Premiata ditta Promesse & Minacce
ANSA/MASSIMO PERCOSSI
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Premiata ditta Promesse & Minacce

Questo presidente del Consiglio non ha alcuna credibilità internazionale. Come dimostra la vicenda dei due Marò

Ma si può governare un Paese, un grande Paese come l’Italia, con il ricorso sistematico alla tecnica della minaccia? Davvero ci meritiamo di ricadere nei peggiori riti della politica d’antan? Vogliamo, tanto per cominciare, credere sul serio che "signore e signori, se io me ne vado arriva la troika", cioè a questa rinverdita formula dell’"Après moi le déluge" che Luigi XV affidò alla marchesa di Pompadour?

Siamo in una democrazia, parecchio acciaccata a dire il vero se guardiamo alle diseguaglianze sociali e alla compressione dei diritti, ma quella italiana è pur sempre una grande democrazia. E dunque non ha senso agitare lo spettro di Romano Prodi come candidato al Quirinale per tentare di mettere in un angolo l’opposizione moderata o la minoranza interna, rispondere al sacco di Roma che investe il cuore del Pd con l’arrocco su una figura delegittimata come il sindaco Ignazio Marino, rinviare senza vergogna (non se ne abbia a male il "paterno" Presidente Napolitano) i provvedimenti minimi per rimettere il Paese in carreggiata in materia di lavoro, fisco e giustizia. L’unico senso che si può rintracciare in questo disastro è quello della disperazione, che si tenta di esorcizzare con la minaccia articolata in qualsiasi campo tranne in quello dove occorrerebbe alzare la voce e sbattere i pugni: quello dei marò, dei due militari tenuti scandalosamente in ostaggio dall’India.

Il premier che cinguettava scrisse il 22 febbraio 2014 appena catapultato senza legittimità popolare a Palazzo Chigi: "Consideriamo il vostro caso una priorità, faremo semplicemente di tutto per riportarvi a casa". Passato l’inverno e la primavera giunse l’estate, era il 12 agosto, e il premier annunciò una "soluzione rapida e positiva". Tornato l’autunno, era il 15 novembre, ripeté: "Faremo tutto quanto è possibile". Siamo a Natale e Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, due militari che questo Stato non ha saputo difendere, hanno incassato l’ennesimo schiaffo dalla giustizia indiana: il primo - che intanto, mentre il presidente del Consiglio prometteva, s’è beccato un ictus - dovrà rientrare l’8 gennaio a New Delhi; l’altro passerà le feste lontano da casa. Non c’è da aggiungere molto altro: questo presidente del Consiglio e la sua squadra di governo non hanno alcuna credibilità internazionale, non hanno relazioni in grado di incidere sul corso degli eventi. In Italia fanno la voce grossa, o si illudono di farla con le minacce da due soldi. Ma appena mettono il naso fuori dai confini si dimostrano per quello che sono: dilettanti. Capaci, al massimo, di avanzare una supplica sanitaria degna della Croce Rossa e non di un esecutivo che si rispetti.

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Giorgio Mulè