25 aprile commemorazione italia
(Ansa)
Politica

«Ci siamo raccontati di aver vinto la guerra. L'Italia? Un Paese diviso sulle parole»

Nel suo libro 45 milioni di antifascisti. Il voltafaccia di una nazione che non ha fatto i conti con il Ventennio Gianni Oliva affronta le verità ignorate sulla guerra e sullo scontro tra fascisti e antifascisti che ogni 25 aprile torna a infiammare l'opinione pubblica

Ogni 25 aprile, in Italia, si riapre un dibattito che va al di là della mera commemorazione storica. La ricorrenza di questa data, che segna la liberazione dal regime fascista durante la Seconda Guerra Mondiale, si presta a riflessioni profonde e a un'esplorazione del suo significato contemporaneo.

Il 25 aprile del 1945 è un capitolo fondamentale nella storia italiana, un momento in cui la resistenza partigiana e l'intervento degli alleati diedero il via alla fine di un'era oscura. La caduta del fascismo portò con sé la promessa di una società libera, democratica e inclusiva. Questa giornata è quindi celebrata per onorare coloro che lottarono per la libertà e la dignità umana.
Tuttavia, negli anni più recenti, il significato del 25 aprile è stato oggetto di discussione. Alcuni vedono questa data come un simbolo di unità nazionale e di impegno per i valori democratici, mentre altri sollevano dubbi sulla sua attualità e rilevanza nel contesto contemporaneo.

Il dibattito si estende anche alla questione della memoria storica. C'è chi sostiene che il 25 aprile debba essere ricordato principalmente come la festa della Liberazione, con un focus sulla resistenza al totalitarismo e sulla costruzione di una società più giusta. Altri, invece, sottolineano l'importanza di collegare questa data alla lotta contro le ingiustizie e le violazioni dei diritti umani ancora presenti nella società odierna. Inoltre, la vicinanza del 25 aprile al Primo Maggio, la tradizionale festa dei Lavoratori, aggiunge un'altra dimensione al dibattito. Alcuni sostengono che dovremmo concentrarci maggiormente sulle questioni sociali ed economiche che ancora affliggono il Paese, anziché limitarci alla celebrazione di eventi storici.

Gianni Oliva, giornalista, insegnante (attualmente è docente di Storia delle istituzioni militari), con trascorsi politici anche con incarichi istituzionali, dal Pci al Pds, al Pd, affronta il tema scottante del fascismo e antifascismo nel suo ultimo libro, 45 milioni di antifascisti. Il voltafaccia di una nazione che non ha fatto i conti con il Ventennio. Un volume tutt'altro che nostalgico, ma che analizza a fondo una storia che ci stiamo raccontato forse mentendo a noi stessi. "Studiare e conoscere la storia è l’unico modo per guardare avanti. Oggi dopo tanti anni dovremmo aver costruito una visione in cui identificarci tutti, invece non è ancora così” spiega Oliva durante un approfondimento andato in onda su Rai Tre.

Nel libro si parte proprio raccontando di quella guerra persa che, tuttavia, si preferisce fingere di aver vinto, per giungere a una mancata epurazione, in quanto eliminare una classe dirigente (fascista) richiedeva la disponibilità di un'alternativa, un'impresa impossibile dato che praticamente tutti erano stati coinvolti nel fascismo. Oliva non risparmia nessuno nella sua analisi che guarda e getta sulla visione attuale di fascismo e antifascismo ombre e perplessità. Da Gaetano Azzariti - caso che viene definito la punta dell'iceberg di un fenomeno diffuso - Oliva racconta la storia dell'antifascismo mettendo in luce le contraddizioni di un'Italia che, anche con il cambio di governo a Badoglio, continua la politica del "doppio binario": annunciare severità nell'epurazione ma applicarla minimamente nella pratica, conservando i vecchi apparati.

