Il ricordo di Marco Biagi e delle sue idee innovative del lavoro e della persona
Marco Biagi (Ansa)
Politica

Il ricordo di Marco Biagi e delle sue idee innovative del lavoro e della persona

Nel giorno dell'anniversario dell'omicidio del giuslavorista da parte delle Brigate Rosse dobbiamo ripensare a quanto fece per il paese. Una lezione quanto mai attuale oggi, in queso periodo di crisi globale

La terribile prova a cui è sottoposta oggi l'Italia e il suo sistema sociale ed economico pone molti interrogativi sul sistema di regole che ci governa. Il dibattito sulle regole macroeconomiche a livello europeo ne è un chiaro esempio. Altrettanto affascinante sarà il nuovo equilibrio di regole e pratiche nel mondo del lavoro.

La crisi ha evidenziato la necessità di avere relazioni industriali molto ravvicinate e un attento monitoraggio di ciò che avviene nei luoghi di lavoro. Ha chiaramente sottolineato che per resistere e per evolvere sono le relazioni di prossimità la chiave per un mercato del lavoro più moderno. Un messaggio che deve arrivare chiaro oggi alle parti sociali così come al legislatore. Non è più tempo di troppe norme generali, rigide, a carattere universalistico, che impediscono di fare crescere l'occupazione e negano la possibilità di un lavoro a tutti.

Queste semplici considerazioni sono al centro del pensiero e dell'opera di Marco Biagi, di cui oggi ricorre l'anniversario del suo terribile omicidio avvenuto da parte dell'ultimo frammento impazzito delle Brigate Rosse. In un momento in cui duro era il confronto tra riformisti e massimalisti, in cui massimo era lo scontro delle idee tra chi voleva cambiare il Paese che vedeva stretto in inutili regole che non proteggevano nessuno e chi era cieco, come sempre, di fronte all'innovazione e preferiva la protezione di un sistema che produceva diseguaglianze, in un momento come quello ci fu chi pensò che la maniera migliore per concludere questo dibattito era abbattere la persona fragile che interpretava questo pensiero. E così fece nella tranquilla serata bolognese.

Commise un terribile errore perché le forze riformiste mai come allora divennero resistenti e produssero un importante mattone nelle regole e nel diritto del lavoro: la legge Biagi. Da allora nulla è stato come prima. L'onda lunga di quella stagione ha permesso di costruire una nuova legislazione del lavoro fondata sulla flessibilità controllata (flexicurity), sulla occupabilità, su relazioni industriali di prossimità, sulla premazia del contratto rispetto alle leggi. È arrivata anche ad ispirare il Jobs Act e la riforma (parziale) dell'art.18. La storia ha dato ragione a quella stagione e a quel governo riformista che del patto sociale con i corpi intermedi aveva fatto la chiave di volta per crescere e per resistere alla crisi del 2008.

Questa era la lezione di Marco Biagi, rispetto delle parti, vicinanza ai luoghi di lavoro, contratto, soft laws e autonomia di politica e corpi intermedi. Ma lavorare insieme. È una lezione che pericolosamente si vuole dimenticare (o fare dimenticare). Le idee sconfitte dalla storia hanno cercato di tornare in vita in questi ultimi anni travestite da altre sembianze. Hanno cercato di darsi una veste nuova nell'era della critica alla globalizzazione e al precariato. Hanno cercato di tornare a vecchie norme in nome di una supposta lotta alle diseguaglianze, dimenticando che tutto deriva dalla lunga notte degli anni '70 e da qui terribili maestri che hanno distrutto le nostre istituzioni scolastiche, le nostre attività produttive e le forze sociali, in nome dello Stato e della legge uguale per tutti. E hanno anche trovato fortuna in una politica che si è distratta (e ha dimenticato la storia) e in una cultura che ha ammiccato positivamente a queste nuove sembianze. Eppure chi come Marco Biagi ha sacrificato la propria vita per modernizzare il Paese non può e non deve essere dimenticato.

La battaglia tra chi voleva fare avanzare il Paese in una dimensione più moderna avendo come punto di riferimento la persona e chi lo voleva fare restare nelle tenebre in nome della norma e del conflitto di classe ha un chiaro vincitore e oggi il vinto non può permettersi di scrivere una storia diversa. Senza la memoria non vive più un Paese. Occorre ricordare che il sacrificio di Marco Biagi e ciò che ha prodotto quella stagione di riforme hanno rappresentato per l'Italia la rottura con alcuni paradigmi che l'avevano fatta diventare il peggiore mercato del lavoro in Europa.

L'idea forte era che occorreva un mercato del lavoro che tutelasse la persona e non il posto di lavoro, che permettesse una grande facilità di entrata perché più importante di tutto è il lavoro, che esaltasse le relazioni industriali sui luoghi di lavoro come strumento per adattare le imprese ed i territori alle mutevoli situazioni economiche, che fosse basato su norme e pratiche elastiche e dinamiche piuttosto che su totem ideologici senza senso. Per questo la battaglia sull'art.18 distinse quella stagione. E mise un chiaro confine tra riformisti e massimalisti. Così come la battaglia sulla scala mobile mise all'angolo le forze conservatrici del Paese.

I sogni dei riformisti si avverano, l'ottimismo della ragione prevale, le idee di modernizzazione vincono. Purtroppo, sacrificando sempre la vita di qualcuno. L'esilio di Hammamet e i portici di Bologna sono il punto più tragico delle storie di due riformisti sempre lasciati soli. Speriamo siano le ultime che dobbiamo ricordare.

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Paolo Reboani