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(Ansa)
Politica

Quello strano pasticcio alla Fiera di Bari

La guerra tra Emiliano, il sindaco e le varie autorità sulla struttura è ormai esplosa

Tutto inizia il 13 novembre 2020, quando, dopo aver superato la prima ondata e l’estate, e con un piano di riordino ospedaliero presentato da tempo, in una diretta Facebook il sindaco di Bari Antonio Decaro annuncia a sorpresa che si sarebbe realizzato un ospedale da campo in fiera del levante.

Subito asl, Regione, e Michele Emiliano si precipitano a smentire il Sindaco: “nessun ospedale in Fiera”. Il rincorrersi di notizie nel giro di poche ore dà adito a qualche sospetto, ma tutti pensano che il dietrofront viene dato solo per non destare allarme in una situazione che fino a quel momento sembrava sotto controllo mentre i vertici regionali si occupavano di discoteche, feste padronali e matrimoni: il business della Puglia. Nelle stesse ore però veniva realizzato il modulo esterno di terapia intensiva al Policlinico di Bari.

Il giorno dopo la smentita, il giornalista Vito Fatiguso sul Corriere del Mezzogiorno annuncia che il bando per l’ospedale in fiera c’è, è stato pubblicato, e scade da lì a qualche ora.

Ma non si tratta di un ospedale da campo, come annunciato da Decaro e come quello della Marina Militare che pochi giorni prima era stato inaugurato dall’allora ministro Francesco Boccia a Barletta, con le tende, facile da montare e smontare in economia e rapidità. Tantomeno come i moduli prefabbricati di terapia intensiva che erano stati allestiti fuori agli ospedali e con cui si era affrontata fino ad allora l’emergenza in Puglia.

Il bando in fiera è di 9,6 milioni di euro, un vero e propio ospedale con 160 posti di terapia intensiva da costruire in 45 giorni. Bando pubblicato da Innovapuglia (l’agenzia regionale in quei giorni travolta dallo scandalo del direttore nominato da Emiliano, costretto alle dimissioni dopo che fece il giro d’Italia un video in cui diceva che si poteva curare il Covid con un pendolo) ma che era impossibile leggere sul sito. Il bando è segreto, su invito, e dura 4 giorni: dal 14 al 18 novembre. Io stessa feci richiesta di accesso agli atti, e mi venne negato. Nessuno ha mai visto il bando. Almeno tra i non direttamente interessati. E i finanzieri, mesi dopo.

Il 20 novembre sempre il Corriere del Mezzogiorno, nel silenzio dei responsabili, scrive che si erano candidati solo due raggruppamenti: Operamed che aveva realizzato l’ospedale speculare in fiera Milano, un anno prima, e un raggruppamento pugliese, che poi si aggiudica la gara, con a guida la Cobar dell’altamurano Barozzi. Questo vince con un offerta da 8,5 milioni al 12 per cento di ribasso. La Cobar è impresa nota alla cronaca per la ricostruzione del Petruzzelli, opera anche quella affidata in commissariamento con deroghe alla legge sugli appalti. Da allora Barozzi è tra i main sponsor della Fondazione Petruzzelli, insieme, fino a qualche anno fa, alla Banca Popolare di Bari.

Chiuso il bando parte una contrattazione tra la regione e l’ente Nuova fiera del levante, che è una partecipata tra camera di commercio di Bari e Bologna Fiera che l’ha salvata dal fallimento dopo il buco milionario. Ma non riuscendo a trovare un accordo, interviene il commissario all’emergenza Domenico Arcuri e appellandosi all’articolo 22 del decreto Cura Italia di Conte chiede al prefetto di Bari di requisire i padiglioni per stato di emergenza.

Il prefetto sequestra 4 padiglioni per circa 14 mila metri quadrati consegnandoli alla regione, in cambio di un fitto mensile di 114 mila euro da versare alla fiera.

Fernando Prete, docente di chirurgia dell’università di Bari, sarà il primo a dire che è un’operazione antieconomica.

Raffaele Fitto il 14 dicembre lancia l’anatema “non sarà un’ospedale strutturale, è uno spreco di 10 milioni di euro”. In effetti in Puglia ci sono decine di ospedali nuovi di zecca ma vuoti e abbandonati, di prossimità, che con meno esborsi si sarebbero potuti adattare all’emergenza.

