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L’anno di Papa Francesco: «Attendista in politica estera, rivoluzionario in dottrina»

Colloquio con Gian Franco Svidercoschi, decano dei vaticanisti italiani. La lettura del profilo internazionale e di quello più spiccatamente “dottrinale” di papa Francesco.

Eccoli i piani di riflessione lungo cui riassumere il 2023 di Bergoglio, anno che deve essere necessariamente letto, almeno per una parte degli accadimenti oggetto di riflessione, partendo dai primi mesi del 2022. Da un lato c’è il piano delle relazioni internazionali, tenuto apertamente equidistante da Kiev e Mosca come da Israele e Hamas, con il Papa latinoamericano capace di ribaltare la “politica estera” della Santa Sede non più letta dai palazzi vaticani, ma dalle periferie e dai tanti Sud del mondo.

Distacco dall’Occidente, in particolare dagli Usa, con lo sguardo sempre più rivolto all’Oriente con le visite a molti Paesi islamici, senza dimenticare la pressante richiesta di giustizia per l’Africa, e le nuove “alleanze” con Pechino e Mosca, come era accaduto con lo stesso Putin, ricevuto con grandi onori in Vaticano nel 2019. E, dall’altro, c’è il piano più squisitamente “dottrinale”, quello che ha visto Bergoglio confrontarsi con le più spinose questioni relative alla “sessualità” dei fedeli: forte la sua posizione verso i transessuali, nei cui confronti sostiene che continui ad esserci una forma di discriminazione, o le aperture alla comunità Lgbt: per Papa Francesco, infatti, “Tutti sono chiamati a vivere la Chiesa”. Insomma, una migliore e diversa interpretazione della dottrina relativa alla transessualità che se da un lato ha trovato sponda fertile verso le correnti più progressiste della Chiesa, dall’altro, ha ovviamente fatto storcere il naso a quelle più intimamente legate all’ortodossia di pensiero.

E proprio su questi due grandi piani d’azione, Panorama.it ha chiesto lumi a Gian Franco Svidercoschi per il quale è evidente la rivoluzione, in politica estera e in dottrina, in corso nel Vaticano.

La politica estera del Vaticano degli ultimi due anni viene letta a partire da due date simboliche…

«La prima, 24 febbraio 2022, impresse un forte adeguamento della politica estera vaticana, quando le truppe russe invasero l’Ucraina: di fronte alla presenza di un aggredito e un aggressore che stava occupando il territorio di un Paese sovrano, con morti e distruzioni, in molti attendemmo il tempo della scelta: ma qualcosa, evidentemente, si inceppò nei tradizionali meccanismi “esteri”. Infatti, sperando di portare i due Paesi a riconciliarsi, Papa Francesco prese tempo, non si espresse, attese ben 31 giorni prima che il termine “invasione” venisse pronunciato. Non nominò mai né Putin né la Russia»

Voi commentatori parlaste di “politica dell’equidistanza”.

«Un atteggiamento che non portò a risultati! Putin non rispose mai alle chiamate di Francesco che, a sua volta, non si recò né a Mosca nè Kiev. Non riuscì nemmeno ad avviare una mediazione tra le parti, rifiutata dallo stesso Zelensky senza mezzi termini. Ricordiamo anche la missione di pace affidata al cardinale Zuppi, presidente della Cei, praticamente rimasta senza risultati. E come non ricordare la drammatica vicenda dei 20 mila bambini ucraini deportati in Russia: nessuno di essi è mai stato “restituito” agli affetti familiari».

Poco più di anno e mezzo ed ecco un’altra data-simbolo nella politica estera contemporanea del Vaticano: il 7 ottobre scorso si infiamma nuovamente il Medioriente

«E il Papa appare letteralmente “prigioniero” di una gabbia dell’equidistanza, capace -addirittura- di acuire lo scontro tra le parti. Non dimentichiamo che all’indomani del massacro del 7 ottobre, ad opera di Hamas, il laconico comunicato dei patriarchi e dei capi delle Chiese cristiane di Gerusalemme, invoca la pace senza mai fare cenno alla terribile azione dei terroristi di Hamas».

