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Trenta: "Crisi di Governo? Rifarei la mia battaglia mille volte"

Il Ministro della Difesa, al centro delle polemiche sulla Crisi di Governo, difende le sue scelte (recenti) e contrattacca

Ministra Trenta, è dispiaciuta?

E perché mai?

Questa crisi nel governo si è aperta - anche - nel suo nome.

Ma figurarsi. È nata per problemi politico tra i due alleati di governo. E per volontà di Salvini, non di altri.

Ma il leader della Lega chiedeva anche la sua testa o no?

(Sorride). Ho letto questo retroscena: ma Salvini non ha ripetuto, in ogni piazza, che non era interessato ad alcuna poltrona?

I leghisti la accusavano di aver ostacolato il ministro dell’Interno nelle politiche sull’immigrazione.

Non ho ostacolato nessuno. Ho seguito la linea del governo, cioè il programma: Direi che ho difeso - sempre e soltanto - l’autonomia delle Forze armate. Lo faccio con orgoglio e lo rifarei mille volte ancora.

Quando ha visto l’inno di Mameli eseguito in spiaggia con le cubiste leopardate cosa ha pensato?

Lei mi vuole far litigare ancora con Salvini? Non ci riuscirà. Ma per me l’inno è un momento solenne.

Hanno detto che lei è la prima ministra della Difesa «pacifista», un ossimoro.

Voglio la pace, come tutti i militari italiani. Ma devo essere - e sono - pronta a tutto, persino alla guerra, per difendere la pace e il mio Paese.

Lei è capitano della riserva, come Salvini.

(Ride). Non direi. Lui è un capitano per finta, io per davvero. Ma non mi faccia litigare, su questo.

Il nome di Elisabetta Trenta, come è noto, era uno dei più importanti tra quelli che circolava in tutti i retroscena come una delle teste reclamate dalla Lega per proseguire l’avventura gialloverde. Questo prima del comunicato del Carroccio di giovedì pomeriggio che chiedeva il ritorno al voto. E prima del discorso in cui Conte attaccava Salvini al grido: «Noi non eravamo nelle spiagge». Peraltro, nei boatos la Trenta era in buona compagnia, insieme a Danilo Toninelli (sfiduciato di fatto dal voto della Camera sulla Tav) e a quello di Giovanni Tria (sul banco degli imputati di Salvini per le sue resistenze sulla manovra). Sul ministro della Difesa pesavano i conflitti sulla gestione dell’emergenza immigrati, il modo di vedere la missione «Sophia». Là dove la Trenta ritiene di aver difeso con unghie e denti le prerogative della Marina dalle invasioni di campo del ministero dell’Interno, e Salvini invece vedeva un avversario. Ma la ministra è così: una outsider orgogliosa, che oggi osserva: «Senza il Movimento una come me non sarebbe mai diventata ministro».

Ministro, da che famiglia viene lei?

Mio padre lavorava all’Enel.

Impiegato?

Esatto. Poi andò in pensione e fondò una piccola azienda nel settore delle telecomunicazioni. Io l’aiutavo a gestire l’aministrazione. Ma facevo di tutto.

In che senso?

(Sorriso). So persino montare «una basetta» di circuiti, avvito, svito, leggo la mappa di un circuito, so saldare. Da piccola volevo fare l’elettrotecnica.

E sua madre?

Era insegnante alle elementari. Io andavo nella sua stessa scuola, e cascavo sempre dalla sedia, perché mi mettevo all’ultimo banco e non stavo mai ferma.

Ribelle?

Diciamo movimentata e irrequieta: sono andata a scuola a cinque anni.

Enfant prodige?

Mia madre diceva alle colleghe: «Vedete come se la cava». Me la cavavo. Ho anche un fratello e una sorella.

È cresciuta in provincia a Velletri.

Lugo meraviglioso per una infanzia. Si lasciava la porta aperta, pure la notte.

Addirittura!

E che rischio c’era? Vino buonissimo, acqua cristallina, olio genuino, pane caldo. Ho il forno vicino casa, e siamo invasi dai profumi della cottura. Mia madre oggi ha 77 anni.

Superiori?

Liceo classico, sezione B. A Velletri nella A c’erano i professionisti, nella B i figli del ceto medio e del popolo, come me. Nella C gli sbandati i derelitti. Scherzo, ma non troppo. La provincia è così, classista.

