Perché Manganelli era stimato da tutti
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Perché Manganelli era stimato da tutti

Dal saluto di Saviano al riconoscimento di Vendola: il poliziotto che ha chiesto scusa per gli errori del g8 lascerà una grande eredità al suo successore. La sua biografia

Basta leggere le parole di cordoglio che piovono da quando si è diffusa la notizia della morte di Antonio Manganelli. Tutti, da Roberto Saviano a chi milita nella sinistra più estrema come Oliviero Diliberto e Nichi Vendola, hanno solo parole positive, di apprezzamento e di rimpianto per l’uomo e per il poliziotto. Perché Manganelli, avellinese di 62 anni, era una persona per bene e un grande poliziotto.

Avendo percorso tutti i gradini della carriera fino a prendere quasi sei anni fa il posto di Gianni De Gennaro, lo scomparso capo della polizia conosceva ogni meandro del suo ambiente e ha contribuito in modo determinante a fargli compiere passi da gigante.

Il G8 di Genova del luglio 2001 e il massacro nella scuola Diaz restano una macchia per il dipartimento di Ps. Manganelli, all’epoca uno dei vice di De Gennaro, in quei giorni era in vacanza, ma appena ha avuto in mano la macchina della sicurezza ha istituito la scuola di formazione per l’ordine pubblico a Nettuno. Un segnale chiaro, inequivocabile, sulla necessità che i poliziotti italiani dovessero adeguarsi alle nuove emergenze.

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I celerini che per decenni hanno preso e dato botte nelle manifestazioni (ma alla Diaz picchiarono in tanti che erano tutt’altro che celerini) dovevano essere istruiti in maniera migliore perché un’altra Genova non si ripetesse più. Non si era mai visto un capo della polizia chiedere scusa. Manganelli lo fece proprio all’indomani delle sentenze definitive della Cassazione sulla Diaz, scuse a chi aveva subito danni e a chi aveva visto in difficoltà un’istituzione come la polizia che ha sempre raccolto la fiducia della gente.

La sua lunga vita da investigatore ha avuto mille momenti importanti, per molti anni in coppia con De Gennaro. Dalla mafia ai sequestri di persona ai grandi traffici di droga, dalla collaborazione con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino a quella con le polizie di tutto il mondo, Manganelli è stato sempre in prima linea. Da questore di Palermo alla fine degli anni Novanta trovava anche il tempo di parlare al telefono con il cronista che gli chiedeva notizie di una grande fuga di immigrati da un centro di accoglienza. E lo faceva mentre era su una volante a sirene spiegate, perché il questore voleva essere, appunto, in prima linea.

E’ facile perciò immaginare la rabbia e lo sconforto che lo hanno assalito negli ultimi mesi, quando già la malattia lo aveva provato, allo scoppio dello scandalo dei presunti appalti illeciti gestiti dal Viminale che portò alle dimissioni di Nicola Izzo, il suo vicario. Un “corvo” aveva provato a coinvolgerlo e la reazione fu furibonda: “Forse ci sarà un capo della polizia più bravo di me, più adatto di me. Ma nessuno potrà dire che io sono un imbroglione”. Nessuno, infatti, potrà mai dirlo. Lascia una moglie, una figlia ventenne e il ricordo del suo sorriso largo e cordiale. Oltre a un’eredità pesantissima.

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Stefano Vespa