Come se non bastasse la vicenda dell’incontro con i familiari di ostaggi israelo-palestinesi sembra complicare le cose…

«Ricordiamo questa circostanza: alcuni familiari degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas chiedono insistentemente di essere ricevuti dal Papa, senza ottenere risposta: il Papa non vuole mostrarsi di parte. Ma soltanto qualche settimana dopo, ecco un esempio della strategia dell’equidistanza: prima Papa Francesco incontra i familiari degli ostaggi e poi un gruppo di parenti di residenti palestinesi a Gaza. Ancor oggi ci chiediamo perché non incontrarli insieme, favorendo, all’interno delle mura Vaticane, una forma di riconciliazione tra i due popoli?».

Si è gridato all’incidente diplomatico!

«Da un lato gli israeliani lamentarono la rapidità di quell’incontro e del perché il Papa non avesse mai usato il termine “terroristi” riferito ai combattenti di Hamas; dall’altro i palestinesi sostennero che il Papa, riferendosi all’attacco israeliano a Gaza, avesse utilizzato il termine “genocidio”. Ricordiamo cosa successe all’udienza generale: il Papa affermò che non si trattava di guerra ma di atto di terrorismo, equiparando -praticamente- Israele e Hamas. Con la conseguenza, del tutto prevedibile, delle proteste del Consiglio dei rabbini d’Italia e delle principali personalità ebraiche che si chiesero a cosa fossero serviti decenni di dialogo tra Chiesa cattolica ed ebraismo».

Dottor Svidercoschi, c’è un altro tema che ha fatto discutere, ovvero l’apertura del Vaticano su temi estremamente sensibili, perché legati alla sessualità delle persone.

«Per papa Francesco “Tutti sono chiamati a vivere la Chiesa”. Alla luce di quest’affermazione ritengo, senza tema di smentita, che ci sia stata una diversa interpretazione della dottrina relativa alla transessualità. O forse, a pensare realisticamente, l’arrivo del cardinale argentino Victor Manuel Fernandez alla guida dell’ex Sant’Offizio -per intenderci il nuovo Dicastero per la Dottrina della Fede- ha di fatto mutato l’orientamento del Vaticano sulla transessualità e l’accoglienza all’interno della Chiesa».

Sembra di capire si sia trattato di un cambio epocale nella dottrina della Chiesa…

“La Civiltà Cattolica, che ricordiamo essere la storica rivista dei Gesuiti, fondata nel 1850, ha autorevolmente interpretato il pensiero del papa sostenendo che “per accompagnare spiritualmente e pastoralmente le persone ci vuole molta sensibilità e creatività. Ma tutti, tutti, tutti, sono chiamati a vivere nella Chiesa: non dimenticatelo mai”. E ancora: anche una persona transessuale può ricevere il battesimo “alle condizioni degli altri fedeli, e può fare da padrino o testimone a un matrimonio. Anche le persone omosessuali che coabitano con un’altra persona possono essere padrini e testimoni alle nozze”. Insomma, se non è rivoluzione questa!».

Quel “tutti, tutti, tutti” suona rivoluzionario…

«E come negarlo. Il Dicastero per la Dottrina della Fede ha risposto ad alcuni quesiti, e Papa Francesco ha vergato la dichiarazione del Prefetto del dicastero per la Dottrina della fede, il cardinale argentino Victor Manuel Fernandez, che in più ha chiarito che “può essere battezzato il figlio, adottato o concepito tramite la gestazione per altri, di una coppia omosessuale”.

La disciplina non è delle più agevoli, inutile negarlo.