Le operazioni vanno avanti. Il 16 gennaio l’ospedale in fiera viene inaugurato in pompa magna, con conferenza stampa in diretta su skytg, da Michele Emiliano, il responsabile sanitario Dattoli e il gota dei suoi dirigenti. Viene anche pagato un timelapse con i droni per le redazioni e un video con le interviste ai costruttori e responsabili mandato su Telenorba (anche quello mesi dopo finirà nelle carte della finanza). C’è però un grande assente: l’assessore alla salute, la virostar alterego di Emiliano da inizio pandemia, il prof. Lopalco. Chi non manca invece, protagonista assoluto del momento, braccio destro del Governatore e vestito come lui con la stessa polo blu della protezione civile, è Mario Lerario. Michele Emiliano lo ha nominato capo della protezione civile regionale, deus ex machina non solo di tutte le opere fatte in stato di emergenza, e di una delega totale su appalti e bilanci, ma anche membro di molte commissioni aggiudicatrici, da quella dell’ospedale in fiera alle nomine dei direttori generali asl. Una gigantografia che ritrae insieme Emiliano e Lerario con la stessa maglietta della protezione civile è cartonata all’ingresso della fabbrica regionale delle mascherine. Mentre Arcuri affidava alla Baritech di Modugno una commessa di 46 milioni di euro per fare il tessuto non tessuto, Emiliano e Lerario costruivano di sana pianta la prima e unica fabbrica pubblica di mascherine d’Italia. Costata 7 milioni, non si sa chi ci lavora, a regime avrebbe dovuto produrre 30 milioni all’anno di mascherine chirurgiche, 15 milioni di FFP2 e 15 milioni di FFP3. Chiuse i battenti dopo sei mesi e 5 milioni di mascherine prodotte, mentre la Regione Puglia continuava a far arrivare cargo milionari dalla Cina, insieme a quello chiesto personalmente da Emiliano al patriarca russo Kirill. Uno dei tanti buchi della gestione covid di Emiliano. I sindacati a più riprese avevano chiesto a Speranza l’invio degli ispettori in Puglia. Ma Emiliano fregò tutti: nominò il segretario regionale di Articolo Uno, l’ex consigliere regionale Ernesto Abaterusso, delegato ai rapporti tra la regione Puglia e il ministro Speranza. E così tutte le informazione sulla Puglia arrivavano al ministro “filtrate”. Speranza mandò gli ispettori in Lombardia, ma in Puglia mai.

Passano altri due mesi, ma l’ospedale ancora non apre.

Dopo l’inaugurazione i lavori non si sono mai interrotti: mancano i bagni. Non è che li avessero dimenticati, è che in corso d’opera hanno deciso che i posti di terapia intensiva da 160 diventano solo 14, e quindi ora quelli per ricoveri ordinari hanno bisogno dei bagni.

Viene fatta una prova trasferimento, perché a differenza di quanto detto all’inizio pensando che i pazienti sarebbero stati portati direttamente qui, ora invece si ipotizza di trasferirli da altre strutture. Siamo a marzo e l’ospedale è pronto per aprire. Manca solo una cosa: il personale. Quelli in servizio non bastano neanche per gli ospedali ordinari, e nessuno vuole trasferirsi in fiera. Viene offerto un premio, e promesso un bando per medici stranieri. Forse russi. Non arriveranno mai.

Nel frattempo il 18 febbraio, con l’ospedale ancora chiuso, la procura di Bari apre un’inchiesta: il bando da 9 milioni, attraverso successive determine dirigenziali, arriva a 17 milioni più iva. Alla fine della fiera l’ospedale verrà a costare più di 25 milioni di euro.

Mentre Raffaele Fitto e Fratelli d’Italia fanno sopralluoghi e interrogazioni parlamentari chiedendo a Speranza di inviare gli ispettori, la Lega con il vice di Salvini Andrea Crippa va in Fiera e vanta la struttura eccellente: “Emiliano ha copiato l’ospedale covid in Fiera Milano”. Quello però, guidato da Bertolaso, costò la metà, con fondi esclusivamente privati tramite donazioni, e fu costruito nella vecchia fiera in disuso, che concesse i padiglioni al sistema sanitario gratuitamente.

Quello di Bari costa 112 mila euro a posto letto, molto più di quanto era stato pagato ogni posto letto di terapia intensiva alle cliniche private durante la prima ondata. “Ammortizzeremo il costo rendendolo strutturale anche dopo il Covid” dirà Emiliano. Pagando 114 mila euro di fitto a vita?

