macedonia-scontri
ROBERT ATANASOVSKI/AFP/Getty Images
News

Cosa succede nei Paesi Balcanici

Dalla Macedonia al Montenegro, le svolte politiche critiche per gli equilibri regionali e i rapporti interetnici. Il ruolo di Russia e Nato

La mia generazione, cresciuta con l’assedio di Sarajevo, reagì alla formuletta “polveriera balcanica” innamorandosi perdutamente di Prima della pioggia.
Il film di Milcho Manchevski, Leone d’Oro a Venezia nel 1994, raccontava con voce altissima i Balcani e la Macedonia: si era all’epifania, e allo stupore reiterato, per un conflitto etnico da allora incapace di stemperarsi. Il paradosso temporale sul quale poggia il racconto del film torna attuale oggi, con le notizie che giungono da Skopje e da Podgorica.
Macedonia e Montenegro sono a una svolta politica che potrebbe segnare il principio di una fase critica negli equilibri regionali e nei rapporti interetnici.

Cos’è successo in Macedonia
La Macedonia non ha un governo dal 2015, quando quello guidato da Nikola Gruevski leader nazionalista del VMRO-DPMNE fu costretto alle dimissioni. Al suo posto l’alleanza tra partito socialista (SDSM) e partito della minoranza albanese (DUI) ha tentato di formare un governo, eleggendo come Presidente del Parlamento un esponente della comunità albanese. I nazionalisti che da giorni presidiavano la piazza hanno fatto così irruzione alla Camera, sgombrata a forza dalla polizia con un bilancio di almeno 50 feriti tra parlamentari e giornalisti. È un preludio di guerra civile?
Il timore dei conservatori è che le concessioni alla minoranza albanese e al loro leader, Ali Ahmeti (già capo della rivolta armata conclusasi con gli accordi di Ohrid del 2001) favoriscano il disegno pan-albanese, ossia l’unificazione territoriale tra il Kosovo e l’area occidentale di Tetovo, roccaforte degli albanesi di Macedonia.

Macedonia: scontri e feriti nel Parlamento

Cos’è successo in Montenegro
Il Parlamento montenegrino ha ratificato l’adesione alla Nato, anche qui suscitando il malcontento di larga parte del Paese, che preferirebbe l’equidistanza tra mondo slavo e mondo Occidentale. Si sta compiendo un disegno di lungo corso dal momento che dopo Slovenia, Croazia ed Albania tutti i paesi dell’ex Federazione Jugoslava affacciati sul Mediterraneo saranno ora parte della Nato. In contemporanea è arrivata anche la tanto attesa ratifica da parte del Senato USA (con due soli voti contrari) e Rex Tillerson incassa così un successo personale in prospettiva del prossimo vertice Nato di Bruxelles del 25 maggio, dove sembra probabile la partecipazione dello stesso Trump.
In termini geopolitici puri, la Serbia risulta accerchiata e Mosca non ha mai smesso di leggere l’espansione a est della Nato come una potenziale minaccia. Intanto il voto al Parlamento di Podgorica è passato senza un solo voto contrario, perché l’opposizione ha abbandonato l’aula. È questo il segnale preoccupante: quando la dialettica parlamentare a queste latitudini s’inceppa, i processi cruenti si mettono in moto.

L’incognita Serbia
Fondamentale sarà ora capire la posizione di Belgrado. Se da una parte è vero che il Premier Aleksandar Vučić è il principale fautore dell’adesione serba all’Unione Europea (e delle relative riforme politiche necessarie al processo) nonché il primo leader serbo ad aver visitato l’Albania, dall’altra rimangono strettissimi i rapporti con Mosca, dove Vučić si è appena incontrato con Vladimir Putin.
Sul tavolo c’erano le tensioni interne in Macedonia e Montenegro e la questione delicatissima del Kosovo, deciso ormai a formare un proprio esercito ufficiale. Serbia e Russia restano in sostanza partner strategici e militari: Belgrado ha confermato l’interesse per i missili antiaerei Buk-M1 e Buk M2 dopo aver ricevuto in regalo da Mosca sei caccia MiG-29.

L’Occidente tra Nato e UE
L’Occidente è quindi in prima linea, nel cuore dei paesi cosiddetti non-allineati, sotto la bandiera della Nato, ma anche sotto quella della UE, nell’istituto del Commissario europeo per l’allargamento e la politica di vicinato, con a capo l’austriaco Johannes Hahn. La sua preoccupazione per quanto accaduto a Skopje, ribadita dai vertici di Bruxelles, è ben comprensibile dal momento che l’allargamento riguarda, in questa fase storica, essenzialmente tre paesi: Macedonia, Albania e Serbia appunto.

Il tempo circolare dei Balcani
La metafora del tempo circolare restituisce un affresco fedele delle pulsioni balcaniche e della loro malcelata violenza.
Affacciandosi su questo arcipelago di culture ed etnie torna alla mente la potenza ancestrale di un verso di Derek Walcott: Alla fine di questa frase, comincerà la pioggia (At the end of this sentence, rain will begin).

I più letti

avatar-icon

Alessandro Turci

Alessandro Turci (Sanremo 1970) è documentarista freelance e senior analyst presso Aspenia dove si occupa di politica estera

Read More