Sciascia mafia antimafia
(Ansa)
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Sciascia, né mafia, né antimafia

ome Eravamo

Da Panorama del 26 febbraio 1989


"Fa una strana impressione avere cominciato a scrivere di mafia in un tempo in cui mi accusavano di avere inventato una cosa che non esiste, e sentirsi dire oggi che non sono più in prima linea nella lotta alla mafia".

A ricordargli le accuse di chi, da Giampaolo Pansa al figlio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, lo indica come un intellettuale deluso, in contraddizione col pamphlettista e narratore illuminista che esordì 30 anni fa, Leonardo Sciascia fa appena un gesto della mano, come di cosa che non lo riguardasse. Gli anni lo hanno come liso e asciugato. Quel sorriso ironico, che spesso sostituiva le parole, è divenuto la sfumatura di un istante, una piega impercettibile della bocca; quegli occhi aguzzi si sono come scavati, stanchi dal troppo soppesare, dal troppo leggere. A una cosa sola tiene sommamente, ai suoi lettori: "Come scriveva Georges Bernanos, avrei preferito perderli che ingannarli. Per fortuna, non li ho persi".

E difatti il suo ultimo libro, Il cavaliere e la morte, tallona da vicino Il pendolo di Foucault di Umberto Eco nella classifica dei libri più venduti.

Domanda. Passano I decenni, ma lei rimane fedele a un suo eroe prediletto: l'ufficiale dei carabinieri o commissario che sia, ironico e democratico. Solo che quest'ultimo della sede dei suoi eroi, il "Vice", Il protagonista de "Il cavaliere e la morte", è un uomo condannato a morire dalla malattia. E' un'allusione al destino di un uomo che le è stato molto amico, Renato Candida, l'ufficiale dei carabinieri che le aveva ispirato il personaggio del protagonista de "Il giorno della civetta" e che è morto recentemente di cancro?

Risposta. Avevo visto per l'ultima volta Candida nel maggio scorso, a Torino, dove stavo tenendo una conversazione letteraria in occasione del Salone del libro. Si reggeva a stento in piedi, stava malissimo. E' possibile che questa immagine, l' ultima che conservo di lui vivo, abbia poi agito al momento in cui ho cominciato a scrivere.

L' altra ipotesi è che questo suo eroe morente sia la metafora del fatto che lei adesso non ha più speranza alcuna di un' Italia migliore.

La speranza è come il coraggio, uno non se la può dare. E però mi va bene quel che ha scritto Alberto Moravia, a conclusione della sua recensione sul Corriere della sera: che sì, il mio libro è di un pessimismo innegabile, ma che di fronte a quel pessimismo sta un ottimismo altrettanto innegabile, rappresentato dalla scrittura, dal voler scrivere. Per il resto, in quella che è la visione dei problemi italiani e siciliani, credo di essere stato, in questi trent' anni, di una coerenza assoluta.

In tema di eroi del presente e di speranze in una riuscita della loro azione, in questi ultimi anni lei è apparso molto scettico su alcuni siciliani in prima fila nella lotta alla mafia. Più d'una volta, fossero il giovane sindaco democristiano Leoluca Orlando o i magistrati del pool antimafia, lei i bacchettati sulle dita.

Quanto alla lotta contro la mafia, io resto del pregiudizio che bisogna ricorrere al diritto oppure, senza affossare il diritto, ricorrere a una sospensione dei diritti costituzionali, ma ricordando sempre che il diritto resta. Quel che è avvenuto in Sicilia, nella lotta alla mafia, è che il diritto è stato aggirato sempre. Per non dire del fatto che la lotta alla mafia ha ben poca autorità in un mondo in cui esistono tangenti, ospedali che non funzionano...

A questo punto lei sta coniando lo slogan "Né con la mafia né con l' antimafia", ricalco di quel "Né con lo Stato né con le Br" che in molti la accusano di aver coniato dieci anni fa, ai tempi del rapimento di Moro.

Ai tempi del rapimento di Moro, avevo sostenuto di non volermi schierare né con le Br né con " questo" Stato: avevo semplicemente sostenuto che questo non era lo Stato ideale da difendere. Era l'unico di cui disponevamo per combattere quei mascalzoni. E a questo proposito ricordo una scommessa che facemmo dieci anni fa, dinnanzi a Montecitorio. Lei sosteneva che Mario Moretti non lo avrebbero preso tempo un anno. L' ho vinta io la scommessa. I terroristi sono stati sconfitti, ma al prezzo di un aggiramento del diritto, e cioè con il ricorso al pentitismo, una figura che esisteva ai tempi dello Stato pontificio, donde l'espressione romana "impunito".