Iniziano a porgersi le prime domande: “ma la fiera? Che fine farà?”.

Solo con l’esproprio prefettizio per stato d’emergenza infatti era stato possibile superare il vincolo urbanistico, e quello della sovrintendenza. Ma Decaro è chiaro dal primo momento e su questo punto non cambierà mai idea “finita l’emergenza, la fiera torna fiera”.

Intanto iniziano le prime défaillance: Eataly lascia il suo padiglione, non gli conviene più restare in mezzo all’ospedale Covid, chiude il ristorante e licenzia 40 dipendenti. Per contratto non avrebbe potuto sciogliere il fitto prima di 15 anni, ma le condizioni sono cambiate: l’ente fiera doveva garantire eventi, non un ospedale, è “mancato sviluppo”. Eataly chiude, 300 mila euro al mese alla fiera vengono meno, per fortuna insieme ai padiglioni covid restano gli uffici di qualche assessorato regionale che paga il fitto da quando si è trasferito nei padiglioni per aiutare l’ente a mantenere un introito fisso.

Il 26 marzo il direttore della facoltà di medicina dell’Università di Bari Gesualdo annuncia che a fine emergenza Covid la struttura sarebbe diventata sede della scuola di medicina. Parte il coro dei contrari. Il direttore della camera di commercio è netto: la struttura ha un uso commerciale, non per ricoveri. Decaro ancora di più: “è come se io volessi aprire un ufficio anagrafe al policlinico”.


Nel frattempo spuntano delle ruspe in un area parcheggio fuori dai padiglioni sequestrati. L’amtab, società in house del Comune di Bari, invia una lettera intimando la sospensione dei lavori: mancano i permessi. Al cantiere non c’è neppure un cartello che indichi committente ed esecutore. Mesi dopo anche i lavori per il parcheggio finiranno nelle mani della finanza.

Il 27 marzo l’ex candidato governatore dei 5 stelle Antonella Laricchia si reca in procura perché la regione le aveva negato ben 5 richieste di accesso agli atti sul bando dell’ospedale.

Salta fuori l’affidamento diretto della protezione civile alla ditta per il parcheggio: è datato 27 marzo. Alcune foto scattate il 25 marzo mostrano che i lavori erano già iniziati.

Il 7 maggio viene pubblicato il calendario degli eventi fieristici: non c’è in elenco la storica esposizione di settembre. L’evento più importante della Fiera del Levante, inaugurato ogni anno dal presidente del Consiglio in carica.

Nel frattempo alla Cobar viene dato l’affidamento diretto di un altro milione di euro per l’hub vaccinale in un altro padiglione della Fiera.

Un parere legale chiesto dall’ente con una relazione di 16 pagine chiarirà che a fine stato di emergenza l’ospedale va smantellato e i padiglioni restituiti.

Emiliano risponderà “diventerà un padiglione per le maxiemergenze utile per tutto il mediterraneo”. Gli risponde Decaro: “non si può perché rimane il vincolo urbanistico”.

Nel frattempo insieme ai 10 dipendenti licenziati anni fa dalla Fiera perché sarebbero stati riassunti in un cinema, mai più realizzato, vanno in cassa integrazione anche gli ultimi 13 dipendenti dell’ente: non ci sono grandi eventi.

Il 22 giugno il cantiere per il parcheggio dell’ospedale è ancora aperto senza cartelli e senza permessi. Il 27 luglio di 500 spazi fieristici per l’esposizione di settembre, ne sono stati venduti solo 50.

La regione Puglia comunica al governo di aver speso fino a quel momento 396 milioni per la gestione covid.

Il 2 settembre, con l’ospedale fiera vuoto, Lopalco ancora assessore dirà “però è una bella struttura peccato smantellarla”. Per la prima volta dopo 74 anni la fiera del Levante di settembre salta. Non era mai successo se non durante la guerra, persino l’anno prima, senza vaccini e con contagi e ricoveri molto più elevati, si era tenuta. E’ un grave smacco per la città: mentre tutte le fiere riaprono e segnano la ripartenza del Paese, solo quella di Bari non si tiene. Il Sindaco, gli imprenditori, la città è delusa.

Il 23 dicembre il capo della protezione civile Mario Lerario viene arrestato in flagrante mentre intasca una mazzetta da diecimila euro. Il giorno prima ne aveva presa una da ventimila euro nascosta in una fetta di manzo. Il sistema trema, ma è Natale, Emiliano pubblica post di San Nicola. A capodanno Decaro presenzierà al concerto in diretta su canale 5 dal teatro Petruzzelli con trenino vietato.

