progetto pele
(Progetto Pele)
Difesa e Aerospazio

Usa, pericolosi i mini reattori nucleari portatili dell'esercito. Li userà la Nasa sulla Luna

Il cosiddetto Progetto Pele viene bocciato dal Congresso e trasferito dall'ambito militare a quello spaziale

Un nuovo tipo di micro-reattori nucleari facilmente trasportabili e pensati inizialmente per essere destinati a diventare le centrali per la produzione di energia in ambito militare, potrebbero invece essere sviluppati per l'impiego civile e arrivare anche sulla Luna.

Qualche anno fa, era il 2007, il Dipartimento della Difesa Usa (Dod) aveva stipulato pre-accordi contrattuali con due aziende, Bwtx Advanced Technologies di Lynchburg, Virginia, e la X-Energy di Greenbelt, nel Maryland, per procedere con lo sviluppo di un progetto in modo indipendente l'una dall'altra. L'iniziativa era nata nell'ambito dell'Ufficio per le capacità strategiche (Sco) con il nome di "progetto Pele". La scadenza per la revisione finale delle configurazioni è stata fissata per l'inizio del 2022 con il completamento dell'analisi di compatibilità ambientale previsto dal National Environmental Policy Act, superato il quale una delle due società potrebbe essere selezionata per costruire e dimostrare un prototipo. L'idea, che trova radici nell'utilizzo dei piccoli reattori a bordo dei sommergibili, era stata giudicata interessante perché a conti fatti il Dod utilizza ogni anno circa 30 Terawattora di elettricità e quasi 400 milioni di litri di carburante al giorno, con la chiara tendenza al rialzo per la crescente domanda di energia elettrica necessaria alla progressiva maggior diffusione di sistemi elettrici ed elettronici. Non soltanto: durante le campagne in Afghanistan, Quwait e Iraq i convogli per il trasporto di carburante si sono rivelati estremamente vulnerabili e obiettivi di attacchi che hanno causato la morte di un significativo numero di soldati. Ecco che allora un reattore nucleare sicuro, piccolo e completamente trasportabile in modo occulto soddisferebbe questa domanda costituendo una fonte di energia enorme e priva di carbonio che potrà essere installata in tre giorni e rimossa in sette soprattutto in ambienti ostili e remoti. E che in seguito potrebbe vedere anche un suo utilizzo commerciale. Ogni reattore Pele dovrebbe produrre 5 Megawatt di energia per almeno tre anni se usato a piena potenza e vedrebbe anche la nascita di reparti specializzati all'interno dell'esercito Usa che verrebbero addestrati dal Dipartimento dell'energia, dalla Commissione per la regolamentazione nucleare, dalla National Nuclear Security Administration e dalla Nasa. Per riuscirci le due società, insieme alla Westinghouse Government Services, hanno ricevuto in totale 15 milioni di dollari nel marzo 2020 e sono sottoposte a controlli periodici per verificare che la progettazione avanzi come da programma. Ora però l'amministrazione Biden, a causa di grandi perplessità di carattere ambientale sorte in seno al Congresso, potrebbe perseguire anche altre opzioni alternative al fine di ridurre l'impatto ecologico del Pentagono, almeno stando a quanto dichiarato dal segretario alla Difesa Lloyd Austin.

Con il ritiro dall'Afghanistan e la decisione di porre fine ai programmi militari che hanno caratterizzato i conflitti americani degli ultimi due decenni, il Pentagono sta pianificando le sue sfide tecnologiche a medio e lungo termine per poter mantenere la superiorità nei confronti di Cina e Russia, e il progetto Pele è proprio una di queste. L'idea sarebbe quindi quella di valutare quanto progettato da Bwtx ed X-Energy per poi finanziare la costruzione dei piccoli reattori con uno stanziamento iniziale di 60 milioni di dollari, ma su questa decisione il Congresso vorrebbe frenare perché con il ritiro delle forze dagli scenari remoti il suo impiego potrebbe divenire anacronistico se non addirittura pericoloso. Questo perché comunque ogni Pele costituirebbe un obiettivo primario per i missili e droni cinesi o russi e perché la presenza di reattori seppure piccoli nelle basi internazionali costituirebbe un motivo d'attrito con gli alleati. Il problema non è la fattibilità tecnica, poiché per affrontare la minaccia di un attacco il poco combustibile radioattivo dei Pele sarebbe concepito per essere intrinsecamente stabile e resistente alla fusione, ma ovviamente in caso di esplosione rimarrebbe, seppure molto localmente, il problema della contaminazione radioattiva dell'area e di tutto ciò che ci sarebbe al suo interno. Il dibattito è acceso e parte del Congresso insiste sul fatto che gli alleati degli Usa non sono disposti a ospitare i reattori Pele che gli avversari sicuramente colpirebbero. Del resto, a differenza dell'Iraq e dell'Afghanistan, dove le minacce di armi guidate erano inesistenti, ora le truppe statunitensi, qualora messe ipoteticamente di fronte alla Cina dovrebbero operare sul suolo giapponese, australiano o filippino, nazioni che nutrono forti sentimenti anti-nucleari. I governi degli Stati Uniti a Guam o nelle isole Marianne settentrionali, dove Washington ha le sue basi, potrebbero rivelarsi meno ostili ma i residenti difficilmente accetteranno a casa loro nuovi obiettivi radioattivi per i missili cinesi e russi.

La svolta civile

La Nasa però ha comunicato che questa tecnologia potrebbe essere modificata opportunamente per funzionare nelle condizioni di gravità ridotta presenti sulla Luna, in modo da produrre anche meno energia ma rendendo autosufficiente la base permanente di prossima realizzazione. Ed anche il Dipartimento dell'Energia si è detto molto interessato per la possibilità di installare un Pele presso le basi scientifiche dell'Antartide ma non soltanto, ipotizzando di usarli in territori come l'Alaska e Portorico. Il vantaggio del micro-reattore sarebbe che oltre a produrre energia pulita, nel senso di decarbonizzata, permette una disponibilità continua ed abbondante al contrario dei sistemi cosiddetti rinnovabili legati alla presenza di sole, vento, maree e giacimenti geotermici. Dunque il budget per realizzare i Pele è decisamente a rischio, anche se la soluzione più probabile potrebbe essere quella di cambiare le fonti di finanziamento passando dalla difesa alla ricerca.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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