Italia, un paese senza certezze
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Italia, un paese senza certezze

Fisco, giustizia, rilancio: l'esecutivo naviga senza bussola. L'editoriale del direttore di Panorama, Giorgio Mulè

Oggettivamente è difficile riuscire a capacitarsi di tanta incapacità. Fino a quando il governo aveva tra i piedi Renato Brunetta, lo sport preferito era quello di scaricare sull’economista di Forza Italia qualsiasi responsabilità sulla confusione scatenata da ogni annuncio fiscale. Sapevamo allora – e ne abbiamo quotidianamente conferma adesso – che invece questo governo è prigioniero di un indecisionismo congenito, di un pressappochismo patologico.

In una parola: abbiamo a che fare con dilettanti, però assai pericolosi. E non dicano che non conoscono i danni di cui sono responsabili. Perché, come recita l’adagio, se la cantano e se la suonano. Sul sito internet del governo c’è una parte assai visibile dedicata a «Destinazione Italia», il piano che dovrebbe servire a convincere gli imprenditori, soprattutto stranieri, a investire in Italia. A Palazzo Chigi hanno le idee chiarissime e sanno che esiste una precondizione assoluta e indispensabile per riuscire ad attrarre risorse: «Occorre facilitare la vita degli investitori esteri e degli imprenditori italiani assicurando certezza del diritto, del fisco e dei tempi delle autorizzazioni». Dunque, cominciamo: certezza del diritto. In Italia non esiste, perché quando si finisce sulla giostra di una causa penale o civile non si sa mai quanto durerà il giretto (anche 10 anni o più) e l’esito fissato da un magistrato è sempre esposto a una revisione successiva o a una variabile legislativa capace di mutare il quadro anche in profondità.

Andiamo avanti: certezza del fisco. È una barzelletta che non fa ridere. Siamo nella condizione di non sapere quali tasse dovremo pagare tra un mese, con il capolavoro di avere intanto ucciso in culla la voglia degli italiani di spendere qualche spicciolo delle tredicesime; ma siamo certi delle molte nuove tasse che ci pioveranno addosso negli anni a venire. Per il 2014 abbiamo certamente capito che sarà un anno fiscalmente maledetto. Saremo circondati da patrimoniali mascherate sulla casa, da prelievi sui nostri risparmi sotto forma di pagamento di bolli, dall’imposizione di tributi locali pazzeschi. L’unico punto fermo del nostro futuro è che i pensionati saranno sempre più mortificati mentre i lavoratori dipendenti subiranno balzelli mai visti prima.

Ultima certezza: i tempi delle autorizzazioni. E qui siamo al capolavoro dell’ipocrisia. Me la cavo con un solo esempio, quello dei supermercati Esselunga. Per realizzare un punto vendita occorrono mediamente da 8 a 14 anni, con punte di 24 anni e con vergogne che si trascinano, come nel caso di Firenze, da oltre 40 (aspettano dal 1970). Questo governicchio tenuto per mano da Giorgio Napolitano ha solo una caratteristica: è inaffidabile. Lo è in Italia e anche all’estero, proprio perché incapace di dare quelle certezze che esso stesso pone a fondamento di un rapporto fiduciario con chi dovrebbe investire. Ed è inaffidabile anche perché dopo la fine delle larghe intese ha un dna bastardo, frutto di una manipolazione politica che ha mutato in profondità l’indicazione degli elettori. Il Pd, soprattutto dopo la vittoria annunciata di Matteo Renzi alla quale non corrisponderà una maggioranza di renziani nei gruppi parlamentari, è ridotto peggio della ex Iugoslavia e ha pure rotto quell’alleanza con Sel che, alle elezioni di febbraio, ha consentito a Pier Luigi Bersani di conquistare il premio di maggioranza alla Camera. Il Pdl non c’è più e la scissione tra Forza Italia e «alfaniani» ha minato alla radice il patto con tutti quei cittadini che, a febbraio, avevano dato il voto a Silvio Berlusconi e non ai cinque ministri che nei piani del Cav. dovevano essere le «sentinelle contro l’aumento delle tasse» e sono diventati invece i guardiani di un governo bugiardo e arruffone. Scelta civica è implosa ed è divisa in due anime inconciliabili. È così rivoluzionario chiedere di tornare a votare al più presto?

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Giorgio Mulè