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(Ansa)
Difesa e Aerospazio

La difesa europea ha un problema di materie prime

I venti di guerra lambiscono il Vecchio Continente e l'Unione si scopre povera di metalli, quasi tutti importati

Sempre più i venti di guerra lambiscono anche il Vecchio Continente, dopo decenni si torna a parlare di riarmo, di deterrenza e vengono dipinti scenari inimmaginabili fino ad un paio di anni fa: quando Borrell sottolinea che “la guerra non è imminente” probabilmente sortisce l’effetto opposto di quello che si era prefisso.

Nella seconda guerra mondiale si rivelò determinante, ai fini della vittoria delle potenze alleate su quelle dell’Asse, il controllo sulla maggior parte della produzione mineraria mondiale. Alla fine degli anni ‘30 gli Stati Uniti erano il più grande produttore e consumatore di minerali al mondo: le principali risorse minerarie del Continente Americano erano sotto il loro controllo. Assieme all’Impero britannico controllavano circa il 75% della produzione mineraria globale.

Eppure malgrado una forte industria mineraria le forze armate statunitensi dovettero affrontarelimitazioni nell’approvvigionamento di materie prime durante la guerra per interruzioni delle catene di approvvigionamento anche da parte di nazioni “amiche” come il Canada. Spesso la produzione pianificata non venne rispettata per la carenza di metalli come l’alluminio nel settore aereonautico o il rame nella produzione di proiettili. Le munizioni tradizionali sono ad alta intensità di minerali: rame, zinco, manganese, acciaio e alluminio sono tra i metalli di base particolarmente richiesti nell'industria della difesa.

Secondo un rapporto dell'Institute for Defense Analyses, il Dipartimento della Difesa ha utilizzato circa 106.000 tonnellate di rame nel 2008, rendendolo il secondo materiale più utilizzato in peso nella produzione della difesa degli Stati Uniti. A livello globale l'utilizzo del rame nelle applicazioni militari nel 2021 è stato stimato in 2,186 milioni di tonnellate, circa il 9% della produzione globale di rame raffinato, e viene previsto in crescita di circa il 14% su base annua fino al 2026.

Oggi l’industria mineraria statunitense è fortemente ridimensionata e per, alcuni minerali strategici, la produzione statunitense è cessata: si pensi al niobio, utilizzato nelle superleghe dei motori a reazione. Praticamente tutti i motori dei jet da combattimento statunitensi utilizzano il niobio nelle loro leghe ed un'alternativa può comportare una riduzione delle prestazioni. Oggi l’approvvigionamento del metallo proviene quasi esclusivamente dal Brasile dove nel 2011, un consorzio di aziende cinesi controllate dallo Stato (SOEs) ha acquisito una quota del 15% del capitale della Companhia Brasileira de Metalurgia e Mineração (CBMM) che possiede la più grande miniera di niobio del paese che produce l'85% della fornitura mondiale.

Nel 2016, l’onnipresente China Molybdenum Company (CMOC) ha acquisito il 100% della seconda miniera di niobio brasiliana in termini di dimensioni, che realizza l'8% della produzione globale. Eppure il niobio è presente anche nella miniera polimetallica di rame ed oro di Pebblein Alaska oggetto di una disputa durante la campagna elettorale tra Joe Biden e Donald Trump e dove l’attuale Presidente degli Stati Uniti scelse di “lasciare nel terreno” il metallo per quanto il suo approvvigionamento sia stato fonte di preoccupazione durante ogni emergenza militare nazionale a partire dalla prima guerra mondiale.

Nel 2023, il Dipartimento della Difesa statunitense ha stimato che l’esercito americano negli scenari di emergenza nazionale, come potrebbe essere un conflitto convenzionale USA-Cina su larga scala, avrebbe carenze di approvvigionamento di sessantanove materie prime. Attualmente gli Stati Uniti, ma analoghe considerazioni valgono per l’Unione Europea, non hanno una politica nazionale per la produzione di minerali e senza un'azione per mantenere le scorte, si troverebbero impreparati in un settore, quello della difesa, che dipende dalle importazioni più del settore delle tecnologie verdi.

