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La sinistra europea travolta dalla globalizzazione

Per la socialdemocrazia la crisi è strutturale. Ha perso il contatto con i ceti di riferimento storici e con i nuovi soggetti sociali. L'esperimento tedesco

L’assurdo che ora toccherà al perdente decidere le sorti politiche della prossima legislatura italiana, ossia al Partito Democratico ago della bilancia parlamentare, non cancella la centralità della sconfitta, vista nel complesso della crisi della socialdemocrazia europea.

I partiti della sinistra riformista sono in evidente affanno in tutto il Vecchio Continente, e sembrano patire più di altre formazioni (i conservatori o i cosiddetti populisti, espressione, quest’ultima, un po' abusata) l’era della globalizzazione e dei suoi inediti scenari macroeconomici.

Il Labour all’opposizione nel Regno Unito, il Partito Socialista francese svuotato da Macron e ignorato dagli elettori delusi da Hollande, infine la gloriosa Spd tedesca, costretta a un ruolo di governo suo malgrado, cioè dopo una severa sconfitta nelle urne.

Il riformismo europeo punito dagli elettori

Cosa accade, insomma, nella galassia del riformismo europeo e perché il rapporto con l’elettorato è così compromesso?

In alcuni casi il pegno pagato dai suoi partiti è quello dell’essere stati a lungo al potere e quindi essersi sovrapposti, nell’immaginario popolare, col Palazzo. Se poi il palazzo è percepito lontano dalla capitale nazionale, a Bruxelles, peggio ancora. Sono le scorie che portano al sovranismo tradito.

La globalizzazione

Ma la ragione più profonda risiede nella struttura inedita della globalizzazione, che ha mutato i parametri e i rapporti di forza nella dialettica tra stato e cittadini. Al capitalismo in forma di un Proteo sempre cangiante si è sostituita una globalizzazione finanziaria troppo complicata da normare se non con regole difensive, i famosi vincoli di bilancio pubblico imposti da Bruxelles, che penalizzano i settori meno dinamici delle società occidentali.

Senza la protezione del welfare

Parliamo di quel bacino di voti che il welfare nazionale non riesce più a proteggere. Fa eccezione il caso Germania, ma per una ragione semplicissima. E cioè che la Cdu di Angela Merkel ha ereditato il welfare costruito dal suo predecessore socialdemocratico Gerhard Schröder, senza smantellarlo, ma anzi aggiornandolo per tenerlo al passo con gli scenari correnti.

La formula in realtà era nota anche fuori dalla Germania, e coincideva con la descrizione di un grande partito popolare di centro che guarda a sinistra. Le ultime tornate elettorali europee ci hanno dimostrato tuttavia che l’equazione non può essere scritta al contrario.

Un partito di sinistra non sa parlare al centro

Un grande partito di sinistra che guarda al centro non convince. La ragione è probabilmente nel concetto di esclusione sociale.
L’abolizione dell’Articolo 18 in Italia, per fare un solo esempio, è una soluzione che “tradisce” la base elettorale storica della socialdemocrazia, per cui se a una prima lettura sembra un impulso progressista, nell’attuazione pratica si rivela come l’abiura di un pilastro del welfare. Merkel, al contrario, è sempre riuscita a coniugare lo sguardo a sinistra con l’ancoraggio identitario ai valori del proprio elettorato moderato.

Prigioniera di maglie molto strette come le regole di bilancio europee, come l’immigrazione demografica che può solo essere meglio governata ma mai e poi mai fermata, e con fasce di povertà crescenti, la sinistra era destinata a finire sul banco degli imputati.

Ma la Germania, per una volta, è eccezione e non regola. Per cui la Francia si è dovuta inventare un macronismo, al quale i francesi, con senso di responsabilità dal basso, hanno dato pieno mandato monocolore sull’attuazione del programma, per non dover ascoltare dopo i soliti alibi sugli alleati riottosi.

Alle sinistre è stato fatale il distacco dalle fasce storiche del proprio consenso. Forse per questo la Spd di Martin Schulz, prima di salire a malincuore sul carro del vincitore e far rinascere la Grande Coalizione, ha umilmente interpellato la base.

Consultare la base

Prima si sono espressi (favorevolmente) i delegati nazionali, ma poi si sono espressi gli iscritti in ogni sezione, e solo venerdì scorso è arrivato al vertice del partito il via libera alla formazione del governo con la Cdu.
I socialdemocratici tedeschi hanno insomma capito che il voto ricevuto nelle urne a settembre non rappresenta un assegno in bianco per scegliere tra opposizione o responsabilità di governo, ma significa, nel complesso mondo odierno, l’attivazione del canale di dialogo costante e reciproco con la propria base.

Come in tutte le cose, iniziare dal principio potrebbe evitare una fine ingloriosa.

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Alessandro Turci

Alessandro Turci (Sanremo 1970) è documentarista freelance e senior analyst presso Aspenia dove si occupa di politica estera

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