Ha fatto politica da ragazza?

No, ma ero rappresentante di classe, perché prendevo le difese degli ultimi.

Voto alla maturità?

Cinquantotto, voto perfetto: la mia teoria è che chi prende il massimo è secchione e basta. Io invece ero secchiona ma attenta al mondo.

In che senso?

Ho fatto corsi di teologia di giornalismo, di sport e danza.

Caspita.

Ho scritto anche per dei giornali locali, fino a prendere il tesserino da pubblicista. Mi piacevano, due modelli: Carmen Lasorella e Lilli Gruber.

Lilli lo sa?

(Ride) Gliel’ho detto, ma non preoccupatevi. Da ospite mi ha pungolato lo stesso. È stata cattivella.

Ah.

Ma è il suo pregio, non guarda in faccia a nessuno.

E all’università?

Ero in dubbio: volevo fare filosofia, mi sono iscritta a matematica. Poi ho frequentato medicina, ma mi sono laureata in Scienze politiche.

Caspita. Idee chiare!

Indubbiamente. Dopo poco, per fortuna, ho capito che Scienze politiche era la facoltà per me. Crea dei «generalisti» con tante curiosità.

Meglio essere «generalisti»?

Il mondo ha bisogno di generalisti e specialisti. Ma i secondi senza i primi non funzionano.

In cosa si è lauereata?

(Sorride). In economia dello sviluppo con una tesi che forse interesserebbe a Salvini: problemi e prospettive dello sviluppo del sistema agroindustriale della Russia.

Però.

Il muro non era ancora caduto. Ero appassionata di Gorbaciov e di Wojtyla, gli ultimi personaggi che potevano cambiare il mondo. Ho imparato il russo.

Addirittura?

E parlavo anche inglese, e francese. Lo spagnolo lo capisco bene, ma non lo parlo, l’arabo ho iniziato a studiarlo e vorrei riprenderlo.

Il primo passo che la porta verso il ministero della Difesa lo compie inconsapevolmente.

È un Master in sviluppo internazionale presso lo Stoa di Ercolano, all’Università orientale di Napoli.

Siamo nel 2005.

Poi ne faccio un altro in Russia alle Nazioni Unite. Con una tesi sullo sviluppo industriale.

Inizia a scrivere di esteri.

Sì, per la rivista della fondazione internazionale Lelio Basso. Ero affascinata da tanti temi, studiavo come una matta. Mi avvicino al settore della cooperazione, prendo un master.

Per fare cosa?

Investivo su me stessa. C’era un Indirizzo aziendalistico, uno sulle ong, uno dedicato alle carriere internazionali.

E lei come si orienta?

Sul secondo. Volevo lavorare a livello strategico e non gestionale.

Inizia a collaborare con Suggest, che diventerà la sua prima casa.

Sì: era una società creata per gestire l’ultimo grande progetto della Cassa del Mezzogiorno. Ed era diretta, allora, da Bernardo de Bernardinis.

E di che si occupava lei?

Di un progetto di gestione idrica di tutto il sud, lavoravo nella segreteria.

Cosa faceva?

Di tutto. Per esempio cercavo bandi. Vincemmo il primo progetto internazionale, trovando come partner la camera del commercio di Montreal.

Poi, missione internazionale in Canada.

Esatto: rimasi sconvolta quando in un incontro mi resi conto che i peggiori pregiudizi sull’Italia erano frutto dei racconti degli ex emigranti italiani.

Per esempio?

Che da noi tutti si attaccassero illegalmente alle condotte idriche per non pagare le bollette.

E quindi?

Leggendo un articolo su Limes. A proposito dell’importanza del fattore emigrazione per l’Italia mi venne in mente l’uovo di Colombo.

Quale?

Se volevamo cambiare l’immagine del nostro paese dovevamo aggiornare l’immagine che gli italiani all’estero avevano di noi.

Come?

Accompagnando il sottosegretario Antonio Bargone, in Canada misi a punto un progetto contro lo stereotipo. Fu apprezzato.

Poi lei si occupa...

Della scuola internazionale dell’acqua per i Paesi mediterranei e della gestione delle infrastrutture in Cina. Finché non scoppia la guerra in Iraq e la sua vita cambia.