Ora, il fare ricorso al pentimento, l' maccettare e qualcuno compri l'impunità, è il venir meno dello Stato a se stesso. Né con la mafia né con questa antimafia dunque, se riporto all'oggi il suo argomentare...

No, io sto con questa antimafia. Vorrei solo che la lotta alla mafia si svolgesse al di fuori di ogni competizione per il potere. E non è questo purtroppo il caso, a giudicare da quello cui abbiamo assistito quest'estate.

Si riferisce allo scontro tra il giudice Meli e il giudice Falcone?

Non solo a questo, ma a tutto il contesto politico circostante, dov'è in atto una riduzione del compromesso storico a proporzione siciliana di tipo milazzistico.

Il capo di questo esperimento politico "milazzistico", Il sindaco Orlando, lei lo ha mai incontrato?

Solo durante cerimonie ufficiali. Ho invece incontrato un paio di volte uno che passa per uno degli ispiratori dell'operazione, padre Bartolomeo Sorge.

Una volta abbiamo parlato di Daniello Bartoli, uno scrittore della Compagnia di Gesù che io amo molto; un'altra volta abbiamo misurato il nostro dissenso: molto civilmente. Una volta il direttore della "Repubblica", Eugenio Scalfari, l'ha presa a modello di un atteggiamento intellettuale irresponsabile e lei gli ha risposto per le rime dalla prima pagina della "Stampa". C'è stato un qualche seguito privato?

No, nessun seguito. Lei legge "la Repubblica"?

Ogni tanto.

E' un giornale tecnicamente fatto bene. Del resto, oggi, tutti i giornali si somigliano. Resta soltanto, a parte e su tutti, un uomo di 80 anni, Indro Montanelli, che fa un giornale molto indipendente e con impeto di libertà.

Cosa ha pensato, quando di recente Ciriaco De Mita ha definito Montanelli "un giornalista prezzolato"?

Sono rimasto allibito. Puoi dire di Montanelli che talvolta sbaglia, che è umorale, ma non puoi pensare che è prezzolato. Con tutto questo io non carico De Mita di tutte le responsabilità per ogni cosa stupida o maldestra che viene dal suo ambiente. Certe cose che nuociono a De Mita, vengono sicuramente da un eccesso di zelo di altri. Mi viene in mente un passaggio da un libro di Paul-Louis Courier, uno scrittore francese che io amo molto. Courier racconta di un gruppo di ufficiali francesi, durante la campagna d' Italia, che stavano cenando al primo piano di una villa. Dal secondo piano scese giù Napoleone e chiese loro che cosa stessero mangiando. " Carciofi " risposero gli ufficiali. " E con che cosa li state mangiando?" chiese Napoleone. "Con l' olio". "Io li mangio con il sale " ribatté Napoleone. E quelli: " Generale, voi siete grande ". Al che Courier commentava: " E' così che nascono i dittatori". A De Mita deve essere andata un po' come a Napoleone nella scena raccontata da Courier.

Per tornare alla mafia, che ne pensa di quel che ha scritto un commentatore sempre molto acuto, il professor Ernesto Galli della Loggia, il quale s'è augurato che contro la mafia lo Stato mandi i carri armati.

Sarei tentato di dire che sono d'accordo. Ci sono momenti in cui io sono arrabbiato contro la Sicilia non meno di quelli della Liga veneta. Gli imbecilli che blaterano contro di me non sanno che cos'è per un siciliano aprire ogni mattina i giornali.

C'è un argomento che rischia di lacerare nuovamente il Paese, la questione dell'aborto. Da Giuliano Amato a Claudio Martelli, sono adesso numerosi i laici che esprimono un' angoscia in materia di aborto. Lei che ne pensa?

Penso che la permissività nei riguardi dell' aborto può diventare legge, ma allora bisogna tenerne conto come della morale in una città assediata. Sono stato e sono per l'aborto, ma non senza inquietudine.

Come giudica dunque l'atteggiamento di quelle donne che ogni volta che un laico esprime inquietudine in materia dl aborto lo insultano?

Penso che ci vorrebbe più tolleranza, però capisco l'intolleranza delle donne. Viene dalla loro condizione, che è una condizione di necessità. Non è vero che ci sia eguaglianza tra uomini e donne, la donna è ancora nella condizione di subire.

Qual è il difetto peggiore di Leonardo Sciascia?

