Molestie ginnastica
(Ansa)
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Quando l'allenatore diventa un "mostro"

Sono sempre più numerosi gli episodi di molestie a danni di atleti ed atlete. Spesso taciuto dalle vittime. Ma si può intervenire

Dalla ginnastica alla vela, gli abusi nel mondo dello sport sono ormai un fenomeno diffuso. Una vera e propria emergenza che ha mostrato un lato oscuro del mondo sportivo fatto di violenze sessuali, maltrattamenti e abusi psicologici ai danni dei giovani che diventano vittime dei loro allenatori. Violenze di cui si è cominciato a parlare solo negli ultimi anni come nel caso delle ginnaste Nina Corradini e Anna Basta, che per prime hanno denunciato gli abusi psicologici e le violenze verbali da parte dello staff della nazionale durante il loro periodo di attività. O come il caso di oggi ad Anzio in provincia di Roma dove una 15enne ha denunciato di essere stata violentata dal suo maestro di vela.

Ma quando l’allenatore diventa un mostro? Lo abbiamo chiesto al dott. Stefano Becagli Psicologo Clinico e dello Sport.

«Non è identificabile un profilo né di chi esercita l’abuso né di chi lo subisce, pertanto è fondamentale la prevenzione. È però opportuno prestare attenzioni ad alcuni comportamenti che sono inadeguati dalla figura che ha un compito educativo, ad esempio: favoritismi (ricerca di pretesti per fare dei regali), interesse eccessivo per un atleta, ostentato interesse per atleti di una precisa fascia d’età o con caratteristiche precise, ricerca di occasioni per isolarsi con atleti».

Quanti casi di abusi ci sono stati negli ultimi anni?

«I casi di abusi e violenze hanno riguardato diverse discipline sportive in Italia e nel mondo. Fece molto scalpore il caso dell’osteopata della nazionale statunitense di ginnastica che dal 1996 fino al 2017 abuso sessualmente di 256 atlete. Le violenze sono di vario genere: psicologiche, verbali, sessuali. Nel calcio femminile di diverse categorie, sempre negli USA, si registrano violenze, queste purtroppo sono particolarmente radicate sin dai settori giovanili. Come da lei anticipato anche in Italia si sono palesate molte manifestazioni di violenza e abusi. Come noto gli abusi si possono verificare verbalmente, psicologicamente e anche tramite digiuni forzati per evitare aumenti del peso corporeo e carichi di allenamento irragionevoli, cosa che si ritrova statisticamente in particolari discipline sportive».

Cosa si innesca nella vittima difronte all’abuso dell’allenatore?

«L'abuso è di frequente compiuto da persone che occupano diverse posizioni di potere e approfittano del rapporto di fiducia in essere con gli atleti. Pertanto questi possono essere persone anche diverse dall'allenatore, ad esempio: dirigenti, medici, membri dello staff e in alcuni casi anche compagni di squadra.Quando le figure adulte utilizzano il loro potere a scopi personali e non per l’interesse degli atleti commettono un abuso di potere. L’adulto infatti usa la sua posizione per manipolare l’atleta approfittando della sua fiducia, ingenuità, ammirazione, paura o dipendenza. Questo ovviamente disorienta l’atleta e lo porta poi ad incarnare il ruolo di vittima».

C’e una tendenza a non denunciare per l’ascendente che queste persone hanno sulla vittima?

«Dato la moltitudine di questi episodi, di primo acchito ci si può domandare per quale motivo se ne parli molto poco e si evitino denunce per gli abusi. Le ragioni sono svariate. Uno dei tanti è quello che gli psicologi sociali chiamano "l'effetto spettatore". Concerne quelle situazioni in cui le altre persone non prestano aiuto o soccorso alla vittima durante la situazione pericolosa, bensì partecipano in modo passivo. I motivi che conducono ad agire in questo modo sono svariati: ad esempio la paura di poter essere la prossima vittima in caso di aiuto e protezione nei confronti di chi sta subendo l'abuso, un altro riguarda il fatto che più è alto il numero di persone che assistono alla violenza più è facile che queste non intervengono a soccorrere la vittima»

Quali sono i segnali che fanno capire che c’è qualcosa che non va? Cosa fare e a chi rivolgersi ?

