono che per migliorare la sicurezza servono le 3E: Education (educazione), e che include anche la comunicazione; Enforcement, ovvero norme e rispetto delle norme; l’ultima è l’Engeneering, che riguarda tutta la parte di infrastrutture e tecnologia. L’uso della tecnologia può aiutare a evitare moltissimi scontri, feriti e vittime. Poi c’è la progettazione delle infrastrutture. Le infrastrutture non uccidono di per sé ma hanno un ruolo fondamentale per proteggerci e correggere i nostri errori. È evidente che il modo in cui si costruiscono le infrastrutture, ad esempio gli interventi per la riduzione della velocità, come dossi, barriere ed elementi architettonici ecc., influisce tantissimo, perché riducendo fisicamente la velocità, si riduce anche la probabilità di scontri. Tutte queste cose vanno messe insieme ed è questo quello che manca sempre in Italia: una strategia nel medio lungo periodo. Questi interventi vanno fatti in maniera coordinata; non solo norme o solo educazione oppure puntare tutto e solo sulla tecnologia. Si devono mettere insieme i vari interventi in questi campi sotto la guida attenta di una cabina di regia. In Italia non c’è quasi mai una visione d’insieme, e non solo sulla sicurezza stradale. Comunque, sono ottimista: c'è ancora tanto cammino da fare, ma vedo una maggiore attenzione soprattutto da parte delle nuove generazioni rispetto alle vecchie. Mentre noi adulti siamo un chiaramente problema sulla strada, i giovani possono rappresentare la soluzione

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Redazione Panorama