Sull'invasione di campo della magistratura
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Sull'invasione di campo della magistratura

Dove è finita la "leale collaborazione" tra poteri dello Stato invocata dai giudici?

Ci aspettano giorni in cui verificheremo la capacità di mantenere nervi saldi e sangue freddo. Da qui al 19 giugno, infatti, c’è da aspettarsi di tutto prima e dopo una decisione che verrà presa dalla Corte costituzionale. La Consulta dovrà esprimersi su una questione legata al processo Mediaset e in particolare sul diritto negato a Silvio Berlusconi in un’udienza del 1° marzo 2010 di avvalersi del legittimo impedimento, in quanto all’epoca era presidente del Consiglio.

Quel giorno il Cavaliere doveva presiedere a Palazzo Chigi un Consiglio dei ministri: gli avvocati lo fecero presente al tribunale, ma i giudici non sentirono ragioni e andarono avanti scatenando un putiferio istituzionale. Ora: se questa possa definirsi «leale collaborazione fra poteri dello Stato» (questa è la formula che, in precedenza, avevano invocato gli alti giudici nei casi di conflitto tra potere giudiziario ed esecutivo), è riflessione che lascio a ognuno di voi. Rimane il fatto: neppure davanti a un Consiglio dei ministri i giudici ritennero di dover rinviare l’udienza.

Il verdetto della Corte costituzionale è assai importante perché, nel frattempo, Berlusconi è stato condannato in appello a 4 anni di reclusione più 5 d’interdizione dai pubblici uffici. Entro dicembre potrebbe già arrivare la sentenza della Cassazione che, se confermasse la condanna, avrebbe come conseguenza la sua decadenza da parlamentare.

Se però la Consulta dovesse affermare che quell’udienza del 2010 andava rinviata perché non rientra in alcuna «leale collaborazione» infischiarsene di un impegno istituzionale del presidente del Consiglio – che si chiami Silvio Berlusconi dovrebbe essere totalmente insignificante ai fini della decisione – l’intero processo potrebbe perfino essere azzerato.

Già nei giorni scorsi si sono cominciate ad avvertire le prime avvisaglie di strumentalizzazione della vicenda, i primi velati accenni sulla capacità dei giudici di essere impermeabili a presunte sirene della ragion di Stato che vorrebbero una sentenza favorevole al Cavaliere per evitare la fine del governo.

Altri attacchi, più o meno volgari, sono da mettere in conto nei giorni che ci separano dal giudizio. È una tecnica consolidata (pensate solo alla guerriglia scatenata in occasione della sentenza che doveva distruggere le telefonate tra Giorgio Napolitano e Nicola Mancino) attraverso la quale gruppi organizzati di manettari credono di potere intimidire e condizionare i giudici. Di solito non funziona, speriamo che la tradizione continui. In questo caso, a soffiare sul fuoco, ci sarà anche il partito contrario alle larghe intese, i soliti giustizialisti che vogliono eliminare il Cav con la spallata giudiziaria, gli autodichiarati difensori e guardiani della Costituzione il cui unico obiettivo è quello di non cambiare nulla.

È innegabile che il fondatore del Pdl ha già dimostrato in un passato anche recente di avere senso di responsabilità verso le esigenze del Paese e di avere una eccezionale capacità di mantenere salda la propria leadership davanti a qualsiasi inciampo giudiziario. Non è facile, ed è comprensibile, tenere la barra dritta di fronte all’enormità di una requisitoria come quella del processo Ruby, più vicina alla narrazione di un romanzo voyeuristico che all’elencazione di prove concrete necessarie per lo svolgimento di ogni processo.

Ma di un dato si può essere certi: l’Italia che rappresenta Berlusconi è migliore di quella che vorrebbero rappresentare i pubblici ministeri. Perché, in vent’anni che fa politica, il Cavaliere ha dato sempre prova di avere un alto senso di responsabilità, mentre ci sono molti e fondati motivi per non poter dire lo stesso di alcuni magistrati e della loro capacità di amministrare giustizia giusta.

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Giorgio Mulè