Obama si affida all'Iran per non perdere la guerra a Baghdad
Barack Obama (Getty Imagines/ Nicholas Kamm)
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Obama si affida all'Iran per non perdere la guerra a Baghdad

Il presidente Usa ha detto che non invierà truppe di terra in Iraq, ma lascia aperte altre opzioni militari. Indiretta alleanza con Teheran per fermare i sunniti

La Casa Bianca si è accorta dall'essere a un passo dal disastro in Iraq. Così l'opzione militare per fermare l'Isis, che fino a qualche settimana fa era stata esclusa, questa volta viene valutata. Ma nessun soldato statunitense verrà inviato sul terreno iracheno.

Barack Obama ha fatto finalmente sentire la sua voce, ma la sua politica è ancora all'insegna della prudenza. Con una dichiarazione rilasciata dal Giardino delle Rose, il Comandante in Capo ha spiegato cosa intende fare per evitare il collasso del governo di Baghdad.

La prudenza di Obama

Nonostante la difficilissima situazione in cui si trova Al Maliki, nonostante la capitale irachena rischi di essere ben presto circondata dall'avanzata dell'Isis, l'esercito jihadista che in pochi giorni ha conquistato una larga porzione del paese, Barack Obama ha detto di non voler impegnare alcun soldato americano a terra. Nei prossimi giorni, ha spiegato, potrebbero essere decise alcune precise misure per aiutare il governo iracheno.

Di cosa si tratta? L'ipotesi è quella di lanciare dei raid aerei e di droni per bombardare le truppe dell'Isis. A questo proposito, il Pentagono ha fatto sapere di avere spostato una portaerei nel Golfo Persico, pronta per un possibile blitz già nei prossimi giorni.

Nelle scorse settimane, Al Maliki aveva chiesto un intervento di questo tipo alla Casa Bianca, ma la risposta era stata negativa. Obama non voleva un coinvolgimento americano in Iraq, nel paese dal quale si era ritirato dopo la guerra del 2003. 

Ora, invece, l'attacco aereo appare molto probabile. La sottovalutazione della situazione, la naturale inclinazione alla prudenza da parte di Barack Obama hanno portato gli Usa e il governo Al Maliki sull'orlo del disastro: la vittoria della formazione armata jihadista.

Il ruolo dell'Iran

La Casa Bianca cerca ora di correre ai ripari. Ma secondo molti commentatori militari o ex alti ufficiali delle forze armate americane è ormai troppo tardi. Nessun blitz aereo potrà far cambiare gli equilibri che si sono formati sul terreno.

Entra così in scena l'altro importante attore in scena: l'Iran. Teheran non vuole che il fronte sunnita  - che potrebbe coagularsi attorno all'Isis - vinca la partita. Vorrebbe dire dividere il paese in tre aree (sunnita, sciita e curda), o peggio,  per gli iraniani, significherebbe perdere l'influenza su Baghdad. 

L'Iran combattera' il terrorismo sunnita"" in Iraq e non permettera' a Paesi stranieri di "esportare il terrore"nel Paese - ha detto il presidente iraniano Hassan Rohani in una conversazione telefonica con il premier iracheno Nouri al-Maliki.

Teheran ha già predisposto l'invio di battaglioni di Pasdaran per combattere a fianco delle truppe irachene. La Casa Bianca fa buon viso a cattiva sorte. Obama non vuole impegnare gli Usa in una nuova avventura militare in Iraq, ma non vuole neppure vedere collassare il regime iracheno: gli Usa hanno strategici interessi in quel paese. Per questo, tirato per la giacca, ora pensa ai raid aerei.

Allo stesso tempo, è ora disposto a collaborare con Teheran contro l'Isis, ma non vuole che gli iraniani aumentino la già grande influenza che hanno nel paese. Gli Stati Uniti hanno lo stesso interesse degli Ayatollah: evitare la caduta di Al Maliki, ma non vogliono che alla fine siano solo gli iraniani a beneficiare dell'intervento a favore di Baghdad.

Se poi si pensa al fatto che dietro l'Isis ci sarebbero alcuni paesi della penisola arabica, tra cui gli stessi sauditi (riottosi alleati degli Usa), il quadro che emerge fa capire come questa crisi sia una potenziale minaccia alla stabilità dell'intero Medioriente.

Sembra che Barack Obama se ne sia accorto solo ora.

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Michele Zurleni

Giornalista, ha una bandiera Usa sulla scrivania. Simbolo di chi vuole guardare avanti, come fa Obama. Come hanno fatto molti suoi predecessori

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