Mario Roggero
(Ansa)
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Legge sulla legittima difesa. Ecco perché Mario Roggero è stato condannato a 17 anni

Il gioielliere di Grinzane Cavour, Mario Roggero, è stato condannato a 17 anni di reclusione per l'omicidio dei due rapinatori che avevano assaltato la sua gioielleria il 28 aprile 2021. L’avvocato penalista Daniele Bocciolini spiega perché e come funziona la legge sulla legittima difesa

Sta facendo molto discutere la sentenza che ha condannato il gioielliere Mario Roggero, a 17 anni di reclusione per aver ucciso due rapinatori – Giuseppe Mazzarino e Andrea Spinelli – che avevano assaltato la sua gioielleria a Grinzane Cavour il 28 aprile 2021. Una condanna emessa dal tribunale di Asti, che va anche oltre la richiesta del pm Davide Greco, che aveva chiesto una pena di 14 anni.
«Il gioielliere ha inseguito e ucciso i rapinatori in fuga, per questo motivo la sentenza è corretta sotto il profilo formale. Ma la legge va cambiata e resa più chiara, proprio per evitare questi paradossi»-commenta l’avvocato penalista Daniele Bocciolini.

Quali sono i requisiti della legittima difesa? Cosa prevede l’ordinamento giuridico?

«Secondo il nostro ordinamento “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa”. La legittima difesa ha pertanto dei requisiti ben determinati che devono tutti essere presenti al momento del fatto. Ai fine della proporzionalità della reazione difensiva, va valutato il complesso dell’azione aggressiva e di quella difensiva, tenendo in considerazione i mezzi utilizzati da entrambe le parti, i beni contrapposti, l'effettiva inevitabilità della reazione, l'incolpevolezza dell'aggredito, il tempo ed il luogo dell'azione ecc.».

Ma il legislatore non aveva modificato la norma in favore dell’aggredito?

«Recentemente il legislatore è intervenuto proprio sulla legittima difesa cd. “domiciliare”, quando l’offesa ingiusta viene perpetrata all’interno della abitazione o nel domicilio della vittima. In questo caso di indebita violazione del proprio domicilio, il legislatore ha voluto riconoscere una maggiore tutela nei confronti del soggetto che abbia visto violato il proprio domicilio. In particolare, la norma sancisce sempre la sussistenza del requisito della proporzionalità qualora la persona legittimamente presente nel domicilio privato utilizzi un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:la propria o altrui incolumità o i beni propri o altrui, quando non vi è esistenza e pericolo di aggressione.In questi casi, pertanto, è stata introdotto una “presunzione di proporzionalità” della difesa, che, come si è visto, deve di regola essere accertata dal giudice caso per caso. Questa riforma, è giustissima perché chi viene aggredito da sconosciuti armati in casa propria, si trova in uno stato di concitazione tale che è impossibile prevedere quale possa essere la sua reazione».

Nel caso di specie allora perché non è stata applicata questa norma? Come spiega questa condanna?

«Perché l’oggetto del processo non è stata la “proporzionalità” tra azione e reazione. Secondo la Cassazione, infatti, la condotta di legittima difesa può ritenersi scriminata, e quindi non punibile, solo se necessaria, e quindi connotata da un pericolo attuale e concreto, quale, ad esempio, la mancata desistenza da parte dell’aggressore colto sul fatto; occorre, altresì, che l’offesa, arrecata o anche solo minacciata, dall’aggressore, possa qualificarsi come ingiusta e rivolta a beni o all’incolumità personale del soggetto agente o di terzi. Nel caso di specie i giudici hanno ritenuto che mancasse un altro requisito fondamentale per riconoscere la scriminante della legittima difesa ovvero l’attualità del pericolo. Difatti, per come è stata ricostruita l’azione omicidiaria posta in essere dal gioielliere, sarebbe avvenuta non all’interno della propria attività, bensì fuori, quando oramai gli aggressori si erano dati alla fuga. Una sorta di esecuzione. In questo caso, quindi, non è stato possibile affermare che la reazione sia stata necessaria, non essendo stato l’aggredito costretto a sparare per difendere la propria vita e quella dei propri familiari da un pericolo attuale ingiusto. In sostanza, anche considerato il comprensibile stato emotivo dell’uomo, l’azione non può ritenersi “giustificata” dal momento che, essendosi dati i rapinatori alla fuga, il pericolo non era più attuale. La difesa ha giustamente invocato la legittima difesa putativa (sentendosi in pericolo, ha reagito) ma non è stato sufficiente».

Ci sono precedenti di questo tipo?

«Ci sono molti precedenti simili, nei quali in sostanza si assiste al paradosso per il quale le vittime diventano imputati. Penso sia comprensibile lo sdegno che suscitano queste sentenze perché la gente non si spiega perché, in uno Stato in cui non si può stare al sicuro nemmeno in casa propria, addirittura si viene condannati se si reagisce. Ritengo sia opportuno intervenire in maniera chiara sulla norma relativa alla legittima difesa perché troppo spesso la giurisprudenza ovvero l’applicazione concreta si discosta molto dalla lettera dell’articolo. Essendo la valutazione rimessa caso per caso al giudice, spesso i processi possono avere esiti molto diversi. Per questo c’è bisogno di una legge ancora più chiara».

In appello potrebbero esserci elementi per una riduzione della pena?

«La sentenza ha riconosciuto le circostanze attenuanti generiche e la circostanza attenuante dell’ aver agito in stato di ira, determinato da un fatto ingiusto altrui, la cd. “provocazione”. Non è escluso che la Corte di Assise di Appello possa valutare i fatti in modo diverso ovvero rideterminare la pena in favore del gioielliere».

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Linda Di Benedetto