Era il 2004: il Formez aveva un progetto sulla formazione degli iracheni ma non trovava nessuno che avesse il coraggio di andare a gestirlo.

Perché?

I diplomatici temevano di rovinarsi il curriculum visto che c’era stato un intervento di coalizione. Per loro era compromettente.

Così si crea una opportunità e a gestire la missione va lei. Di che si occupa?

In un Paese in cui c’è una guerra civile c’è bisogno di insegnare «l’istitutional building», ovvero l’alfabetizzazione democratica.

Si ritrova nella irrequieta provincia di Nassirya, prima della strage.

Gli Esteri dovevano individuare un political advisor per la missione «Antica Babilonia». Mi ritrovo lì da ottobre 2005 a luglio 2006: vivevo con i militari, facevo vita di caserma, partecipavo ai meeting del comando.

Poi c’è l’attacco ai nostri militari. Dove si trovava?

Era l’aprile 2006, stavamo a Camp Mittiga. Avvertimmo una scossa, un rumore sordo, qualcosa che sembrava l’eco di un terremoto.

E poi?

Entra il comandante della sala operativa. Scambia due parole con il comandante. Capiamo subito, anche senza sentire. Qualcuno si commuove, senza che nessuno parli.

Cinque vittime.

Un disastro. Perdere i propri compagni... La prima cosa che pensi è che poteva essere chiunque di noi. Ogni strage in una missione è una ferita anche per chi resta.

In quei giorni drammatici lei incontra persino il suo futuro marito.

L’uomo che sarebbe diventato mio marito era in missione nel genio. Io ero in Iraq già con la «Ariete» lui era arrivato con la Sassari. E abbiamo condiviso molto.

Come mai?

Ci incontravamo tutte le mattine al breafing. Spesso io arrivavo tardi alla riunione.

E questo aveva importanza?

Sì, perché il mio posto sarebbe stato in prima fila, ma finivo sempre dietro, dove stava lui. E scherzavamo.

In che senso?

Quando toccava a me mi prendeva in giro mettendosi sull’attenti e dicendo: «Nessuna novità signore!». Ah ah ah.

È così marziale?

(Sospiro). No. Ma lui si chiama Claudio: è un uomo ironico che adesso ha sopportato anche il difficile fardello di avere una ministro per moglie.

In che senso?

Claudio è militare dalla testa ai piedi ma ha ironia. La sua battuta preferita è: «Chi lo avrebbe detto? Prima uscivano in due, adesso siamo sempre in sette».

Non riferisce a degli amanti, ovviamente, ma alla sua scorta. È così?

È un soldato. Soffre la sua condizione scomoda di oggi in silenzio. Sta facendo un grande sacrificio.

È finito persino nel mirino delle malizie e delle dicerie.

Ci sono stati boati e molte proteste perché dipendeva nella linea di comando da un colonello che gestiva gli armamenti.

Suggerivano il conflitto di interessi?

Ma figurarsi. Mi ci immagina a discutere di commesse con Claudio in soggiorno? Ridicolo. Era un semplice capitano nella segreteria del generale Falsaperna. Volevano solo strumentalizzare questa condizione per attaccare me.

E suo marito ha dovuto fare un passo indietro per cancellare ogni dubbio.

Adesso credo che stia stato assegnato agli Affari generali.

Addirittura lei non sa dove sia finito?

Sì, non ne parliamo, non so cosa faccia ed è meglio. Mi sono disinteressata della vicenda per non creare problemi.

Non c’è una foto pubblica di voi due insieme.

Raramente mi accompagna. Non si fa vedere. E fa bene, perché quello che ha subito non si deve ripetere.

Vacanze dove?

Gireremo i famosi stabilimenti balneari delle forze armate. Lo facevo già prima: ora da ministro preferisco a maggior ragione un ambiente più protetto. Ma andremo in ferie? Mistero.

Niente Papeete?

Non riuscirà a farmi litigare con Salvini....

Le ultime dove le ha fatte?

A Palau, dove c’erano molti della Brigata Sassari, ambiente umano stupendo e stimolante.

Torniamo alla fine della missione in Iraq. Qui c’è il secondo passo che si rivelerà decisivo per lei.

