Turchia, Erdogan e le elezioni senza Twitter e Youtube
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Turchia, Erdogan e le elezioni senza Twitter e Youtube

Alla vigilia del voto il premier turco, travolto dall'inchiesta sulla corruzione, ha censurato anche il social dei video, e ha aperto ai qaedisti

Domenica 30 marzo si aprono le urne in Turchia. 52 milioni e mezzo di elettori si recheranno alle urne in 81 province e 919 circoscrizioni, ma per il Paese della Mezzaluna non saranno solo elezioni amministrative. La posta in gioco per il premier Recep Tayyip Erdogan va ben oltre l'elezione degli amministratori locali, ed è l'ultima tappa prima del voto che conta di più: l'elezione del presidente della Repubblica ad agosto.

A fare le spese dell'aggressiva campagna locale del leader del partito islamico Akp, che regna in Turchia dal 2002, sono i social network, colpevoli - secondo Erdogan - di alimentare il dissenso contro il suo governo. Con modalità tipiche delle "migliori" dittature, il premier turco ha prima imposto la censura su Twitter e poi anche a Youtube. Si attende lo stesso trattamento anche per Facebook. Lo strumento della censura è la naturale conseguenza della strategia di Erdogan, che si sente messo all'angolo dagli ultimi scandali esplosi ad Ankara e che lo vedono direttamente coinvolto in un giro di mazzette milionarie. 

Ma la paura di un'emorragia dei consensi per il premier turco ha radici lontane, almeno dall'estate del 2013, quando nel cuore del quartiere europeo di Istanbul, a piazza Taksim, sono esplose le proteste contro la chiusura del parco di Gezi, che sono state l'espressione più forte del dissenso che una larga fascia della popolazione nutre nei confronti del primo ministro.

A seguire, Erdogan è stato colpito da una serie di attacchi riconducibili al clerico "espatriato" negli Stati Uniti, Fetullah Gulen . Sul quotidiano Taraf - voce di Gulen in Turchia - sono stati pubblicati una serie di articoli su pesanti interferenze di Erdogan nei confronti della magistratura e della stampa, a cui questo governo è avvezzo a mettere il bavaglio. Sono poi state diffuse intercettazioni telefoniche di conversazioni tra il premier e alcuni ministri, in cui si parlava di soldi non puliti e della necessità di nascondere le prove delle mazzette. Persino uno dei figli del premier è stato intercettato: chiedeva a suo padre dove (e come) fosse meglio nascondere i contanti che aveva in casa.

Erdogan ha risposto appellandosi alla carta del complotto esterno per mettere ko il suo esecutivo ed è partito lancia in resta per la sua campagna elettorale, toccando tutti i villaggi più reconditi della Turchia, dove il premier gode ancora di un'alta popolarità. Ma gli basterà per mantenere i consensi nella megalopoli Istanbul? Quello che Erdogan teme dal voto di domenica è proprio di perdere Istanbul e Ankara, le due città chiave di questa tornata elettorale, dove sono esplose in maniera più determinata le proteste contro di lui e contro il suo esecutivo.

Istanbul è una città spaccata, tra attivisti di Gezi e donne velate che stanno con Erdogan senza se e senza ma, come scrive Fazila Mat in un reportage pubblicato dall'Osservatorio Balcani e Caucaso. Il clima che si respira sul Bosforo è da alta tensione, un ulteriore segnale che queste elezioni locali hanno un significato che va ben oltre quello di una mera consultazione amministrativa. 

Erdogan è stato duramente ferito dalle ultime rivelazioni sulla sua figura e sul suo cerchio magico, e si è difeso attaccando e sostenendo che lo scandalo corruzione è una bufala, fabbricata ad arte per colpirlo. In tanti gli credono, ma alcuni no, anche all'interno del suo stesso partito. Ma, la chiusura di Youtube lancia anche un altro segnale: lo stesso atteggiamento aggressivo che Erdogan sta tenendo all'interno lo proietta anche verso l'esterno.

Il social dei video è stato oscurato nel momento in cui è circolata una intercettazione nella quale il ministro degli Esteri Davutoglu (quello di "zero problemi con i vicini", per intenderci) dice chiaramente che la Turchia si prepara a sfruttare "dinamiche esterne" per controllare la situazione interna, che ormai è una maionese impazzita.

Le "dinamiche esterne" a cui si riferisce il capo della diplomazia turca si concretizzano in operazioni militari lungo i suoi confini, per attaccare la Siria. Non è un caso che la scorsa settimana Damasco abbia denunciato l'abbattimento di un jet siriano da parte dei turchi. E le notizie che sono arrivate ultimamente da Kessab ne sono la prova.

All'alba di venerdì 21 marzo, truppe di ribelli qaeditsti del fronte Al Noura, Sham-al Islam e Ansar al-Sham hanno attaccato la città siriana di Kessab, che si trova lungo il confine con la Turchia. La città è a prevalenza armena, e i combattenti qaedisti hanno potuto contare sull'appoggio strategico e logistico del governo turco per attraversare un confine. L'esercito turco ha coperto l'avanzata dei qaedisti con mezzi militari e medici di supporto per i feriti. Un'operazione che è caduta nell'indifferenza della comunità internazionale, occupata interamente a guardare verso l'Ucraina e la crisi di Crimea.

Ma il segnale che arriva da Kessab e dall'avanzata turca è un campanello d'allarme molto serio, visto - soprattutto - che la Turchia è all'interno della Nato e sta agendo lungo i suoi confini con bombardamenti e operazioni che non vengono discusse sul tavolo dell'Alleanza. Il sogno del "neo ottomanesimo" di Erdogan si sta sbriciolando sotto i colpi dei suoi avversari politici. Con un'economia che non tira più come un paio di anni fa, il premier al momento è estremamente fragile e con i suoi vicini ha tutto tranne che "zero problemi".

Il suo futuro se lo gioca domenica prossima e poi ad agosto, ma quello che è certo è che la Turchia si sta progressivamente allontanando dalla via maestra dell'Europa e della democrazia. E questo per scelta di Erdogan, che sta combattendo una battaglia personale per la sua sopravvivenza al potere. Una battaglia che potrebbe far scivolare definitivamente il Paese nel baratro di una nuova dittatura dal sapore mediorientale. 

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Anna Mazzone