Lerario dal carcere di dimette, ma non basta ad allontanarsi dalla figura di Emiliano, da cui è stato nominato, fatto plenipotenziario, e braccio destro dal primo a all’ultimo giorno prima e dopo l’emergenza.

Escono fuori intercettazioni, telefonate, incontri. L’accusa è quasi sempre di turbativa d’asta. Sono tanti gli appalti discussi dalla procura, almeno 5. Non riguardano solo l’ospedale in fiera, dai costi lievitati, ma anche la foresteria per i migranti di Borgo Mezzanone. Strutture e gestione da sempre contestata dai migranti stessi. Secondo l’informativa grazie allo stato di emergenza sono centinaia gli affidamenti diretti milionari che Lerario tramite protezione civile avrebbe affidato in giro per la Puglia sempre allo stesso giro di ditte. I cui titolari erano spesso a cena con lui. Viene perquisito anche il fratello prete, cappellano dell’ospedale ecclesiastico Miulli di Acquaviva. Direttore sanitario del Miulli è Dattoli, responsabile sanitario dell’ospedale covid in fiera durante l’apertura, anche lui nel frattempo investito da un’inchiesta, come già molti degli uomini messi da Emiliano a capo delle varie agenzie e lui stesso (sotto inchiesta il capo di gabinetto Stefanazzi, Grandagliano per agenzia rifiuti, Sannicandro per dissesto idrogeologico, ecc).

L’imprenditore ripreso a dargli 20 mila euro dirà nell’interrogatorio che erano il regalo di Natale al fratello parroco per avergli fatto fare una visita in ospedale saltando la lista d’attesa. Il giorno dopo mentre arrestavano Lerario, la moglie li stava versando in banca in banconote da 50. Viene indagato anche Domenico Barozzi, della Cobar (un mese fa, quando Panorama si era occupato della proprietà del teatro Petruzzelli, ci ha contattato per dire che non era indagato. Cosa che noi non avevamo scritto, ma che nel frattempo si è verificata).

Tra gli appalti di Lerario vengono messi in discussione dalla Procura anche gli acquisti milionari delle mascherine cinesi, nonostante i 7 milioni spesi per la fabbrica, nonché la fabbrica stessa. Questa era stata affidata, senza gara, all’imprenditore Zema, un amico di Lerario che ricorre spesso negli appalti. Tra le carte anche l’appalto del teatro Kursal, affidato sempre alla Cobar in procedura d’urgenza per una ristrutturazione da 7 milioni di euro. Qualche giorno prima Michele Emiliano con Barozzi aveva festeggiato in una grande cerimonia l’anniversario dall’inaugurazione.

Anche le magliette che Lerario ed Emiliano avevano indossato per tutta l’emergenza verranno messe in discussione: un appalto da 43 mila euro per 300 polo da 70 euro l’una con i costi lievitati per aggiungere le scritte “presidente” ecc, insieme, sempre alla stessa ditta, a 15 mila euro per le borracce e 150 mila di imballaggio mascherine.

La stessa ditta che aveva stampato la gigantografia che ritraeva Emiliano e Lerario con quella maglietta, appesa fuori la fabbrica di mascherine. Dopo l’arresto la foto viene subito fatta sparire, in perfetto stile soviet.

Tra le carte della finanza anche l’affidamento diretto di 400 mila euro per l’allestimento della settimana sociale dei vescovi a Taranto, pagato dalla regione Puglia. Addirittura in quell’occasione venne allestito un hub vaccinale per le terze dosi ai vescovi di tutta Italia che partecipavano all’evento.

Dopo Lerario verrà indagato anche un giornalista dipendente del servizio stampa della Regione Puglia, che lo avrebbe avvisato delle indagini in corso. Non è la prima volta che un giornalista avvisa Emiliano di un’inchiesta a suo carico. Nelle intercettazioni il giornalista avvisa Lerario che c’erano 4 cimici nella sua stanza. Lerario a più riprese fa bonificare gli uffici, e da alcune telecamere nascoste sopravvissute alla bonifica viene ripreso a parlare con alcuni imprenditori scrivendo dei pizzini che poi cestinava.

La finanza torna a fare altre perquisizioni negli uffici della regione, perché l’ente non fornisce agevolmente tutte le carte.