Quando è finita ho deciso che bisognava studiare di più. Mi sono appassionata, dovevo sapere e conoscere di più.

Ma dopo la strage come si era regolata??

Mia madre era terrorizzata. Ma non le ho detto nulla e sono uscita dalla base per fare il mio lavoro tutti giorni.

E lei?

Era angosciatissima, ma pensava che fossi al sicuro. Poi un giorno ho mandato una foto a mio fratello con il giubbotto anti-proiettile, lei l’ha intercettata e ha capito subito.

Era diventata fonte dell’intelligence.

Per via del mio lavoro venivo a conoscenza di molte cose. Le informazioni servivano a proteggere chi era sul campo, sapevamo che potevano salvare delle vite.

Ogni giorno le vostre vite dipendevano anche dalle informazioni. Questo la segna?

È così. È per questo che quando torno in Italia mi iscrivo alla Link University di Vincenzo Scotti

Era - ed è - l’unica università italiana che facesse un master in intelligence.

Mi sono pagato il corso da sola, e per fortuna avevo lo sconto, perché quando ho iniziato a fare il master lavoravo già alla Link.

Scotti è diventato il suo Pigmalione.

Leggende. Pensi che l’ho conosciuto solo alla fine del corso

Lei è la sua pupilla. Non è vero nemmeno questo?

Scotti aveva tanti pupilli. Però è vero che mi ha apprezzato sempre, come tante degli straordinari colleghi che ho alla «Link».

E infatti dopo il Master lei ci resta a lavorare.

Ho iniziato a fare l’attività di coordinamento. È questo inprinting mi ha fatto entrare nella riserva selezionata dell’esercito e poi come ricercatrice al Cemis sui miei temi: cooperazione e sicurezza.

Come nasce il rapporto con i Cinque stelle?

Questo è bello. Io sono di storia e cultura democristiana. I miei genitori erano nell’Azione cattolica.

Anche lei ha fatto in tempo?

A 19 anni mi presentai alla sede della Dc, in paese. Piena di entusiasmo.

E invece?

Un signore che era lì mi dice: «Di che corrente sei?». Me ne vado disgustata.

Poi fa una esperienza da amministratrice nell’Udc. Va meglio?

Peggio. Mi candido in consiglio comunale, Prima vengo eletta in consiglio, poi divento assessore. E mi ritrovo a votare contro la mia stessa maggioranza.

Su cosa?

Su tutto. Provvedimenti amministrativi, appalti, concorsi...

E come finisce?

Bene per me. Sono l’unica di quella amministrazione che - proprio per questa mia diffidenza - non si è ritrovata sotto inchiesta.

Era molto lontana dal modello Cinque stelle, però.

Invece è il contrario: avendo conosciuto quella politica ne desideravo un’altra, tutta onestà, trasparenza e meritocrazia. Non ho mai accettato compromessi.

Come si avvicina a Grillo?

Nei primi anni in cui cresce il Movimento, Paolo, mio fratello, era stato uno dei fondatori del meet up a Velletri.

Quindi lei entra subito?

Nooo... Perché per la mia indole moderata capivo la protesta, ma non mi riconoscevo del tutto nell’estetica dei «vaffa».

Era una «dimaiana» ante-litteram.

Si può dire così.

Ma è vero che faceva anche l’insegnante di catechismo?

Vero. Le mie due lezioni preferite sono il figliol prodigo e la casa sulla roccia.

Perché sceglie la roccia?

(Sorriso). Perché è molto utile nella vita, anche oggi. Non crolla, qualsiasi cosa accada.

E poi che succede?

I Cinque stelle mi propongono di candidarmi. Coi i valori in cui credevo: onestà, cittadinanza, democrazia diretta.

E cosa fa?

Dal 2013 partecipavo ai «meet-up».

Di che si occupava?

Delle cose che conosco. Pensi che organizzo una conferenza internazionale sulla Libia del Movimento.

Cosa pensa oggi di quella stagione?

Senza il Movimento una come me non sarebbe mai diventata ministro.

Poi c’è la svolta moderata di Di Maio.

Io c’ero nel Movimento e la condivido fino all’ultima virgola. Per esempio al convegno «Non fossi mai Nato» avevo scelto di non partecipare.