«Si tratta di uno dei fondamenti della dottrina della Chiesa: partendo dall’assunto che Cristo ama tutti gli uomini, anche con i loro peccati, e che la Chiesa è naturalmente orientata ad aprire le porte a “tutti, tutti, tutti” (parole di Papa Francesco) veramente mi viene difficile comprendere come mai il Dicastero vaticano incaricato dei problemi dottrinali abbia redatto un apposito documento per le persone transessuali, ovvero quelle la cui l’identità di genere non corrisponde al proprio sesso. Insomma, come se fossero una diversa categoria».

Punto entrale, inutile nasconderlo

«Immaginiamo se Gesù amasse i transessuali meno degli eterosessuali. Non ci troveremmo innanzi ad un atteggiamento “discriminatorio”? Se una persona transessuale vuole ricevere il sacramento del battesimo, o far da padrino o madrina, non basta il buon senso pastorale del parroco a stabilire se ci sia o no il rischio di scandalo, e quindi ad accettare o meno la richiesta?».

Sull’argomento si è registrato un forte cambio di atteggiamento.

«Nel settembre del 2015 la Congregazione per la dottrina della fede, in risposta ad un parere richiesto da un vescovo spagnolo, aveva sancito che “i transessuali non possono fare da padrini”. In pratica in appena otto anni, quello stesso Dicastero è stato in grado di fornire due versioni praticamente opposte, prendendo a spunto documenti di papa Francesco, ovvero la “Laudato sì” nel 2015 e l’“Evangelii gaudium” di qualche settimana addietro».

Ma che cosa è cambiato in otto anni per emettere un giudizio così diverso?

«A dirla positivamente, forse c’è stata una migliore interpretazione della dottrina relativa alla transessualità. O forse, a dirla malignamente, c’è stato l’arrivo del cardinale Fernandez a capo dell’ex Sant’Offizio: fedelissimo di Bergoglio, curatore dei suoi testi più importanti, teologo di idee avanzatissime, e nemico giurato delle scuole teologiche europee».

A proposito di cambi di rotta: è fresco di pubblicazione un importante documento…

«Lo scorso 18 dicembre è stata promulgata la Dichiarazione della Dottrina per la Fede intitolata Fiducia supplicans, che smentisce -praticamente capovolgendolo- il Responsum dello stesso Dicastero vaticano di appena due anni addietro, e che ora permette qualunque forma di benedizione (non liturgica) in favore coppie irregolari o dello stesso sesso».

Siamo alla rivoluzione dottrinale!

«La cosa assurda è che il Papa è sempre lo stesso, mentre ad essere mutato, in questi due anni -come sappiamo- è stato il vertice del Dicastero per la Dottrina della fede, ora in capo al cardinale Fernandez. Due anni fa, in pratica, il Papa rilasciò soltanto una “approvazione” alla pubblicazione del documento, mentre adesso, per confermare l’ufficialità della nuova posizione del Dicastero, il Papa, quel documento, lo ha “controfirmato”…».

Gian Franco Svidercoschi, nato ad Ascoli Piceno, classe 1936, di origini polacche, è il decano dei vaticanisti italiani. Dopo gli inizi della professione giornalistica nel 1959, è stato inviato dell’ANSA al Concilio Vaticano II per assumere, poi, l’incarico di vicedirettore de l’Osservatore Romano. Tra le numerose pubblicazioni, il volume autobiografico di Karol Wojtyla, Dono e Mistero. Diario di un sacerdote (1996) e, con l’arcivescovo di Cracovia e già segretario particolare di Giovanni Paolo II, Stanislaw Dziwisz, Una vita con Karol (Rizzoli 2007) e Ho vissuto con un santo (Rizzoli 2013). La Lettera ad un amico ebreo (1993), è stata tradotta in venti lingue: è stato tra gli sceneggiatori del film "Karol, un Papa rimasto uomo". Con L'altro Francesco. I retroscena di un pontificato scomodo (Rubbettino, ottobre 2023), racconta senza veli un pontificato decisamente controcorrente.

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Egidio Lorito