L'Unione Europea importa tra il 75% e il 100% della maggior parte dei metalli che consuma e né l'UE né i suoi paesi membri dispongono di scorte. Nemmeno il Canada e la Gran Bretagna dispongono di scorte di minerali. La Russia fornisce ai membri della NATO metalli chiave per la difesa, tra cui alluminio, nichel e titanio e l’Unione Europea dipende dalla Cina o da paesi terzi per l’approvvigionamento di quasi tutte le materie prime critiche.

La grafite naturale e l'alluminio sono i materiali più comunemente utilizzati nelle applicazioni militari. La grafite è un componente fondamentale per la costruzione di aerei da combattimento, carri armati, sottomarini, munizioni e missili, ma il 70% della produzione di grafite proviene dalla Cina, il 100% se si considera quella lavorata. Un problema evidenziato lo scorso autunno dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, che se da un lato propone di investire almeno 600 miliardi di euro nei prossimi 10 anni nella difesa europea non spiega come risolvere il problema degli approvvigionamenti.

Infatti l’UE nella sua recente “Legge europea sulle materie prime critiche” (Critical Raw Materials, CRMA) (Riflessioni critiche sulle materie prime critiche - Panorama) non ha neppure preso in considerazione la questione della costituzione di scorte strategiche. Eppure lo sviluppo di un deposito centralizzato di minerali in un mondo dove l'utilizzo delle materie prime come arma diplomatica e strategica è sempre più consolidato (La guerra delle materie prime - Panorama) imporrebbe alla Commissione di riconsiderare la questione dello sviluppo di un deposito di minerali critici.

Lo stoccaggio strategico è l'unico strumento, in dipendenza da supply chain globalizzate, che consenta di mantenere, per un periodo di tempo limitato, la continuità produttiva. Eppure uno studio della Commissione UE pur rilevando che la creazione di strutture di stoccaggio potrebbe mitigare questo problema conclude che la creazione di queste strutture richiederebbe un'efficace gestione pubblico-privata. Pare evidente che per i funzionari europei sia una perdita di tempo riflettere sulle scelte strategiche dell’Unione..

Non stiamo parlando di strumenti innovativi: lo statunitense Strategic and Critical Materials Stock Piling Act, è una legge nel 1939, che istituì il National Defense Stockpile (NDS) quando cominciò ad essere evidente che le importazioni di minerali dall’emisfero occidentale, fino ad allora considerate ragionevolmente sicure, erano minacciate. Non serve ci siano i sottomarini dell’Asse ad affondare i carichi di minerali diretti verso le fonderie statunitensi oggi basta che un concorrente geopolitico decida un bando alle esportazioni per ostacolare direttamente la produzione di sistemi e attrezzature di difesa critici.

Le scorte della difesa nazionale degli Stati Uniti sono progressivamente diminuite negli ultimi cinquant’anni: nel 2021 i volumi dell’NDS erano al livello più basso dal 1941, compromettendo la loro efficacia di soddisfare la domanda di minerali per i settori chiave degli USA durante una potenziale emergenza nazionale. A marzo 2023, il valore delle scorte delle scorte era di 912,3 milioni di dollari, appena l’1,2% del valore delle scorte del 1962, pari a circa 77,1 miliardi di dollari (al netto dell’inflazione). In leggera ripresa a seguito dell’ordine esecutivo del Presidente Biden del 2021 per ricostituire le scorte strategiche.

Nel giugno 2023, il segretario generale della NATO, Stoltenberg, ha avvertito l’alleanza di evitare di diventare eccessivamente dipendenti dai minerali cinesi, proprio come molti paesi della NATO in precedenza erano diventati eccessivamente dipendenti dal gas russo.

Risulta piuttosto sterile parlare di investimenti nella difesa quando non si dispone di un approvvigionamento sicuro e sufficiente di materie prime per le sue piattaforme e munizioni.

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Giovanni Brussato