Riscrivere la storia, o meglio, plasmarla a proprio piacimento, tuttavia, è un "peso che si trasmette fino ai giorni attuali, riflettendosi sulle dispute politiche" e che porta a un senso di debolezza quando si parla di appartenenza comune. Nel volume Oliva analizza come, queste debolezze, derivino principalmente dagli "anni del consenso" al regime fascista, sostenuti dalla collaborazione della classe dirigente. Le cifre del Tribunale speciale per la difesa dello Stato documentano l'ampia accettazione del fascismo e la limitata resistenza clandestina. L'armistizio dell'8 settembre vede un'Italia sconfitta che non reagisce e si rifugia nell'attesa dei liberatori anglo-americani. Anche i dati sulla partecipazione alla Resistenza e alla Repubblica Sociale indicano che l'Italia era composta principalmente da minoranze, mentre la maggioranza optava per l'astensione, esonerandosi così dal fare i conti con il passato. E questo porta a una necessità di riconsiderare e condividere la memoria collettiva per liberarci dalle manipolazioni del presente. Parlando della Resistenza, Oliva la definisce una pagina decisiva nella storia italiana, ma mette in evidenza la sua natura di minoranza, sottolineando che la maggioranza degli italiani rimase spettatrice. Questa inazione, sostiene, ha influenzato il corso della politica del periodo.Tra le poche eccezioni, Oliva ricorda il gesto di Sandro Pertini durante le cerimonie per la strage di piazza Fontana, evidenziando il suo atteggiamento deciso contro il passato fascista. Questo episodio, insieme ad altri, sottolinea l'importanza della memoria storica e della gestione onesta del passato per la costruzione del presente.

Con un'analisi fredda ma incisiva e penetrante, Gianni Oliva offre uno sguardo lucido sul passato dell'Italia e sugli echi che ancora si riverberano nel presente. È soprattutto la riflessione profonda sulla natura della sconfitta nella guerra, che evidenzia la necessità di confrontarsi senza alibi con gli eventi storici. Il focus si sposta rapidamente verso l'identificazione dei colpevoli del passato, oltre a Mussolini e al re. Oliva getta luce sul ruolo dei militi di Salò, sottolineando la giovane età e l'indottrinamento di molti di loro, ma anche la responsabilità degli adulti coinvolti nel regime.

Nell'attualità, Oliva osserva che il dibattito politico italiano continua a essere influenzato dalle divisioni del passato, evidenziando una mancanza di confronto sui fatti storici e una persistente "guerra civile a parole". Questo, suggerisce, potrebbe essere il motivo per cui il Paese rimane diviso, senza una vittoria definitiva. "La Germania e i tedeschi hanno fatto i conti con il passato ammettendo che, quella querra l'hanno persa" sottolinea "È solo in questo modo che sono riusciti ad andare avanti". In Italia invece qualcosa sembra ancora fermo. Cristallizzato in una "bugia". Schierato politicamente nell'area di sinistra, Gianni Oliva non si risparmia nemmeno quando tratta il dibattito attuale e la separazione tra antifascisti e fascisti. "Mi sono schierato col Pd" spiega "Ma questo non vuol dire che io abbia condiviso la scelta dei dem di impostare tutta la campagna elettorale sull'antifascismo". Perché, a oggi, possiamo ancora parlare di antisfascisti? Forse no. "Io non sono antifascista, sono democratico. Mio padre poteva dirsi antifascista" spiega " Ogni democratico è antifascista, ma in quanto tale e lontano anni luce da quell'esperienza ho dubbi che tutti quelli che si dichiarano oggi antifascisti siano realmente democratici". Per Oliva "Siamo un Paese che ancora si divide sulle parole. Sui fatti, invece, ha fatto pochi conti. Probabilmente per questo resta diviso e prosegue una guerra civile a parole dopo che quella vera, quella sanguinosa, è finita. Pur senza vittoria".

Spunti preziosi che portano a riflettere sulle sfide del presente alla luce del passato, invitando a una maggiore consapevolezza storica e a un impegno per una democrazia autentica e inclusiva in un 25 aprile che continua a rappresentare un momento importante per ricordare il passato, confrontarsi con le sfide del presente e rinnovare il nostro impegno per costruire un futuro migliore grazie a riflessioni ponderate e senso civico.

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Rita Galimberti