Troppo estrema come piattaforma per lei?

Non mi spaventavano le istanze radicali, ma le cose sbagliate.

Ma come diventa ministro una normale attivista?

(Sorride). So che è incredibile, ma è andata così. Sono stata chiamata da Di Maio. L’avevo visto alla Link, nel 2016. L’ho avevo ascoltato attentamente, punto.

E poi?

Lui ha voluto conoscere i candidati, Paola Giannatakis e me.

E lei cosa gli ha risposto?

«Luigi: queste sono materie di cui mi occupo da sempre se ti serve una mano te la do». Intendevo dire: se ti serve un dossier te lo faccio.

Tutto qui?

Giuro. Evidentemente Gigi si è informato su chi ero. Perché poi mi chiama un suo collaboratore e mi dice: “Ci manda il curriculum?”

E poi?

Nulla. Ma ero al computer, pochi giorni dopo, quando squilla il telefono: «Sono l’assistente di Di Maio, Luigi voleva offrirle un posto al governo».

Non ci credo.

Sono rimasta interdetta. Non dicevo nulla.

E lui?

Non capiva: «Ma è interessata o no?».

E così vi siete parlati.

Luigi mi dice: «Tu puoi parlare ad un’anima a cui il Movimento non arriva. Per noi è molto importante in questa campagna elettorale».

Quella centrista, moderata.

Esatto.

Entrate in sintonia.

Un giorno mi chiede: «Stiamo facendo il governo. Preferisci esteri o difesa?».

Il governo «governo ombra», prima del voto. E lei cosa sceglie?

Per tutta la mia storia non ho avuto dubbi: Difesa.

Tutto qui?

No, Luigi mi dice anche: «Sai se c’è qualcosa che può crearti problemi?». Gli rispondo: «Ho un marito militare». E lui: «Vabbè, ma che problema è?». Purtroppo avevo ragione io.

Poi lei fa le parlamentarie?

Mio marito diceva: «Ma che le fai a fare?». E poi, in romanesco: «Lassa perde! Tanto non ti chiameranno mai».

E poi?

Dopo quel voto arriva una telefonata.

Di chi stavolta?

Alessio Festa, collaboratore di Di Maio.

Perché?

Era seccato: «Ma che fai? Non rispondi a Rocco!?».

Cioè Rocco Casalino. E perché non rispondeva?

Io, abituata ai rapporti internazionali, gli sms nemmeno li guardavo.

E cosa diceva Rocco?

«Sei nella squadra».

Una botta.

Da quel momento accade di tutto. Giornalisti che si nascondevano dietro le piante. Gente che scrive: «La Trenta vendeva armi in Libia».

Gestiva i contractor.

Formavamo gli ex combattenti. Pensi, un progetto per usarli come forze di sicurezza per i siti archeologici. Sembrava che fossi diventata la capa di una banda di mercenari!

Era una idea geniale.

Per fargli riconsegnare le armi bisognava renderli fieri.

Ha rischiato la vita?

In Libia una sera andavo agli incontri da sola. Uscivo dall’albergo mentre si sentiva sparare e mi facevo il segno della croce. Ci arriverò?

Non era esagerazione.

All’«Al Waddan» le milizie erano entrate nelle stanze. La notte prima di andare a dormire spostavo i mobili davanti alla finestra e alla porta e dormivo vestita.

Telefonava a casa?

Sì, ma non erano dialoghi romantici: «Claudio qua sparano!».

E lui?

«Girati dall’altra parte e dormi con gli angeli». Un genio.

Il giorno prima del giuramento?

Ero all’università: e leggevo il mio nome nei toto ministro sui giornali.

Scotti era molto contento.

Quel giorno non c’era.

Preoccupata?

Uhh... non mi rendevo conto. Una sola notte non ho dormito. Quando mi hanno detto che dovevo andare al Quirinale mi sono chiesta: «Che mi metto domani?». Avevo la giacca, non il pantalone e le scarpe.

Come ha fatto?

Ci aveva pensato Claudio.

Uomo santo.

Era il 1° giugno. Poi mi sono trovata nel terremoto del 2 giugno. Il 4 era il mio compleanno. Il 5 giugno la riunione Nato. È iniziato un film che non è ancora finito.

Esempio?

