A che gioco gioca Renzi
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A che gioco gioca Renzi

Le prime mosse da segretario del Pd sono state tutte azzeccate, compresa la proposta sulla legge elettorale - Gli spifferi dal Parlamento

Sono tutte ancora da vedere le carte reali di Matteo Renzi, ma il gioco che sta facendo è efficace. Ha azzeccato le prime mosse da segretario del Pd.   

Consideriamo quello che è già riuscito a fare. Primo: ha conquistato il Pd rottamandone i dinosauri, senza venir meno ad alcune battaglie fortemente impopolari nell’apparato, tra i quadri, nella base; per esempio l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti e le critiche alla Cgil per la difesa anacronistica dei presunti diritti acquisiti e il freno al mercato del lavoro. Non era facile, in un partito che vive di soldi pubblici e in un mondo che è tradizionalmente legato a doppio filo a quello vetero-sindacale. 

Renzi si trova di fronte al dilemma: come faccio cadere il governo Letta? Preoccupazione legittima, visto che Letta è presidente del Consiglio per grazia ricevuta dal capo dello Stato e investitura parlamentare, ma non ha vinto le elezioni. Farlo cadere però è proibitivo per Renzi, adesso. Letta è un esponente del Pd. E il presidente Napolitano si dimetterebbe se cadesse. In più, la bocciatura del Porcellum da parte della Consulta e l’incombere del semestre di presidenza italiana dell’Unione europea allungano i tempi delle elezioni anticipate. Ma Renzi non si è perso d’animo, e è partito in quinta. Detta l’agenda politica con le sue proposte. Alcune sono annunci, offerte, inizi di un dibattito. E non sono troppo impegnative. Altre, invece, indicano che l’uomo è pronto a assumere decisioni su temi sensibili, e a portarle avanti con determinazione. 

Un esempio del primo caso è la triplice proposta sulla legge elettorale. Una mossa perfetta, ma non difficile. Letta la subisce. Le opposizioni anch’esse devono subirla. Chi distribuisce le carte, oggi, è l’azionista di maggioranza del governo. Renzi, appunto. Ma quella mossa è anche un’opportunità per sistemare una questione fondamentale, sulla quale il capo dello Stato non può non essere d’accordo. Ed è al tempo stesso un modo per prendere del tempo ma anche per guadagnarlo. Senza riforma elettorale, infatti, non si può ragionevolmente tornare alle urne. Quanto alla sostanza della nuova legge, l’aver proposto tre modelli denota l’apertura di Renzi, la volontà di giungere a una conclusione (anche se non elimina del tutto il rischio di veti incrociati), l’intelligenza politica. Ma, soprattutto, è importante per l’Italia dotarsi di un modello che consenta la formazione di un governo in grado di governare. Rappresentativo.

Un esempio, invece, di temi sensibili rispetto ai quali Renzi non si tira indietro, è quello delle unioni civili. Tema sul quale il segretario del Pd sfida anche i cattolici, nel momento in cui sul Soglio Pontificio siede un Papa aperto a grandi cambiamenti. Un Papa che dice: “Chi sono io per giudicare i gay?”. 

Un elemento a metà, anche di disturbo rispetto alla componente di centro-destra del governo (NCD), è la proposta di abolire la Bossi-Fini. Fumoso ancora, invece, ilJob Act. Anzitutto, bisognerebbe smetterla di depredare l’inglese con l’idea che fa tendenza. Poi, prima si scrivono le regole e poi le si intitola. Altrimenti, è vecchia politica.

Tace, piuttosto, Renzi sulla giustizia. Che è un tema decisivo. Ed è quello sul quale c’è bisogno di più coraggio. E di riforme vere.

Presto, credo, assisteremo invece a iniziative importanti sull’Europa. Il primo vero banco di prova del nuovo Pd saranno le elezioni per l’Euro-Parlamento in primavera. È su quel terreno che Renzi dovrà contrastare il populismo di Grillo e le critiche, a cui i fatti sembrano oggi dare ragione, di Berlusconi e di Forza Italia verso una burocrazia e tecnocrazia europea chiaramente in affanno rispetto alla flessibilità dell’America (a dispetto di Obama). 

Riuscirà Renzi a mantenere il primato dell’iniziativa politica? A battere sul ferro caldo? A essere al tempo stesso governativo e innovatore? La sfida è questa. L’uomo ha le risorse per affrontarla. E potrebbe suscitare anche nel centro-destra una virtuosa competizione sui contenuti. Con una postilla: i programmi si muovono sulle gambe degli uomini. È lì che si annida la vera scommessa: la selezione di una classe dirigente non solo anagraficamente giovane, ma onesta e in grado di fare il suo lavoro. 

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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