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(Ansa)
Salute

Organoidi e Intelligenza artificiale per curare il tumore al cervello

Applicando l’A.I. all’analisi di organi in miniatura che simulano il glioblastoma, un team italo-amerricano ha individuato nuovi bersagli per farmaci «personalizzati»

La parola «organoide», termine suggestivo fino a qualche anno fa poco conosciuto (e poco usato), indica organi o tessuti del corpo umani miniaturizzati e semplificati, creati a partire da cellule staminali. Su questi agglomerati cellulari, che di fatto funzionano come un organo, si gioca molto del futuro in vari campi della medicina, come quello oncologico. Gli organoidi infatti riproducono in laboratorio la struttura tridimensionale dell’«organo» con tumore, consentendo di testare farmaci in maniera personalizzata per ogni paziente. Così come tante speranze di cure innovative vengono riposte nell’uso dell’intelligenza artificiale.

Unendo tra loro questi due settori all’avanguardia, organoidi e A.I., ricercatori del Sylvester Comprehensive Cancer Center della Miller School of Medicine dell’Università di Miami (Stati Uniti), coordinati da Antonio Iavaorne, vicedirettore del Centro e ideatore dello studio, hanno individuato alcuni enzimi caratteristici delle cellule cancerogene. Lo studio è stato ora pubblicato su Nature Cancer. Nel dettaglio: su cellule di glioblastoma, il tumore cerebrale più aggressivo, provenienti da pazienti malati, gli scienziati hanno testato un algoritmo messo a punto da loro, chiamato Spinks (sigla semplice che sta per un nome difficile: Substrate Phosphosite based Inference for Network of KinaseS); e in due sottotipi di questo cancro, con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, il team ha identificato due chinasi, ossia due enzimi, che sono marker tumorali delle cellule maligne e che potranno diventare in futuro i bersagli di nuovi farmaci.

Da anni il team di Iavarone lavora sullo studio del glioblastoma (insieme alla scienziata - e moglie - Anna Lasorella) per individuare possibili target per una terapia il più possibile personalizzata. A oggi il glioblastoma non ha una cura, e la prognosi è spesso infausta: solo il 10 per cento dei malati sopravvive a cinque anni dalla diagnosi.«Per questo serve un approccio terapeutico diverso da quello attuale, che è lo stesso in tutti i casi di glioblastoma» dice Iavarone a Panorama. «E per poterlo fare, bisogna classificare in modo dettagliato i diversi sottotipi tumorali così da selezionare e utilizzare terapie personalizzate».


Non è un lavoro di nicchia però, soprattutto nelle sue potenzialità: queste chinasi, identificate dall’algoritmo del team americano (grazie all’analisi di geni, proteine, lipidi...), caratterizzano anche altri tipi di neoplasie, come quello al seno o al polmone.«Sebbene SPHINKS sia stato inizialmente testato sul glioblastoma, l’algoritmo è applicabile a molti tipi di cancro» spiega Iavarone. «Se i pazienti con glioblastoma o carcinoma mammario o polmonare hanno caratteristiche molecolari simili, possono essere inclusi nello stesso protocollo clinico attraverso la creazione di uno studio sperimentale chiamato “basket trial”, che indica la somministrazione della stessa terapia a pazienti affetti da diversi tipi di tumore ma selezionati perché condividono le medesime firme molecolari. L’obiettivo è portare rapidamente ai malati i farmaci più efficaci possibili per i loro tumori».

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Daniela Mattalia