L’inchiesta nonostante è pesante e coinvolge il braccio destro plenipotenziario di Emiliano, resta confinata sulle pagine della cronaca locale. Non come quella della Lombardia che per mesi ha occupato stampa e tv nazionale, prima di finire silenziosamente in un buco nell’acqua.

Eppure in Puglia c’è gente che si è arricchita e ha speculato mentre tanti pugliesi morivano di covid anche perché mal curati. I collaudatori diranno di aver rilevato dall’inizio delle incongruenze nei costi. Emiliano dirà che non sapeva, non si era accorto. Eppure da oltre un anno, dal primo momento, in tanti gli avevano detto che c’erano dei forti sospetti. Perché non verificare subito di fronte a plateali ed evidenti incongruenze? In effetti non solo i suoi, Speranza, anche Gelmini e la Lega lo avevano difeso, e lui si gonfiava e andava avanti difendendo scelte e collaboratori e ignorando le critiche.

Siamo al 2022 e l’ospedale in fiera si svuota. Come ormai da mesi sono vuoti tutti i padiglioni covid modulari costruiti fuori dagli ospedali, anche quelli finiti nell’inchiesta della gestione Lerario.

Quello di Taranto costato milioni, per 20 posti di terapia intensiva, non è quasi per nulla stato utilizzato ed è abbandonato da mesi. Emiliano aveva detto che sarebbe servito anche dopo il covid. In quello di Brindisi, vuoto, ci piove dentro.

Nel frattempo tutta Bari rivuole la fiera.

Il piano industriale prevede che si va in attivo sfruttando per i grandi eventi almeno 60 mila metri quadrati su 90, ma la fiera ora ne ha a disposizione meno della metà. All’ente fiera arriva un debito di oltre un milione di bollette non pagate dall’ospedale. La regione si affretta a coprirne una parte.

A febbraio il prefetto invia una lettera alle parti in causa: “il 31 marzo con lo scadere dello stato di emergenza scade il sequestro”. I padiglioni tornano all’ente e l’ospedale deve essere spostato. Torna il vincolo urbanistico originario, inizia il trasferimento dei medici e pazienti rimasti.

Emiliano dice che solo un pazzo lo smantellerebbe, perché l’emergenza può tornare. Ma ci sono sempre tutti i container disponibili.

Scoppia la guerra. Emiliano viene nominato dal Governo commissario regionale per l’accoglienza profughi. Arriva il lampo di genio: l’ospedale servirà come padiglione d’emergenza per accogliere gli ucraini.

Il prefetto insiste, non puoi, è legato all’emergenza covid. E anche se fosse non è quella la destinazione urbanistica. E poi la fiera rivuole gli spazi, altrimenti va a fallimento con mezza città.

Una sola soluzione. Emiliano chiede ai suoi referenti nazionali di inserire una norma nel decreto di fine emergenza che prolunghi il sequestro dei padiglioni. La Lega si dice favorevole, per evitare lo spreco. Nel frattempo mentre in tutta Italia contagi e ricoveri calano, stranamente in Puglia a marzo c’è il picco: viene lanciato in tutta la regione l’allarme degli ospedali che si riempiono, compreso quello della Fiera. Eppure i moduli esterni sono sempre vuoti e ancora in disuso. In tutta Italia ormai si parla solo di guerra, in Puglia si torna a parlare di covid. Ma anche l’hub in fiera per i vaccini viene chiuso, non serve più.

Il 24 marzo viene pubblicato il decreto che sancisce la fine dello stato di emergenza. Per tutti. Tranne per l’ospedale della fiera del levante. L’emergenza non c’è più, ma l’ospedale covid resta nei padiglioni che rimangono sequestrati in forza di uno stato di emergenza finito per legge.

Articolo 10 comma 5: Le aree sanitarie temporanee, gia' attivate dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano ai sensi dell'articolo

4, comma 1, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, per la gestione dell'emergenza COVID-19 possono continuare ad operare, anche in deroga ai requisiti autorizzativi e di accreditamento, fino al 31 dicembre 2022”.

Emiliano ne era certo dall’inizio. Questo è lo stato di emergenza del resto: deroga alle norme. Dovrebbe essere un’eccezione per le emergenze. Ma in alcuni casi, e per qualcuno, la deroga diventa la norma. Il parlamento, comunque, ha 60 giorni di tempo per ripristinarla. Sempre che Draghi non voglia mettere la fiducia a un’emergenza senza emergenza.

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Annarita Digiorgio