Il professore cambia scuola
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Scuola, il buonismo dietro la lavagna

Il problema della scuola non sono le note (abolite) ma gli insegnanti che non sanno farsi rispettare

Abolire l’espulsione dalla classe? La sospensione? La nota sul registro? Quando ho sentito quest’ultima geniale trovata del nostro Parlamento, mi è venuto in mente quando, qualche anno fa, lessi un piccolo campionario di un cronista che aveva sbirciato proprio sui registri di classe. Di note ne aveva trovate di tutti i gusti. «M.P. durante la lezione di storia esce dalla finestra». «P.O. telefona mentre è alla lavagna interrogata di matematica». «L’alunno P.T. continua a non presentarsi in classe il mercoledì sostenendo che è il suo giorno libero». «L’alunno C.B. entra in classe vestito da Superman. La classe lo acclama». «G.A. dopo aver espletato le sue funzioni di rappresentante in difesa del Tibet decide di prendere il sole in giardino fino alla fine della terza ora». «La classe si ubriaca con il fragolino». «L’alunno P.P. si mette in piedi sul banco, mi punta una riga contro e urla: è un eretico, catturiamolo!, istigando così la classe al caos e alla violenza».

Il problema è che da tempo ormai gli insegnanti non riescono a farsi rispettare. «Una volta quando entravamo in classe gli alunni si alzavano», mi ha raccontato una di loro. «Ora non ce n’è bisogno. Sono già tutti in piedi. Alcuni in piedi sui banchi. Altri aggrappati alle finestre o ai lampadari che usano per dondolarsi come se fossero liane». «In classe – riportava un’altra nota sul registro – si odono versi provenienti da scimmie della foresta pluviale. Sembra di esserci trasferiti nella giungla». E in effetti, come dar torto all’anonimo professore? In molte aule scolastiche sembra essere in vigore le stesse regole della giungla. La disciplina dei bestioni.

Anche i professori hanno delle colpe, è chiaro. Per esempio: nei giorni scorsi è stata licenziata la maestra che a Torino insultò i poliziotti, gridando loro ripetutamente «vigliacchi, mi fate schifo, dovete morire». Per fortuna il tribunale ha confermato la decisione dell’ufficio scolastico del Piemonte. Lei ha protestato: «Ho sbagliato, ma il licenziamento non ha senso». E io mi chiedo come abbia potuto insegnare per dodici anni in una scuola elementare una persona che non capisce principi semplici come questo: se tu insulti lo Stato (gli agenti in divisa), lo Stato non può sceglierti come educatrice. Se tuoi vuoi la morte di uno che difende le istituzioni, non puoi essere scelta da quelle istituzioni per trasmettere principi e valori a dei bambini. Non è difficile, no? Ci può arrivare anche una dei centri sociali.

Qualche tempo fa un professore con fama di insegnante democratico, fautore delle nuove pedagogie, sempre alla ricerca del dialogo con gli studenti, dello spirito fraterno, del rapporto amichevole, raccontò di aver perso (per una volta) la pazienza e di aver fatto una sfuriata. «La più classica, ruggente e aggressiva sfuriata», come la definì lui stesso. Risultato? Dall’ultimo banco si alzò uno studente, occhiali scuri e bandana in testa, ai piedi stivali da cow boy. Si avvicinò alla cattedra con fare tranquillo, lo guardò dall’alto in basso e lo liquidò così: «Prof, lei deve scopare di più». Attimo di silenzio. Commento del professore democratico: «Nessuno rise per quel consiglio a dimostrazione che era una convinzione abbastanza diffusa. E che, in fondo, mi volevano bene». Contento lui.

Ma a me viene un dubbio: come si fa ad avere una scuola forte se si hanno insegnanti così deboli? Dal prossimo settembre, ci dicono le statistiche, nelle aule ci saranno 70 mila studenti di meno. Lo svuotamento delle classi continua. E io mi chiedo perché non si riesca a utilizzare questo svuotamento per arrivare a una selezione degli insegnanti: tenere i più bravi, pagarli meglio (molto meglio), valorizzarli e sostenerli. E indirizzare altrove gli altri, perché la scuola non è un parcheggio e l’insegnamento non può essere una professione per tutti. Non per chi, per esempio, vorrebbe vedere morti i poliziotti.
Prim’ancora di questo, però, bisognerebbe ristabilire il sacro principio della disciplina nelle scuole di ogni ordine e grado. E se invece si comincia con l’abolire le sospensioni, le espulsioni e le note sul registro alle elementari, che messaggio si dà? Cresceremo studenti sempre più convinti di poter fare tutto in aula, compreso ubriacarsi di fragolino o telefonare mentre si è interrogati di matematica, senza venire mai puniti. Così lo sfascio continuerà imperterrito, sulle ali del buonismo imperante, come è stato in questi ultimi 40 anni. Per questo mi permetto di dire alta voce: non fatelo. Non rinunciamo alle espulsioni, alle sospensioni e alle note sul registro. Continuiamo ad applicarle. Alle elementari, ovviamente. E magari anche in Parlamento. Per chi ha pensato questa norma così scema, per esempio.
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Mario Giordano

(Alessandria, 1966). Ha incominciato a denunciare scandali all'inizio della sua carriera (il primo libro s'intitolava Silenzio, si ruba) e non s'è ancora stancato. Purtroppo neppure gli altri si sono stancati di rubare. Ha diretto Studio Aperto, Il Giornale, l'all news di Mediaset Tgcom24 e ora il Tg4. Sposato, ha quattro figli che sono il miglior allenamento per questo giornale. Infatti ogni sera gli dicono: «Papà, dicci la verità». Provate voi a mentire.

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