Avevo scritto una volta che sulla mia tomba avrei voluto l' iscrizione "contraddisse e si contraddisse". Era un'esca lanciata agli stupidi i quali hanno subito colto la palla al balzo per dire che mi contraddicevo. Ora io credo di essermi contraddetto solo una volta in vita mia, quando, nel 1975, accettai di venire candidato da indipendente nella lista comunista per il consiglio comunale di Palermo. Pensavo che la presenza mia e di Guttuso servisse a dare risonanza alla battaglia di opposizione del Pci. Quando, dopo 18 mesi, mi accorsi che quella battaglia non esisteva, mi dimisi. Per il resto non credo di essermi mai contraddetto.

C'è adesso questo suo appello a formare, per le elezioni europee, una lista comune di verdi, radicali e Democrazia proletaria...

E' un appello lettomi al telefono da Adelaide Aglietta e che ho firmato.

Da come viene presentato, sembra invece che io ne sia l'estensore...

Una lista che mette assieme marxisti all'antica ed ecologisti sarebbe sicuramente un caravanserraglio... A me non dispiacciono i caravanserragli, mi sembrano un segno di vitalità. Odio l'unanimismo, la pluralità delle idee è sempre salutare.

I suoi articoli appaiono ora sul " Corriere", ora sulla "Stampa". Non c' è più un giornale che sia la sua casa?

Scrivo pochissimo e ho deciso di scrivere dove mi viene. Spero di dare al più presto qualcosa al Giornale di Montanelli.

E fra quelli che scrivono sui giornali nel ruolo che è anche il suo, di stuzzicatore polemista, chi predilige?

Seguo sempre con interesse Claudio Magris. Trovo molto intelligente Saverio Vertone.

C'è questa figura drammatica di intellettuale siciliano, Telesio Interlandi, il direttore de "La difesa della razza", cui lei si sta interessando da tempo. Che cosa la interessa in questo intellettuale e orgnizzatore di cultura non privo di talento, ma che fu il più virulento fra i razzisti fascisti?

All'inizio avevo cercato di capire com'è che un siciliano di Chiaramonte Gulfi potesse avere aderito al razzismo più virulento. Quel che mi interessa adesso è l' epilogo del destino pubblico di Interlandi: il fatto che nel 1945 lui, fascista e razzista, sia stato salvato da un avvocato antifascista. E una reversibilità che a me pare sublime.

Fra gli intellettuali del tempo, quanti furono quelli che costeggiarono o aderirono al razzismo antisemita?

Furono in molti. Lo fu Emilio Cecchi, lo fu Guido Piovene, che pure era stato allievo di Giuseppe Antonio Borgese. Ecco, gli uomini che a me piacciono sono gli uomini come Borgese, come Ernesto Buonaiuti, come Giuseppe Rensi, come Gaetano Salvemini: gli uomini che hanno avuto ragione e che si sono sentiti dire che avevano torto, gli italiani che hanno contato poco. E invece l' Italia di oggi è zeppa di uomini che vogliono contare molto... Fare dei nomi è sempre spiacevole. A molti di quelli che scrivono sui giornali va ricordato che non tutto dura il tempo di un giornale, che c'è un domani anche per i giornali, i quali finiranno nelle emeroteche e un giorno ci sarà chi li leggerà e verificherà quel che è stato scritto.

E quel giorno, quali fra i romanzieri italiani di questi ultimi armi reggeranno alla verifica?

Italo Calvino, sicuramente il Pasolini degli Scritti corsari. Ma anche Gesualdo Bufalino e Vincenzo Consolo.

C'è un personaggio che compare poco nei suoi discorsi, nelle sue interviste, sua moglie Maria. Lei è talmente pudico e riottoso a parlarne?

Sì, sono pudico almeno quanto lo era Alberto Savinio, il quale ci soffriva persino ad andare in clinica. Quello con Maria è stato un rapporto tranquillo, che dura da quarant'anni. Balzac metteva in guardia le donne dallo sposare uno che scrive libri e penso avesse perfettamente ragione.

Durante la nostra conversazione ha acceso una sigaretta dopo l' altra...

Si, fumo un paio di pacchetti al giorno e non ho mai nemmeno tentato di smettere. Una volta, a Parigi, andai a trovare Maurice Nadeau, tutto contento perché era riuscito a smettere di fumare. Mi disse che si sentiva benissimo, con un unico piccolo particolare: che non riusciva più a scrivere. E difatti riprese a fumare.

Che cosa l' ha offesa di più fra le critiche che in tanti le hanno rivolto in questi ultimi tempi?

Mi offende la menzogna, quella stessa menzogna che è stata usata per Aldo Moro. Tentano di privarmi di un'identità e di attribuirmene un'altra, che somiglia alla morte, esattamente com'è stato per Moro. Ma a differenza di Moro io non sono in cattività e posso perciò difendermi: continuare cioè a vivere e a essere quello che sono sempre stato.

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Giampiero Mughini