Da Parigi a Bruxelles: non confondete Al Qaeda con l'Isis
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Da Parigi a Bruxelles: non confondete Al Qaeda con l'Isis

Dopo la Francia, anche il Belgio sotto attacco: quali soluzioni per combattere il terrore islamista?

Dopo Charlie Hebdo e la sparatoria di Bruxelles, la caccia ai terroristi in tutta Europa suscita allarmi e timori per il rischio di nuovi attentati. Una minaccia che in Italia è ancora generica ma credibile, possibile ma non si sa se probabile. Così, tra la popolazione serpeggia un po’ di confusione - comprensibile - circa la provenienza di tale minaccia né i media aiutano a chiarire. A tal proposito, va detto che Stato Islamico (anche noto come ISIS, IS o Daesh) e Al Qaeda troppo spesso vengono usati come sinonimi, cosa che né dal punto di vista linguistico né da quello storico né ancora da quello politico è corretta. Vediamone alcune differenze di base.

 

Nella sua lunga e sanguinosa carriera terroristica, Al Qaeda - l’organizzazione sunnita salafita creata da Osama Bin Laden - si è sempre ben guardata dal colpire gli sciiti, nel giustificato timore d’innescare una deflagrazione all’interno del mondo musulmano, nociva ai suoi interessi stessi. Finora, Al Qaeda ha infatti colpito soltanto i “crociati”, e cioè gli occidentali e gli arabi ritenuti loro complici. Lo Stato Islamico, al contrario, sin dalla sua nascita ha avuto come primo obiettivo gli islamici eretici, e cioè gli sciiti in Iraq e gli sciiti alawiti in Siria.

 Le numerose vittime occidentali o non musulmane dell’IS sono state trucidate all’interno del perimetro del loro teatro di operazioni, per ragioni di propaganda, d’intimidazione edi controllo del territorio. I terroristi che hanno agito a Parigi, invece, pur se confusamente (Coulibaly aveva una bandiera di IS) hanno dichiarato di parlare in nome di Al Qaeda nello Yemen, una ramificazione di Al Qaeda nella Penisola Araba (AQAP). Anche i terroristi uccisi ieri in Belgio durante un’operazione anti-terrorismo erano qaedisti. E, del resto, il nord Europa è da tempo un importante hub per i filo-qaedisti.

 

Le differenze tra Al Qaeda e Stato Islamico
Oggi più che mai è importante mantenere la distinzione netta tra Al Qaeda e Stato Islamico perché, se dobbiamo affrontare una nuova guerra contro il terrorismo, è bene saper riconoscere i propri nemici e combatterli su un terreno adeguato.

 I seguaci del Califfato Islamico sono impegnati a consolidare le proprie conquiste in Siria e in Iraq, e a resistere alla controffensiva della coalizione internazionale. Fanno propaganda, certo, diffondono sul web video sulle uccisioni degli ostaggi e dei prigionieri, è vero. Ma il primo obiettivo del Califfato, in questo momento, è sopravvivere sul piano militare e IS non sembra avere né il tempo né la voglia di aprire nuovi fronti. Anche se sbandiera obiettivi come il Vaticano.

 Al Qaeda, al contrario, non condivide affatto la strategia di IS. Essendo meno strutturata territorialmente e più ideologicizzata, soffre del fatto di esser stata sopravanzata dagli uomini del Califfo Al Bagdhadi, al momento più forti sia da un punto di vista mediatico che per numero di nuove affiliazioni. Il capo supremo di Al Qaeda, l’egiziano Ayman Al Zawahiri, lo ha detto esplicitamente in più di un’occasione e il suo recente appello ai musulmani in Asia è sintomo della debolezza che il brand del terrore ha oggi in Medio Oriente e in Europa.

 Così, per non perdere la propria capacità di reclutamento e di propaganda, Al Qaeda ha attivato via web i propri seguaci sparsi per l’Europa, invitandoli a far sentire la loro presenza per risvegliare i musulmani radicali e riaffermare la propria visione di un jihadismo che è a tutti gli effetti competitivo nei confronti dell’ISIS.

 Mentre lo Stato Islamico dispone di ingenti risorse anche per il solo fatto di possedere un territorio, Al Qaeda da quando si sono chiuse le casse di denaro della famiglia Bin Laden ha bisogno di fondi per sopravvivere. Anche così si spiegano alcuni rapimenti andati a buon fine: ISIS rapisce per uccidere e instillare terrore, Al Qaeda lo fa per autofinanziarsi.