«Le diverse tipologie di abuso delle quali ho parlato prima hanno ripercussioni negative anche a lungo termine sul benessere psicologico, fisico e sociale degli atleti. In molte situazioni le vittime non parlano in modo esplicito degli abusi che sono stati costretti a subire. Segnali di malessere e di disagio possono presentarsi. A seconda dell'età dell'atleta i segnali possono essere diversi.In età infantile e nell'adolescenza possono palesarsi negli atleti vittime di abusi: aggressività e cambiamenti di umore repentini, passività perdita dell'autostima, sviluppo di paure e fobie, tendenza ad evitare situazioni, luoghi o persone, indolenza o perdita di interesse nella disciplina sportiva praticata, immersione in altre attività o nello studio, disturbi dell'appetito e del sonno. Nei bambini è frequente riscontrare: incontinenza, conoscenze o comportamenti sessuali precoci o aggressivi, giochi ripetitivi in cui l'abuso subito è nuovamente espresso; negli adolescenti si presentano: promiscuità, autolesionismo, dipendenza da sostanze, fughe. Tutto questo può condurre inoltre al drop-out sportivo.La drammaticità delle conseguenze degli abusi cambia da individuo ad individuo ed è condizionato da molte ragioni. Uno di questi è come la vittima è accolta nel momento in cui rivela ciò che ha subito: è determinante che venga accolta, sostenuta e creduta, questo si rivela un punto decisamente cruciale. Reazioni fuori luogo (minimizzare, far finta che nulla sia accaduto, rimproverare, incolpare) possono invece dare luogo ad un aggravamento delle conseguenze dell’abuso. Pertanto la razione di fiducia e sostegno è fondamentale per l’atleta che si è confrontato con l’abuso e può aiutarlo a reagire ed uscire dalla condizione di disagio.Il passaggio successivo è segnalare quanto prima l’accaduto ai settori preposti alla tutela minori delle società sportive e delle Federazioni. Per gli atleti che hanno subito un abuso per affrontare e superare il disagio è opportuno un percorso psicologico».

Ma se i genitori devono monitorare il comportamento dei loro figli cosa dovrebbero fare le federazioni? A parlarcene è Luca De Rose psicoterapeuta che ha fatto parte della squadra dei psicologi che hanno seguito gli atleti alle ultime Olimpiadi di Tokyo

«Bisogna formare gli istruttori con dei test psicodinamici. Non si tratta di un fulmine a ciel sereno come scrivono i giornali ma è la quotidianità. È accaduto alle ginnaste, poi c’è stato il caso dell’istruttore di scherma pedofilo, del maestro di tennis ed altri ancora. È un problema grave che purtroppo viene sottovalutato. Solo la FIGC (federazione italiana gioco calcio) è ha adottato a riguardo un programma tutela minori ma le altre cosa aspettano? Dovrebbe essere il Coni stesso ad adottare un programma di base nazionale con psicologi e psicoterapeuti che siano in grado di sostenere quest’emergenza, perché di questo parliamo e non di casi isolati».

Perché secondo lei se ne parla così poco?

«Perché conviene, ma lo sport non è questo ed i genitori devono prendersela anche con la federazioni che non hanno tutelato i loro figli e con il Coni. I ragazzi sono una spugna assorbono tutto e bisogna proteggerli. Vede non fanno i test agli istruttori perché nel caso sono certo che solo una bassissima percentuale di queste persone potrebbe lavorare ma purtroppo le quote d’iscrizione di questi soggetti fanno cassa. Chiunque in ambito sportivo abbia a che fare con i minori deve essere idoneo ed equilibrato. Ma non solo manca anche l’attenzione sulle cose di tutti i giorni siamo molto indietro. Ad esempio l’organizzazione degli spogliatoi che può sembrare una sciocchezza è importante. L’istruttore non si può cambiare con i suoi allievi, anche se sono dello stesso sesso. Ci sono tempi naturali di scoperta del proprio corpo non si può essere così leggeri. Inoltre c’è da considerare che la relazione tra coach e atleta è molto potente. Gli allenatori hanno un ascendente forte che facilmente se non controllato e in soggetti con disturbi può sfociare in un abuso. Se dietro la figura del coach non c’è una persona “sana” rischiamo di rovinare la vita dei ragazzi».

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Linda Di Benedetto