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ANSA/ALESSANDRO DI MARCO
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Partito democratico: chi sarà il nuovo segretario

Nicola Zingaretti pronto a lanciare la sfida. Intanto sarà Maurizio Martina a guidare i dem fino all'assemblea nazionale del 15 aprile. Poi le primarie

Giovedì 8 marzo e venerdì 9, due giornate di studio degli schieramenti interni al Pd uscito con le ossa rotte dalle elezioni del 4 marzo. E lunedì 12 marzo la prima Direzione post voto.

Il segretario Matteo Renzi è dimissionario e ci sono le convulsioni per i grandi dubbi su come comportarsi rispetto all'invito che arriverà presto dal Presidente della Repubblica a discutere se e come sostenere chi proverà a fare il nuovo governo.

Il personaggio del giorno è il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, l'unico pd ad aver qualcosa da festeggiare in questi giorni e uscito allo scoperto dicendo che lui alle primarie per la segreteria vorrebbe proprio partecipare.

Il percorso per le primarie però è ancora lungo e le candidature arriveranno. Non è chiaro ancora se Carlo Calenda sarà uno di questi.

Intanto è certo che il 12 marzo incomincerà la fase procedurale che porterà alla sostituzione di Renzi. La direzione del partito dovrebbe assegnare la reggenza a Maurizio Martina fino alla assemblea nazionale del 15 aprile.

All'assemblea verrà nominato un segretario che avvierà il percorso delle primarie. Martina però non si sente tanto un reggente, ma si aspetta la conferma in direzione e poi forse, concorrerà alle primarie. Renzi pare punti invece su Graziano Delrio.

Nel frattempo si sarà accesa la discussione sul che fare rispetto alle proposte di fiducia al governo. Tema sul quale si fanno i calcoli cercando di capire come si posizionano i due gruppi parlamentari, sui quali si allunga l'ombra di Renzi (specialmente al Senato).

Tutto è possibile in una fase così concitata.

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Matteo Renzi, segretario uscente del Partito Democratico - marzo 2018 (ANSA/MAURIZIO DEGL'INNOCENTI)

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I parlamentari con chi stanno

Nel frattempo ci si conta. Al Senato, secondo la Repubblica di venerdì 9 marzo,  "i renziani a prova di bomba" sono solo 23 su 54. Alla Camera, meno di 50 su 107. Insomma, il presunto controllo dei gruppi parlamentari da parte del segretario uscente sarebbe tutt'altro che assoluto.

Assemblea nazionale

Nell'assemblea nazionale che deciderà chi guiderà il Pd verso le primarie "i renziani Doc" sarebbero invece 460 su 900.

Grande attenzione dunque fra militanti e simpatizzandi per questa nuova fase che definirà anche la linea politica della principale forza di sinistra italiana che da forza di Governo si è trasformata ormai, in forza di opposizione. E che, nella sua maggioranza, non ha intenzione di firmare nessun potenziale accordo con il M5S.

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Il ruolo di Matteo Renzi

Di certo, le dichiarazioni di Renzi il giorno dopo il voto non lo hanno aiutato a unire ma hanno ulteriormente diviso. O meglio scoperchiato altre tensioni. Le accuse tra le righe a qualche esponente PD voglioso di firmare un patto di governo con il M5S ("chi lo vuole dovrà dirlo in congresso"), leggi Dario Franceschini e Paolo Gentiloni, hanno immediatamente generato la reazione della base (quella che è rimasta) e della stragrande maggioranza dei renziani che hanno dichiarato da subito il loro "no".


Carlo Calenda

A dare un primo messaggio forte in questa direzione ci ha pensato da subito Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo Economico, che si è iscritto al PD il giorno dopo la sconfitta alle elezioni per poi dichiarare: "Se il Pd si allea con il M5S il mio sarà il tesseramento più breve della storia dei partiti politici".

Quindi ha rottamato con una riga il "rottamatore" ormai dimissionario, Matteo Renzi, sempre con poche battute su Twitter: "Nel Pd il leader c'è e fa il PDC", cioè il presidente del Consiglio.

Ma non sarà lui a correre per la segreteria dem: "Sarebbe ridicolo" ha spiegato. "In questo momento di tutto abbiamo bisogno tranne che di correre da qualche parte. Abbiamo bisogno di rimetterci insieme, di far iscrivere molta gente e ricominciare. Perché - insiste - se cominciamo a discutere" anche su questioni come quella dei "capigruppo" è "davvero finita".

Andrea Orlando

Ha le idee chiare il ministro alla Giustizia, Andrea Orlando. "Non si tratta neppure di dare delle colpe della sconfitta - ha dichiarato - io spero che le dimissioni di Renzi e del gruppo dirigente segnino l'avvio di una fase che dia un nuovo assetto, anche se questo non sarà risolutivo di per sè: bisogna riaprire un confronto coi nostri iscritti, con i militanti e provare a recuperare chi se ne è andato; poi discutiamo delle scelte istituzionali da fare".

E acnora: "Se Carlo Calenda si vuol candidare alle primarie è un suo diritto farlo, trovo sia una personalità che può dare un contributo importante al Pd, ha idee diverse dalle mie ma il partito deve essere plurale, è un carattere che dobbiamo recuperare: un partito non può essere il luogo della dittatura della maggioranza, dove chi non è d'accordo non ha alcuna possibilità di incidere, altrimenti il rischio è di essere più poveri. Calenda puo' rendere più articolato il quadro portando una cultura, diversa dalla mia, ma che deve starci".

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