Sicilia, la patetica esultanza di Bersani, Alfano e Casini, tutti perdenti chi più chi meno
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Sicilia, la patetica esultanza di Bersani, Alfano e Casini, tutti perdenti chi più chi meno

Il numero dei voti in Sicilia, drammaticamente ridotti rispetto al 2008, dimostra che i partiti sono ai minimi termini. Tutti tranne i 5 Stelle

Gongola Beppe Grillo, ma non solo per la vittoria nelle elezioni siciliane (il Movimento 5 Stelle è il primo partito e il suo candidato alla presidenza della Regione, Giovanni Cancelleri, è terzo).

Gongola perché i leader dei partiti “tradizionali” continuano a non capire nulla di quanto sta avvenendo in Italia, non solo in Sicilia. Ed esultano, esponendosi al ridicolo. Tutti.

Il più patetico è Angelino Alfano, che di fronte ad una disfatta epocale del centrodestra (nella sua stessa terra d’origine) sostiene che il 25 per cento di consensi per il PdL è un risultato “straordinariamente positivo”. Perciò non si dimette da segretario e anzi rilancia, confermando le primarie del partito il 16 dicembre e la sua personale candidatura. Sui quotidiani filtra dallo staff di Alfano che Berlusconi si ritroverà in minoranza. La responsabilità del disastro, ovviamente, non è suo ma della politica (questa sconosciuta), delle divisioni interne e dell’ambiguità verso il governo. Insinua che la colpa è di Berlusconi, senza avere il coraggio di additarla esplicitamente perché sa bene che la rottura con il Cavaliere, unico leader carismatico riconosciuto (ancora e nonostante tutto) nel centrodestra, sarebbe la sua condanna. I numeri però parlano chiaro.

La quantità di voti per il PdL si è ridotta a un quinto dei voti raccolti nelle politiche 2008: 247mila rispetto a oltre 1 milione 300mila.

Ma risultano paradossali e incongrui anche i commenti del centro e della sinistra. Anzi, soprattutto. Perché se è vero che incassano la possibilità di governare la Sicilia (non ancora certificata, vista la frammentazione del voto e l’assenza di una chiara maggioranza nell’assemblea regionale), è pur vero che l’emorragia di voti e consenso a favore dell’astensionismo e di Grillo è un segnale che Bersani e Casini non vogliono proprio cogliere.

Bersani fa pena. Il governo Berlusconi è crollato. Il Cavaliere è dato per morto. Il PdL è ai minimi terni. Sarebbe il turno del Partito democratico, principale gruppo d’opposizione, quasi automaticamente destinato a non far altro che subentrare trionfalmente, come nel resto d’Europa, al vuoto che si è creato. Come Hollande a Sarkozy. Come Cameron a Brown. Come Rajoy a Zapatero. Ma no. Bersani porta il PD al meraviglioso risultato, in Sicilia, di scendere drammaticamente dai 718mila voti delle politiche 2008 (e dai 505mila delle precedenti regionali) agli attuali 254mila, una grande cura dimagrante che ha ristretto a un terzo la cintura del suo partito. Ma il segretario canta ugualmente vittoria, e la canta con voce stentorea: “Vi do una bella notizia per riscaldarvi: abbiamo vinto in Sicilia, cose da pazzi. È la prima volta dal dopoguerra che c’è la possibilità di una svolta vera in Sicilia”. A parte il tono vagamente offensivo dell’emiliano Bersani verso la Sicilia, l’esultanza cozza coi numeri. A dispetto dell’alternanza che dovrebbe favorire il PD, il 53 per cento di siciliani si astiene e diserta le urne. E il candidato di PD e Udc, Crocetta, riesce a sedere sul trono di Governatore con solo il 15 per cento reale dei voti possibili (il 30 nelle urne).

Più moderato (e molto più politico) nell’esultanza il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini, che sottolinea la bontà dell’alleanza  con il Pd. Peccato che l’Udc, che si è comunque liberata in Sicilia della zavorra di personaggi chiacchierati e in odore di mafia, paghi questa pulizia interna col prezzo di un calo di voti dai 336mila delle regionali 2008 agli attuali 254mila.

Nessuna scusante per Vendola e Di Pietro, che affondano. E si apre così un problema in più per Bersani, alleato ufficialmente di Vendola nella corsa alla presidenza del Consiglio, ma incatenato a un’alleanza con Casini che Vendola rifiuta, per governare l’Italia.

Gongola Grillo. Cancelleri, il candidato 5 Stelle, si è ben comportato nella immediatezza del dopo-voto. Ha detto che voterà le proposte. I contenuti. Segno che se alla carica di protesta i grillini riusciranno ad aggiungere l’intelligenza della politica, potrebbero ipotecare il prossimo Parlamento e mandare davvero in rovina il Paese.

Anche per questo Bersani ha poco da esultare. E Napolitano, infine, lo ha sentito stavolta il boom?        

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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