Quando i bambini fanno “Oh!”

Oggi, su “Il Foglio”, Camillo Langone ha pubblicato un articolo sulla triste vicenda dell’incendio che ha distrutto la Città della Scienza di Napoli e, come spesso gli accade, a lato di osservazioni condivisibili e certamente interessanti, si è lasciato andare …Leggi tutto

Oggi, su “Il Foglio”, Camillo Langone ha pubblicato un articolo sulla triste vicenda dell’incendio che ha distrutto la Città della Scienza di Napoli e, come spesso gli accade, a lato di osservazioni condivisibili e certamente interessanti, si è lasciato andare a quella che, in gergo da social network, si potrebbe definire una trollata, cioè un commento gratuitamente fuori tono, fatto apposta per suscitare l’indignata reazione dei più, in un’ottica da “molti nemici, molto onore”.

Intendiamoci, chi conosce a apprezza Langone sa che il suo stile è quello, prendere o lasciare. Io prendo sempre, nel senso che le cose che scrive sono da anni uno dei pochi appuntamenti fissi della mia rassegna stampa, però mi pare che a questo giro abbia scritto una cosa del tutto non condivisibile.

Non mi riferisco, come forse qualcuno che ha letto il pezzo di Langone potrebbe pensare, alla chiusa sul darwinismo definito “una superstizione ottocentesca ancora presente negli ambienti parascientifici”: quella è, come dicevo sopra, una trollata, o anche, volendola definire con termine apparentemente più raffinato, una boutade messa lì apposta per scandalizzare i benpensanti. Il gioco può divertire o riuscire stucchevole, ma quello è.

Quel che non mi pare condivisibile è il disprezzo di cui il prezzo trasuda verso la divulgazione scientifica, oggettivata da Langone nei “telescopi e caleidoscopi” andati a fuoco, considerati alla stregua di inutili giocattoli, la cui fruizione da parte dei giovani visitatori della Città della Scienza sarebbe stata, secondo Langone, “sai che spasso”.

Lasciando da parte a questo giro i caleidoscopi, mi son trovato a chiedermi se Langone abbia mai guardato il cielo attraverso un telescopio o se, come un novello Cesare Cremonini (non il cantante, quell’altro) vi abbia rinunciato in nome di pregiudizi tolemaici o non ne abbia mai avuto l’occasione. L’avesse fatto, saprebbe quale bellezza, quale stupefacente miracolo si dischiude davanti agli occhi dell’astrofilo dilettante. Col mio modesto telescopio amatoriale, un banalissimo newtoniano da 114 millimetri di apertura e 700 millimetri di focale, ho stupito, sorpreso e divertito molti bambini, nipoti e figli di amici, nel giardino della mia casa di campagna in qualche notte estiva, mostrando loro i crateri lunari, le nebulose e gli ammassi stellari, i colori delle stelle, i satelliti di Giove, gli anelli di Saturno. Ho visto visi illuminarsi, ho sentito esclamazioni di emozione, ho dovuto ripetere a richiesta il piccolo prodigio un’infinità di volte. Talvolta, anche se più raramente, ho ricevuto reazioni entusiastiche anche da adulti rimasti un po’ bambini dentro.

E sono certo che anche Langone ricorderà quella cosa dei bambini e dell’entrare nel Regno dei cieli.

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Marco Beccaria

Marco Beccaria è nato a Milano nel 1967. Sa fare passabilmente tre cose:  insegnare filosofia e storia al liceo, discutere oziosamente di massimi  sistemi e il master di Dungeons & Dragons. Meno bene riesce a  giocare a pallacanestro e ad andare in bicicletta, il che non gli  impedisce di trarre godimento da entrambe le attività. È sposato con  Raffaella e vive tra i colli piacentini e Milano.

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