sportello anti usura praia a mare
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Lo sportello anti usura? In una parrocchia…

Succede a Praia a Mare, in Calabria, dove Don Ennio Stamile, da poche settimane nella sua nuova parrocchia, ha voluto imprimere il segnale forte della presenza della Chiesa

Prete coraggio in alcune aree della Calabria della criminalità organizzata, per Don Ennio, tra fede e impegno laico, «occorre un moto di ribellione interiore perché è a repentaglio il futuro nostro, dei nostri giovani, dei figli di questa terra che alla fine scapperanno, condannando questa regione all’imbarbarimento, alla desertificazione, alla rassegnazione del tempo».

Sarebbe sin troppo facile tirare in ballo Guido Piovene, Giuseppe Berto e Cesare Pavese che calabresi non lo erano nemmeno lontanamente salvo, poi, innamorarsi di questa terra appena vi misero piede per i motivi più disparati: addirittura, Berto avrebbe scelto di farsi seppellire nella “sua” Capo Vaticano, dopo donchisciottesche battaglie in difesa di uno dei promontori più belli al mondo. Per non parlare dei grandi viaggiatori mittleuropei che tra il XVIII ed il XX secolo scelsero la Calabria come meta del tradizionale Bildungreise, quel viaggio di istruzione e formazione tipico delle classi agiate e colte delle società europee. Per non parlare dei tremila anni di storia di questa terra….

Questa volta, invece, basterà citare illustri calabresi “doc” che nel loro slancio estremo di amore per la Calabria, non di rado avrebbero fatto emergere, con chiari intenti pedagogici, il lato oscuro e misterioso di questa terra.

Corrado Alvaro, nel 1931, non perderà occasione per definirla “paese e gente difficile”, mentre toccherà a Leonida Répaci appellarla addirittura “amara”. E misteriosa, a dar credito alla fama che avvolgeva soprattutto il paesaggio calabrese nelle pagine di intere generazioni di scopritori. Solo che, oggi, quel mistero paesaggistico ha drammaticamente lasciato il posto ad uno di stampo socio-politico ed insieme psico-antropologico: un atteggiamento ancora difficile da abbattere, che si pensava ormai consegnato alle cronache ma che, invece, occupa la contemporaneità di alcuni testimoni del nostro tempo. Tra questi, tra fede ed impegno più ampiamente laico, un “prete coraggio”, la cui vita è segnata da questa sua doppia missione.

Panorama.it ha incontrato Don Ennio Stamile per capire cosa significhi diffondere il Vangelo in una terra “difficile” come la Calabria contemporanea.


Ha appena inaugurato uno sportello antiusura e antiracket nel bel mezzo della sua parrocchia. Un messaggio potente…

«Direi indicativo dell’impegno di una comunità ecclesiale parrocchiale che deve innanzitutto prendersi cura delle diverse problematiche che vive un territorio: aprire uno sportello antiusura nel luogo esatto in cui annunciamo il messaggio fondamentale della fede cristiana significa che la Parrocchia si offre come supporto per quei cittadini che, malauguratamente, dovessero incappare nel terribile giogo dello “strozzinaggio”. E poi la mia parrocchia è intitolata a San Paolo, il principale evangelizzatore tra i pagani, i greci e i romani».

L’usura, male antico…

«Ce ne parlano la Bibbia, i Padri della Chiesa e il Diritto canonico. L’usuraio cristiano era considerato alla stregua di un ladro, e come tale era emendabile e condannabile agli occhi della sua comunità. Pensiamo che nella Chiesa dei primi secoli la proibizione di praticare l’usura era rivolta anche ai chierici e agli uomini di chiesa: insomma, anche l’usuraio cristiano era un peccatore perchè ladro. E sappiamo anche perché: perché rubava non solo agli uomini, ma direttamente a Dio. Aveva l’ardire di vendere il tempo che intercorre tra il momento in cui prestava il denaro ai bisognosi e il momento in cui quest’ultimi lo rimborsavano con gli interessi».

E’ opinione acclarata, anche giudiziaramente, che la criminalità organizzata in Calabria non controlli solo larghe fasce del territorio, quanto lo stesso tessuto socio-economico…

«Ecco il perché dell’inaugurazione di uno sportello antiusura e antiracket, perché il cittadino possa sapere di avere un luogo fisico cui rivolgersi: una parrocchia, una chiesa che si mettono a disposizione della comunità affiancando le istituzioni ufficiali dello Stato, quali le Procure della Repubblica e le diverse Forze dell’ordine. E questo passaggio è fondamentale: è facile per un cittadino in stato di bisogno economico mimetizzarsi tra i fedeli che ci frequentano, dando meno nell’occhio rispetto che recarsi direttamente nei luoghi istituzionali. In parrocchia i fedeli vengono per le funzioni religiose, ovviamente…».

