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(Ansa)
Salute

La corsa folle alle pillole di iodio

L'ipotesi di attacco nucleare o fuga radioattiva dall'Ucraina ha scatenato la caccia alla pastiglia di iodio che, si può essere utile, ma va usato con criterio

La nuova psicosi collettiva è quella delle pillole allo iodio per proteggersi dai rischi di eventuali incidenti nucleari in Ucraina. Bisogna tenere presente che solo in certi casi, e con i dovuti accorgimenti, queste pillole possono essere utili. Vediamo perché. Innanzitutto, in un incidente nucleare viene rilasciato un pennacchio o una nuvola contenente diversi isotopi radioattivi, per esempio lo stronzio-90, il cesio-137, il plutonio-239 e lo iodio-131. Questi elementi si depositano sulla pelle e i vestiti, contaminano l’aria, il cibo, l’acqua e quindi possono essere respirati, ingeriti o assorbiti attraverso la pelle. Il punto è che non c’è molto da fare contro stronzio-90, cesio-137 e plutonio-239. Dentro l’organismo, il primo ha un comportamento biochimico simile al calcio tanto che si deposita nelle ossa e nel midollo osseo provocando osteosarcomi e leucemie. Il cesio-137 danneggia il cuore e i muscoli scheletrici e il plutonio-239 lo scheletro e il fegato.

Diverso il caso dello iodio-131. La tiroide ha bisogno di iodio stabile (cioè non radioattivo) per produrre alcuni ormoni che hanno un ruolo importante nel nostro metabolismo. Se dopo un incidente nucleare viene ingerito o inalato lo iodio-131, la tiroide non lo distingue dallo “iodio buono” (quello stabile) e lo assorbe. Le conseguenze sono i tumori a questo organo che sono stati osservati in varie zone contaminate di Ucraina, Russia e Bielorussia dopo l’incidente alla centrale di Chernobyl del 1986.

In questo caso le compresse allo iodio sono efficaci? L’organizzazione Mondiale della Sanità considera la somministrazione di iodio stabile come una strategia efficace ad evitare il rischio di cancro alla tiroide: se preso prima dell’esposizione allo iodio radioattivo satura quest’organo e blocca l’assorbimento di quest’ultimo. Insomma, la tiroide fa il pieno di “iodio buono” e quando arriva quello cattivo non lo assorbe.

Tuttavia, per una serie di fattori fisiologici e comportamentali non sono comunque gli adulti ad avere un rischio alto di sviluppare il tumore alla tiroide ma i bambini e gli adolescenti. Questi ultimi hanno una tiroide di minore dimensioni e nella necessità di assorbire più iodio nell’unità di tempo di quello degli adulti. A rischio sono quindi i minori di 18 anni e le donne in gravidanza mentre gli adulti tra i 18 e i 40 anni hanno un rischio basso, per non parlare degli ultraquarantenni che non necessitano di compresse allo iodio.

Inoltre, lo iodio deve essere assunto in una finestra temporale ben precisa che va all’incirca dalle 24 ore alle sei ore dopo l’esposizione. La sua somministrazione ha un senso per chi è nelle vicinanze della zona dell’incidente; chi si trova a distanze di migliaia di chilometri dovrebbe necessariamente fare affidamento sulle informazioni fornite da esperti del governo del proprio Paese per poter valutare i tempi di somministrazione.

Lo iodio è efficace solo se preso nei tempi giusti e inoltre il suo effetto tende a durare solo per poco tempo. Prenderne troppo di quello buono per precauzione può causare tiroiditi, ipertiroidismo e perfino certe forme di cancro. Resta poi il fatto che chi assume lo iodio non è protetto dagli altri elementi radioattivi liberati da un incidente nucleare. Se anche uno evitasse i danni circoscritti alla tiroide, a forti esposizioni subirebbe comunque danni al materiale genetico dagli effetti mortali.

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Luca Sciortino