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Trump e Kim al duello finale

Il dittatore dovrà provare l'addio al nucleare in cambio dello stop alle sanzioni, ma sarà difficile

Ferrovie, collegamenti stradali, nuove centrali energetiche e l’opportunità storica di rimodellare il futuro di un Paese in ginocchio, la Corea del Nord, su cui gravano le sanzioni internazionali. Gli inviti più chiari allo smantellamento dei programmi missilistico e nucleare sono arrivati al leader nord-coreano, Kim Jong-un, da una nuova forma di diplomazia che passa attraverso i dispositivi mobili. La prima volta fu durante l’incontro con Moon Jae-in al confine tra le due Coree, lo scorso aprile: il presidente sud-coreano fece scivolare nelle mani del giovane dittatore una chiavetta Usb. All’interno, era contenuta una presentazione: «Nuova mappa economica per la penisola coreana». La seconda fu durante il summit di Singapore con il presidente degli Stati Uniti. Sull’iPad di Donald Trump, Kim guardò un filmato di quattro minuti: «Due uomini. Due leader. Un destino». Un titolo evocativo, studiato per solleticare l’ego del giovane leader. Una voce baritonale raccontava un futuro possibile per Kim Jong-un e il suo Paese, senza il rombo dei missili lanciati all’alba, o il fragore di test atomici in grado di fare crollare le montagne.

Kim e Trump si incontreranno di nuovo, il 27 e 28 febbraio prossimi, come confermato dal presidente Usa. Le promesse di crescita e di progresso per una Corea del Nord denuclearizzata saranno messe alla prova del vertice, che si terrà a Hanoi, in Vietna. Le promesse di crescita e di progresso per una Corea del Nord completamente denuclearizzata saranno messe alla prova del vertice che si terrà a Hanoi, in Vietnam. «Con il completamento della denuclearizzazione, siamo pronti a esplorare con la Corea del Nord e con molti altri Paesi il modo migliore per mobilitare investimenti, migliorare le infrastrutture e innalzare la sicurezza alimentare» ha affermato Stephen Biegun, inviato statunitense per la questione nord-coreana durante un recente intervento alla Stanford University di Palo Alto, in California. «Questa prosperità, assieme alla denuclearizzazione e alla pace, sono al centro della visione del presidente Trump per le relazioni tra Stati Uniti e Corea del Nord».

Il percorso è tutt’altro che semplice. Pyongyang vuole la fine delle sanzioni e il ritiro dei soldati americani dal confine con la Corea del Sud, ma al momento non ci sarebbero piani per soddisfare le richieste del regime di Kim.

«Le questioni sul tavolo sono numerosissime» spiega a Panorama Antonio Fiori, uno dei massimi esperti di Corea e docente di storia delle relazioni internazionali, delle società e delle istituzioni extra-europee all’università di Bologna. «Dipenderà dalla volontà degli attori andare verso un certo tipo di risoluzione piuttosto che un altro. Quello che mi sembra abbastanza scontato è che ci dovrebbe essere qualche tipo di attuazione rispetto a Singapore, quando ci fu solo una dichiarazione d’intenti».

Quello che manca, prosegue Fiori, è una «action for action» che stabilisca i passi da compiere dopo l’accordo di giugno scorso per una completa denuclearizzazione della penisola coreana. «Non penso che le sanzioni verranno tolte» è l’opinione del coreanista. «Credo che Kim, a questo punto, comincerà a bussare alla porta degli Stati Uniti chiedendo che siano alleviate». Un’ipotesi non irrealizzabile, stando alle ultime dichiarazioni del presidente Usa, che ha parlato di «significativi progressi» nel rapporto con Pyongyang e ha definito «discrete» le possibilità di un accordo con Kim Jong-un sull’abbandono delle armi nucleari: il regime non lancia missili dal novembre 2017, ha detto Trump, ha riconsegnato i prigionieri e ha dato il via alla restituzione dei soldati americani caduti nella guerra di Corea del 1950-1953.

La cautela, però, è d’obbligo: le agenzie di intelligence statunitensi si dicono scettiche rispetto alle intenzioni di Pyongyang di smantellare i programmi missilistico e nucleare. La Corea del Nord, secondo un rapporto delle Nazioni Unite, protegge i suoi materiali per lo sviluppo di armi nucleari dall’eventualità di attacchi militari, e secondo il Center for Strategic and International Studies di Washington, potrebbe avere fino a 20 basi missilistiche non dichiarate: tra cui, si pensa, quella di Sino-ri, che verrebbe usata come base centrale per il lancio di missili balistici a medio raggio, i No Dong-1, in grado di raggiungere la base militare Usa di Guam, nell’Oceano Pacifico.

