stupratore seriale
(Ansa)
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La storia dello stupratore seriale, clandestino, che non riusciamo ad espellere dall'Italia

Lui si chiama Valentine Omwanta, e da solo, spiega i limiti della nostra giustizia

«Quasi tutti i provvedimenti di espulsione in Italia non risultano ottemperati, e il caso Valentine Omwanta lo stupratore seriale, ne è una dimostrazione». C'è amarezza ma tanta certezza nelle parole del’avv. Daniele Bocciolini, penalista, che ci racconta una vicenda che è drammatica ed esempio chiaro delle fragilità del nostro paese a livello giuridico e normativo.

È un caso che ha dell’incredibile quello di Valentine Omwanta, lo stupratore seriale che l’Italia non riesce ad espellere. L'uomo, immigrato clandestino dal 2015, ha commesso tre violenze sessuali riuscendo a evitare l'espulsione. Nel 2016, il 32enne di nazionalità nigeriana è stato arrestato in Sicilia, a Trapani, per violenze, lesioni e rapina, abusando di una 57enne. Condannato a 7 anni di carcere, ha successivamente patteggiato riducendo la pena.Dopo essere tornato in libertà, si è trasferito sul litorale romano e ha colpito ad Anzio, dove ha brutalmente violentato una 19enne lo scorso maggio. Prima di Anzio, ha compiuto un'altra violenza sessuale nei confronti di una romana di 44 anni la sera del 30 settembre 2022 in zona Garbatella, all'interno della sua macchina.
Attualmente detenuto nel carcere di Velletri in provincia di Roma, Omwanta è riuscito a eludere non solo l'espulsione, non adempiendo al provvedimento nonostante i gravi precedenti penali, ma è anche in attesa di protezione internazionale, ed ha evitato il Centro di Permanenza per i Rimpatri (Cpr) grazie a un certificato della ASL.

Come si spiega? Qual è l’anello debole del nostro ordinamento?

«Nel nostro ordinamento ci sono vari tipi di espulsione per gli stranieri “irregolari”, cioè che non hanno un permesso per restare sul territorio italiano (nè per motivi di turismo, nè di lavoro, né una forma di protezione internazionale né sono in attesa che la loro richiesta venga esaminata). Purtroppo su questa materia le maglie della legge sono davvero troppo larghe e consentono di fatto questi paradossi. Nei confronti di questo soggetto era stata applicata, oltre alla misura dell’espulsione amministrativa essendo entrato e trattenendosi nel nostro Paese illegalmente, anche l’espulsione come misura di sicurezza trattandosi di soggetto pericoloso socialmente. In particolare, dopo la condanna era stato emesso nei suoi confronti il provvedimento di allontanamento per motivi imperativi di pubblica sicurezza. Questo atto viene emesso dal prefetto e eseguito dal questore. Nel decreto di allontanamento si prevede il termine stabilito per lasciare il territorio che non può essere inferiore ai 30 giorni e un periodo di divieto di reingresso di 5 anni. Il problema è che questo tipo di “ordini” restano nella maggioranza dei casi sulla carta. Possono poi essere impugnati, passa altro tempo. Quasi tutti i provvedimenti di espulsione non risultano ottemperati. E nel frattempo quel soggetto è libero di spostarsi nonché di commettere altri reati come nel caso di specie. In sostanza, si rimette tutto all’allontanamento volontario da concordare con la persona espulsa – probabilmente per questioni di forze e risorse – a cui viene semplicemente dato un termine entro il quale lasciare l’Italia. Ci sono migliaia di persone alle quali viene semplicemente consegnato un foglio che gli ordina di lasciare l’Italia, senza però che questa misura sia davvero applicata. I casi di espulsione immediata con accompagnamento alla frontiera sono, infatti, rarissimi. A mio sommesso giudizio, nei casi meno gravi, dovrebbero essere resi efficaci e concreti i programmi di rimpatrio volontario assistito (una specie di via di mezzo fra l’espulsione e il rimpatrio forzato). Negli altri casi, quando si tratta si soggetti pericolosi, vanno invece accompagnati coattivamente a lasciare il Paese. C’è poi il fattore tempo che spesso gioca a loro favore. A volte, come in questo caso, per esaminare una richiesta di protezione internazionale passano 2/3 anni».

L’uomo è stato dichiarato con un certificato medico non idoneo alla misura detentiva del Cpr ed è ancora in attesa di risposta di protezione internazionale. Cosa ne pensa?

«In questo caso dopo la condanna definitiva e altri procedimenti pendenti, dopo un primo decreto di espulsione mai eseguito , la Asl aveva certificato che le sue condizioni di salute non erano compatibili con il trattenimento nel Centro di permanenza per i rimpatri. Pur non mettendo in dubbio lo stato di salute nel quale versava questo soggetto, che sicuramente consente la valutazione in ordine alla inidoneità alla permanenza nel centro, il paradosso - consentito dalla legge - è che nei suoi confronti era stato emesso un secondo decreto di espulsione, anch’esso rimasto inottemperato. In questo modo, è rimasto libero di commettere altri reati».

Crede che sia un’eccezione questo caso o è comune?

«Penso che chi è irregolare sul nostro territorio, chi vive di espedienti, commettendo reati su reati ed è stato già condannato, non deve in alcun modo poter continuare liberamente a soggiornare nel nostro Paese. Ritengo che in uno Stato di diritto la risposta debba essere immediata, anche per tutelare la sicurezza di tutti. Quanto alla domanda di protezione internazionale, è giusto che sia analizzata attentamente, perché non possiamo espellere una persona che nel proprio Paese di origini rischia di essere perseguitato, si tratta di proteggere i diritti umani fondamentali. Ma non ci si può impiegare una vita per analizzare queste domande (spesso totalmente prive di fondamento) e lasciare nel frattempo totalmente liberi questi soggetti. È un problema che deve essere risolto».

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Linda Di Benedetto