 La minaccia in Europa
Oggi in Europa la vera minaccia è dunque soprattutto Al Qaeda ed è nei confronti di questa minaccia che ci dobbiamo attrezzare. A differenza di quanto avvenne a New York l’11 settembre 2001, non ci dobbiamo confrontare con un nucleo operativo proveniente dall’estero che si organizza in clandestinità per preparare un attentato, ma affrontare nuclei locali “dormienti”, annidati all’interno delle fiorenti comunità musulmane che seguono logiche proprie e non ubbidiscono a una strategia coordinata e gerarchizzata. Forme di terrorismo spontaneista che tradizionalmente sono le più difficili da prevenire.

 È in questa luce che andrebbero rilette le minacce diffuse via web contro Roma e il Vaticano. Sono minacce che non sembrano inquadrabili in una strategia operativa pianificata, ma che possono essere considerate come uno stimolo o un invito alla mobilitazione per micro gruppi operanti in Italia. In altri termini, pubblicare la foto della cupola di San Pietro su un sito jihadista non significa che dallo Yemen stia partendo un nucleo di guerriglieri pronto a sacrificarsi per fare un attentato contro il centro della cristianità. Vuol dire che gli ideologi di Al Qaeda chiedono ai loro affiliati di “coltivare l’idea”.

 

Perché attaccare il Vaticano
Si ha motivo di ritenere che l’obiettivo primario italiano non siano i fedeli che affollano San Pietro o il Papa, ma la Cupola di San Pietro. Parlamento, Quirinale o giornali italiani sono talmente irrilevanti sullo scacchiere internazionale da non poter essere considerati reali obiettivi. Questo non vuol dire che non potrebbero essere attaccati, ma che i danni realmente prodotti sarebbero relativi. Facciamo un esercizio teorico.

 Come evidenziano gli attacchi alle Torri gemelle, i terroristi di Al Qaeda prediligono colpire soprattutto simboli ben riconoscibili. E i cristiani e la Basilica di San Pietro sono sin troppo iconici. Ma Piazza San Pietro è troppo vasta e dispersiva per un attacco da terra di uno o più terroristi, mentre la struttura della Chiesa è un obiettivo appetibile. Potrebbe essere colpito con un aereo di linea dirottato o, assai più probabilmente, con un piccolo velivolo appositamente preparato e carico di esplosivo. 

 Troppi aerei sorvolano direttamente la Cupola. Per quel che riguarda i grandi voli commerciali, si tratta di aerei in fase di atterraggio e quindi molto bassi. Ma come l’idea che i caccia dell’aviazione militare a Pratica di mare possano arrivare per tempo è fallace, così le probabilità di dirottamento di un volo di linea è improbabile e di difficilissima esecuzione.

 Di conseguenza, un rischio maggiore proviene da un singolo piccolo aereo, preparato da una singola cellula che opera in piena autonomia, a poche decine o centinaia di km dall’obiettivo. Questo tipo di velivoli sfugge ai controlli dei servizi e soprattutto ai controlli radar. Ma questo, ripetiamo, è solo un esempio.

Le parole di Bergoglio

Che la minaccia contro Città del Vaticano sia stata presa molto seriamente, lo rivelano però le parole del Papa. La battuta apparentemente semplicistica che il Pontefice gesuita ha inserito ieri in una chiacchierata informale con i giornalisti, in volo verso le Filippine, non va né sottovalutata né criticata all’insegna del solito politically correct.

 Il Papa, asserendo che reagirebbe con un pugno a un insulto contro la propria madre, ha inteso mandare un messaggio semplice ma chiarissimo al mondo musulmano e de relato anche ai jihadisti stessi: le religioni, tutte, vanno rispettate, perché esse sono portatrici di valori trascendenti che non dovrebbero essere oggetto di scherno o di satira debordante.

 È stato un messaggio molto sottile e probabilmente anche efficace, che potrebbe contribuire a tenere Città del Vaticano lontano dalle mire dei jihadisti che sono sì crudeli e sanguinari ma tutt’altro che ottusi. L’esempio del Pontefice dev’essere seguito anche dai media, dalla politica e dagli intellettuali: usare un registro comunicativo appropriato e non usare semplificazioni che possono trascendere in mistificazioni e infiammare gli animi di cani sciolti e folli estremisti.

 In conclusione, l’Europa e i suoi simboli secolari e religiosi sono nel mirino del terrorismo di matrice islamica qaedista. La sfida è iniziata, ma prima di combatterla va conosciuta per poterla affrontare con mezzi adeguati.

 

Un fermo immagine tratto dal video postato il 14 gennaio 2015 su Youtube in cui uno dei leader di Al Qaida nello Yemen, Nasr al-Ansi, rivendica l'attacco a Charlie Hebdo. ANSA/ AL MALAHEM MEDIA/ YOUTUBE

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Luciano Tirinnanzi