misisle Taurus
(Ansa)
Difesa e Aerospazio

La vicenda dei generali tedeschi intercettati spiega l'atteggiamento Nato sulla guerra

Il pressapochismo dei militari sui segreti dei missili Taurus da una parte e la serietà dell'intelligence russa dall'altra. la differenza è evidente non solo sul campo di battaglia

Alla faccia delle comunicazioni protette, della tecnologia cibernetica, della resilienza delle reti di comunicazione e dei soldi (tanti) che noi europei spendiamo per la sicurezza informatica. Le nostre comunicazioni per l’intelligence russa sono un colabrodo. Mosca ha intercettato una discussione durata ben 38 minuti tra il capo della Luftwaffe, la forza aerea tedesca, e alcuni alti ufficiali con i quali stava discutendo l’invio di missili da crociera Taurus in Ucraina, un’arma che consentirebbe a Zelensky di colpire anche dove finora gli è stato impossibile. La frase “zitto, il nemico ti ascolta” dovrebbe essere scontata, soprattutto nell’era in cui la connettività web è omnipresente e in un mondo nel quale, da almeno cento anni, le onde radio prima e i satelliti poi hanno permesso a chi spia di desumere condizioni importanti sugli antagonisti. Secondo quanto riferito dai siti specializzati in questioni di Difesa, l'incontro telematico si sarebbe svolto su una linea non crittografata, insomma in una modalità che, quanto a protezione, aveva la segretezza di una “call” tra adolescenti.

La conferenza online si era svolta il 19 febbraio mentre uno dei partecipanti si trovava al salone aerospaziale di Singapore, evento molto importante per il settore della Difesa nella regione asiatica, ma anche crocevia di militari e delegazioni provenienti da tutto il mondo, Russia inclusa. Il programma utilizzato era Webex, che consente comunicazioni protette, ma a essere non protetta era la rete wifi utilizzata, probabilmente quella telefonica mobile o più facilmente quella del salone stesso. In pratica l’ufficiale ha utilizzato una rete non autorizzata per comunicazioni di quella riservatezza, esponendo all’intercettazione tutti gli altri partecipanti.

Sono fatti come questi, più che talune poco attente parole dei politici, a far pensare a Putin che la volontà della Nato non sia più quella di far finire la guerra, ma di aumentare il proprio coinvolgimento.

Il dubbio è legittimo perché due anni fa, quando i carri armati russi sono entrati in territorio ucraino, l’obiettivo dell’Occidente fu quello di contribuire a sventare il tentativo di rovesciare il governo di Kiev, traguardo ottenuto nel giro di pochi mesi grazie all’esercito ucraino e al supporto logistico della Nato. Tutto doveva finire lì, ma dopo vari tentativi falliti di iniziare una trattativa di pace con l’aiuto della Francia e poi della Turchia, entrambe nazioni che fanno parte dell’Alleanza, qualcosa è cambiato. L’osservazione logica è che nel momento in cui il conflitto in Ucraina ha raggiunto lo stallo reso possibile dall’appoggio Usa, la strategia della Nato abbia perso ogni coerenza creando la possibilità che la guerra sfuggisse al controllo. Da due anni i leader occidentali visitano e incitano il presidente di Volodymyr Zelensky a cercare la vittoria totale con il loro aiuto, ma la verità - negata fin dall’inizio - è che la vittoria totale di Kiev non sia mai stata realmente presa in considerazione a meno di un colpo di stato in Russia. E a un certo punto sono sorti dei dubbi che attendono risposta. Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, ora dichiara che dobbiamo “mantenere la rotta”, ma senza dire che cosa significhi, così come poco chiaro è il segretario di Stato americano Antony Blinken, il quale sottolinea a ripetizione che l’Occidente deve garantire che la guerra della Russia “continui a essere un fallimento strategico” come se la situazione fosse ottimale. In coda Ursula Von der Leyen, che appoggia Zelensky senza se e senza ma, a spese nostre.

Ma se siamo così fessi da farci intercettare dalla Russia, potenza che in guerra può giocare per tempi lunghissimi, la cui popolazione non ha mai conosciuto una vera democrazia e che storicamente siamo noi occidentali ad aver sempre tentato di invadere, tutto fa apparire gli europei come se i soldati ucraini fossero soltanto nostri mercenari mandati a morire per tenere lontane le truppe russe dai confini dell’est europeo, con tanto di alti ufficiali “connessi” che parlano di aumentare i loro budget delle armi. Un prezzo fatto pagare ai contribuenti e i giovani ucraini. Un’altra verità è che l’Europa occidentale non ha alcun interesse a intensificare la guerra in Ucraina dandole missili a lungo raggio, né ha alcun motivo strategico nel desiderio di Kiev di cacciare la Russia dalle aree a maggioranza russofona della Crimea o del Donbass. Abbiamo, invece, tutto l’interesse a cercare assiduamente una rapida soluzione avviando la ricostruzione della nazione e abbandonando la speranza che Putin scompaia per “motivi interni”. Interessi come quelli di questa Commissione Europea in vista delle elezioni: non può mostrarsi perdente come ha fatto sul piano ambientalista, dove ha dovuto fare una parziale marcia indietro; ha dovuto incassare l’evidenza che le sanzioni imposte a Mosca hanno fallito miseramente, non hanno devastato l’economia di Mosca né fatto cambiare idea a Putin. E una vittoria anche parziale di quest’ultimo in Ucraina sarebbe il totale fallimento della classe politica attuale. Ci siamo vicini.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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