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(Ansa)
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Le rivendicazioni sacrosante del popolo della scuola

Lo sciopero nazionale della scuola previsto per oggi ha portato in piazza migliaia di docenti, aprendo un dibattito destinato però a rimanere per addetti ai lavori, invece che interessare l’opinione pubblica

30 maggio 2022, sciopero nazionale del sistema scuola. Un centinaio di pullman di docenti previsto a Roma, diverse iniziative locali, ma generalmente un’adesione alla protesta che non riesce ad andare in prima pagina.

Scorrendo i siti di notizie nazionali, è un’impresa trovare traccia delle manifestazioni di oggi. Qualche dichiarazione al vetriolo, come quella di Cristina Costarelli dell’Associazione Nazionale Presidi del Lazio, secondo cui siamo alle prese con “il solito ritornello”, oppure qualche numero palesemente sbilanciato da una parte o dall’altra, per cui si legge qui di una “larghissima adesione” e altrove del “10% dei docenti coinvolti”. Poi, ancora, le dichiarazioni attese dei rappresentanti del sindacato e poi quelle del ministro Patrizio Bianchi che, di fronte a uno sciopero nazionale, si limita al dovuto rispetto dell’atto sindacale in corso e parla di “momento delicato” per la scuola, appellandosi ancora al Covid che ha funestato gli ultimi due anni e, perché no, alla guerra che sta destabilizzando la società.

Approfondimenti nel merito della questione nemmeno l’ombra, ma il decreto fa perno su alcuni punti che meritano un attento studio e – sarebbe davvero auspicabile – una profonda riflessione pubblica.

Eppure in una società che funzioni, salute e istruzione dovrebbero essere le materie d’interesse mediatico di prima grandezza.

Eppure la scuola vive un periodo di gravissima crisi e il DL36/22 che ne riformulerà alcuni aspetti cruciali non promette nulla di buono.

La scuola italiana vive un male strutturale, le classi pollaio. Aule sovraffollate che non sono state ridimensionate neppure con la pandemia, che ha ridotto la densità di qualsiasi attività umana, ma non quella delle classi italiane. I dati sulle nascite confermano un netto calo degli studenti nei prossimi anni – ci sarà più di un milione di studenti in meno in dieci anni, passando dai 7,4 milioni attuali ai 6 milioni – e questo, che rappresenta un elemento di debolezza della società, potrebbe divenire un fattore indiretto per migliorare l’istruzione, dando vita a classi meno numerose senza bisogno di riforme illuminate. Invece questo decreto pianifica più di centomila cattedre in meno. Come dire, la soluzione ci sarebbe, ma si preferirà risparmiare anziché rendere più qualitativo l’ambiente di apprendimento. E senza una discussione parlamentare degna di questo nome, ma per decreto e tutto sommato nel silenzio generale, eccezion fatta per questo sciopero così poco mediatico.

Ancora, il decreto proverà a garantire il miglioramento dell’azione dei docenti proponendo una “formazione standardizzata” che verosimilmente sarà costituita da corsi in presenza o online senza alcun vero stimolo appassionante. Saranno le repliche dei corsi attualmente somministrati ai docenti, per aggiornamento o per formazione. Corsi che scontentano tutti e che incitano alla passività, costituiti come sono di parole di plastica e perbenismo. E invece la scuola necessita di docenti appassionati per davvero alle discipline e preparati per davvero al confronto educativo. E uno degli strumenti per garantire in aula docenti con questo profilo è quello di rendere più appetibile, e certamente anche economicamente, il mestiere del docente, che non è un missionario vocato all’educazione e nemmeno un parassita statale, ma un professionista il cui stipendio in Italia risulta nettamente più basso di quello dei colleghi europei.

Infine, questioni più specifiche, come quelle relative alla premialità, alla carriera e ai precari. Tematiche roventi e decisive per l’ambiente scuola, ma non facilmente trattabili da chi non ne conosce dal di dentro i meccanismi, per cui queste sono in effetti questioni che in un dibattito pubblico possono annoiare, o comunque non interessare. Come è giusto che sia. Ognuno ha le proprie specificità, ma la scuola in sé non deve essere argomento per pochi, al contrario è fondamentale che stia a cuore a tutti, perché una scuola solida è un pilastro su cui costruire una società.

Come già avevamo suggerito da queste colonne, la scuola ha bisogno di un tavolo di lavoro permanente. Una sorta di “Agenda 2030” sulla scuola che parta dall’ascolto di chi vive di scuola. Docenti, genitori, alunni. E la classe politica nell’atto ad ascoltare e poi a formulare ipotesi di lavoro a medio e lungo termine, indicando soluzioni politiche a problemi reali. Sì, perché è impensabile limitare la revisione di un’istituzione educativa e la progettazione di una scuola nuova, o meglio di una scuola ben fatta, a un atto di protesta della durata di un lunedì.

Siamo alle porte di una nuova campagna elettorale, già saturi di quel clima di attacchi personali e promesse che tra poco invaderanno notiziari e approfondimenti. Staremo a vedere se ci saranno politici che ascolteranno questo appello per collaborare a una scuola migliore. Non a costo zero, sia chiaro, di questo “low cost” non se ne può più. Per una scuola migliore, sì, ma costi quel che costi.

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Marcello Bramati