Il consigliere diplomatico che mi faceva ripassare i dossier mentre mi vestivo. Meno male che erano le cose che studiavo già!

Adesso dicono che lei è il ministro che vuole abbandonare l’Afghanistan.

Non ho mai voluto ritirarla. Siamo pronti a rimodularla, invece. Visto che Trump annuncia disimpegno.

È servita la missione?

I diritti delle donne sono molto di più di quando siamo arrivati il livello di scolarizzazione e la speranza di vita dei ragazzi erano più basse. Sono fatti.

Lei dice che vuole le caserme verdi.

Nel senso che le voglio ecosostenibili.

Dice che è orgogliosa dei corsi per pizzaiolo fatta dall’esercito in Libano. Vero?

Sono attività del Cimic, attività di cooperazione civile e militare. Straordinarie perché proteggono e stabilizzano.

Vuole più impegno in Africa.

In Niger la missione si rafforzerà, ma quando ce lo chiederanno loro. Per ora ci sono 103 soldati.

Mi sembra prudente.

Quando il presidente nigerino sente che ci saranno 400 uomini si spaventa.

È vero che sta lavando in pubblico gli stracci sporchi dell’uranio impoverito?

Certo, è un tema che mi sta molto a cuore.

Perché?

Chiunque abbia lavorato per la difesa deve essere tutelato, anche se le cose non sono andate bene.

Sta dicendo cose imprudenti?

Fino a ieri da noi veniva negata qualsiasi relazione malattia-uranio. Io, invece, credo che ci sia di sicuro.

È un «panno sporco».

Vero. Finché non ammetto il problema non posso assistere chi è rimasto colpito.

Tria vuole far cassa vendendo i beni militari.

Abbiamo un patrimonio nato due secoli fa. Occorre ridurre il numero delle caserme, ammodernale

Come dovrebbero cambiare??.

Le voglio più belle, e più ecosostenibili. Spazi aperti al territorio.

Ha offerto i militari per operazioni di polizia.

Noi abbiamo firmato un accordo sulla Terra dei fuochi. Ognuno deve intervenire con le sue competenze. Ho messo 250 uomini a disposizione del sistema.

Ha frenato l’industria militare?

(Ride). Non c’è stato un momento della storia in cui sono partiti tanti programmi.

Armi?

Per me è industria della difesa. È un elemento di forza del nostro Paese. È associata alla ricerca, alla tecnologia.Internet è nato da un programma militare così come la Tac. Io ho cinque...

Cinque stelle?

No, «Cinque  E»: efficiente, energeticamente neutra, economicamente sana, eticamente allineata...

La interrompo. Il conflitto con Salvini sui mari?

Noi abbiamo una operazione che si chiama «Mare sicuro». E ora possiamo potenziare la polizia marittima.

Cioè?

Vorrei che la missione «Sofia» riprendesse la sua piena funzionalità.

Avete raccolto immigrati, dice Salvini.

È stata una attività minima. Le navi di «Sofia» lottavano contro i traffici di armi e di persone, traffico di petrolio.

Giusto chiudere i porti?

Problema che deve risolvere in Europa.

E ora?

Se questo governo finisce, tutto questo lavoro si perde.

Mi dica due cose imparate al «master di intelligence» della Link.

(Risata) Prima regola: «Non farsi scoprire». Facevamo pure i pedinamenti...

Ma è roba per spioni.

Meno male che ci sono gli spioni. Tra gli alunni c’era uno scrittore. Mica James Bond!

Altro insegnamento utile.

Nulla è ciò che sembra.

Esempio?

Il rischio di diventare fonte inconsapevole.

E come lo supera?

Mi sono sempre fidata di me stessa, del mio intuito. Se guardi le persone negli occhi, difficilmente ti sbagli.

Un esempio di quando le è servito?

Negli incontri con i cinesi. Il capo delegazione è sempre un altro, non quello che indicano loro.

Bella. Oppure?

Il vice delegazione americano. Arrivava con la Bibbia e con il rosario per abbindolare noi. Ridicolo. Capivamo subito cosa faceva.

Mi dica una cosa per cui questo governo sarebbe dovuto continuare.

Perché ha avviato tante cose. Anche nel mio ministero. Perdere questo lavoro fatto è una follia.                                       

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Luca Telese