Nessun segnale apparente di attività arriva, invece, dalla centrale di Yongbyon: le immagini satellitari visionate dai esperti di 38 North indicherebbero che le strutture principali per l’arricchimento dell’uranio sono ferme, anche se il sito resta operativo e in buono stato di manutenzione. A settembre, Kim aveva promesso lo smantellamento «permanente» della centrale durante il terzo incontro con il presidente sud-coreano, Moon Jae-in, a Pyongyang.

L’impressione è che permanga un abbassamento dei toni nella retorica. I media del regime si sono astenuti dal riprendere l’annuncio di Trump sulle date del summit, come prevedibile, e dall’alto non sono arrivati ordini per mobilitazioni di massa, in presenza di ricorrenze sensibili.

L’8 febbraio scorso, in occasione dell’anniversario della fondazione dell’esercito nord-coreano, ricorda l’agenzia di stampa giapponese Kyodo, non ci sono state parate militari, ma solo sventolii di bandiere nelle strade principali di Pyongyang. Assenti anche gli slogan inneggianti ai progressi del programma di armi nucleari. La diplomazia, intanto, è in movimento. Il mese scorso, il capo negoziatore del regime, il generale Kim Yong-chol, ha consegnato nelle mani di Trump una lettera del dittatore nord-coreano. Ex uomo di punta dei servizi segreti militari e braccio destro del leader, Kim Yong-chol è stato per anni una delle figure più sinistre del regime, accusato di essere dietro l’affondamento della corvetta sud-coreana Cheonan e l’attacco all’isola di Yeonpyeong del 2010. Nel 2018 ha guidato la delegazione nord-coreana alle Olimpiadi invernali di Pyeongchang, Corea del Sud, diventando uno dei volti del «disgelo olimpico» e contribuendo a riavviare il dialogo con Seul e Washington. A condurre le trattative pre-summit c’è anche l’inviato di Pyongyang per i colloqui con gli Usa, Kim Hyok-chol, già ambasciatore in Spagna: la sua stella è vista in ascesa, dagli analisti di Seul, nei negoziati con Washington. Dipinto come un funzionario dal sangue freddo, Kim Hyok-chol è poco noto a livello internazionale, così come un altro funzionario del regime, quasi sconosciuto fino alla scorsa settimana: Park Chol, vice presidente dell’oscura Commissione Coreana per la Pace nell’Asia-Pacifico, che si occupa della supervisione delle relazioni con la Corea del Sud. Park viene dipinto come un uomo sicuro di sé da una fonte citata dal quotidiano giapponese Asahi Shimbun: nei colloqui a Washington con Trump avrebbe interrotto il suo capo delegazione con precisazioni e commenti, irritando l’alto funzionario.

Il dialogo con Pyongyang non può escludere un ruolo chiave della Corea del Sud. Lo stesso presidente sud-coreano, Moon Jae-in, potrebbe avere un ruolo di mediatore nelle prossime settimane: a Seul si mormora di una sua possibile visita in Vietnam nei giorni del summit. La Casa Blu, l’ufficio presidenziale sud-coreano, lo ritiene improbabile, anche se una sua missione non sarebbe esclusa a priori. I

n primo piano, poi, c’è il Consigliere per la Sicurezza Nazionale di Seul, Chung Eui-yong. Lo scorso anno, a marzo, andò a Pyongyang e cenò con Kim. Fu a lui che il dittatore svelò l’intento di arrivare a una penisola coreana denuclearizzata: era un sogno di suo padre, disse, l’ex dittatore Kim Jong-il. Dalla visita emerse, per la prima volta, l’immagine di un leader nord-coreano «normalizzato» e persino auto-ironico, conscio dell’immagine che finora aveva dato di sé. In quell’occasione, Kim si sarebbe lasciato andare a una battuta sul programma di armamenti. Il presidente Moon, aveva detto, «non dovrà più svegliarsi presto la mattina» per l’allarme provocato dai missili, lanciati in orari antelucani. Finora Kim ha mantenuto la parola, ma non è pienamente soddisfatto: se non verrà allentata la pressione sulla Corea del Nord, ha detto nel suo discorso di capodanno, potrebbe scegliere «un sentiero diverso».

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