Lei è da anni impegnato in prima linea contro alcune delle cosche più pericolose del panorama criminale calabrese…

«Il mio impegno di sacerdote sul campo, come esplicazione del già citato messaggio fondamentale della fede cristiana, ebbe il battesimo del fuoco con l’inizio del mio ministero sacerdotale, come parroco, a Cetraro (dal 2001 al 2015, nda), comunità di antichissime origini, fiore all’occhiello dell’antica marineria calabrese, posta sulla costa tirrenica cosentina, ma da anni gravata da una forte presenza criminale. In quella circostanza ebbi subito contezza del male assoluto che la criminalità organizzata -la ‘ndrangheta, per intenderci- provoca ad un territorio. Persone innocenti, affetti, relazioni familiari e lavorative che si trovano ad essere letteralmente spazzate via nella propria essenza, perché questo “cancro” si insinua sin dentro le persone».

Termine altamente evocativo…

«Lo dobbiamo ad un sacerdote considerato l’antesignano della lotta sociale alla ‘ndrangheta in Calabria, quel Don Italo Calabrò, reggino, che già negli anni Settanta, dalla sua comunità di recupero dei giovani di strada, la definì più specificamente, “cancro esiziale”, cioè fortemente dannoso, pericoloso per la comunità e, se non arginato, incurabile. E le cui metastasi si allungano verso la sanità, la politica, le istituzioni, con le difese dello Stato spesso in affanno».

Non si contano più le intimidazioni di cui è rimasto vittima: dalla testa di maiale mozzata con in bocca un pezzo di stoffa, collocata sul pianerottolo di casa, al capretto morto, deposto in una busta della spazzatura attaccato alla sua auto…

«Questi i casi più eclatanti, diventati di pubblico dominio anche per una certa spettacolarizzazione del messaggio criminale. Nel primo episodio, capitatomi a fine gennaio del 2012, quella striscia di stoffa rappresentava il bavaglio che la cosca locale voleva impormi, affinchè ponessi fine al mio impegno. In caso contrario avrei fatto la fine del povero maiale, cioè morto sgozzato. Anche nel secondo episodio, dopo l’Epifania del 2018, c’è poco da aggiungere. Si tratta di classici esempi del linguaggio delle cosche…».

La ‘ndrangheta è dolore: non solo criminale, ma anche umano…

«E’ l’altra sfumatura con cui convivo da sempre, quella di toccare i sentimenti umani distrutti per sempre. Come nel caso di un’anziana signora, piegata dal dolore, per l’omicidio del giovane figlio, un caso di lupara bianca. A quella donna era stato negato persino il diritto di poter piangere su una tomba, di poter portare un fiore sulle spoglie della sua creatura».

Lei non si è fatto mancare nulla: a Limbadi, nel vibonese, feudo della potente famiglia dei Mancuso, tra le più sanguinarie della ‘ndrangheta, ha anche aperto una singolare Università…

«Un sogno realizzato tra mille difficoltà, su un territorio difficile e una burocrazia asfissiante, portato a termine grazie ai volontari dell’Associazione San Benedetto Abate, e che è divenuto l’Università della Ricerca, della Memoria e dell’Impegno: tre immobili ed un terreno confiscati a quella famiglia che ritrovano una nuova occasione di riutilizzo sociale, offrendo una concreta possibilità di lavoro, di formazione e di educazione alla responsabilità e alla cittadinanza attiva. L’università è intitolata a Rossella Casini, che ho definito la “straniera”…».

Già, Rossella Casini non era proprio calabrese…

«La storia di quella brillante e coraggiosa studentessa fiorentina, innamoratasi tra i banchi dell’università della sua città del rampollo di una famiglia di ‘ndrangheta, Francesco Frisina, nel mezzo della guerra di ‘ndrangheta di Palmi, alla fine degli anni Settanta e il suo tentativo di convincerlo a rinnegare la sua appartenenza criminale, le costarono la vita. “Fate a pezzi la straniera” fu l’ordine che partì dalla famiglia del suo “amore”: Rossella scomparve il 22 febbraio del 1981: fu sequestrata, stuprata, fatta a pezzi e gettata nella Tonnara di Palmi.».

A proposito di imprenditoria…

«Franco Cascasi, un imprenditore illuminato, intuitivo e visionario del Vibonese, sognava di trasformare la storia “segnata” di un territorio, lavorando per il futuro e il bene di una comunità diseredata, immersa in quel Sud dallo sviluppo bloccato, ma viene lasciato solo a combattere contro la ’ndrangheta e i suoi affiliati. Durante i miei sette anni da referente regionale di Libera, ho raccontato questa storia, un reportage ininterrotto per le strade di una terra maltrattata e oltraggiata, il resoconto di una vicenda sconosciuta e terribile di ingiustizia, una fotografia nitida di un grande reato pubblico. Ma, soprattutto, la testimonianza di chi lotta, di chi resiste, pronto a farsi ammazzare per non perdere la dignità e la libertà».

Intanto i suoi nuovi parrocchiani cosa pensano dello sportello antiusura?

«Sono a Praia a Mare da poche settimane, lo abbiamo appena inaugurato: è in un luogo strategico, garantisce l’anonimato…».

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Egidio Lorito