Posto fisso lavoro italia
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Ora tutti rivogliono il posto fisso

Gli italiani infelici sul posto di lavoro avevano visto nella libertà e nelle nuove opportunità il motore per cambiare professione. Ora tuttavia qualcosa sta cambiando...

E dopo la fuga è tempo di pentimento. Nel mondo del lavoro è boom di Great Regreat: nell’ultimo anno il 56% di chi ha cambiato professione si è già pentito della decisione presa. Ma, la “fuga” dal posto fisso, iniziata dopo la pandemia (ricordate la Great Resignation?), continua ad attrarre oltre 4 lavoratori su 10, nonostante la crescita di pentimenti. Cosa sta succedendo? Stando ai numeri e all’analisi dell’indagine dell’Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano in collaborazionecon BVA Doxa è presto detto: gli italiani sono poco felici, pochissimo, al lavoro. Solo il 9% dice di trovarsi bene considerando le tre dimensioni del benessere: fisico, psicologico e relazionale. E se si parla di felicità tout court, si scende al 5%.

Infatti, l’infelicità il motore di quel 42% di italiani che ha cambiato lavoro recentemente o pensa di farlo a breve. Il motivo principale è la ricerca di “benessere fisico e mentale” (36%),prima ancora della ricerca di opportunità di carriera. Ma, pur continuando la Great Resignation, è tempo di pentimento, che in Italia riguarda soprattutto gli uomini e le persone con più di cinquanta anni di età. Il 56% di chi ha cambiato lavoro negli ultimi 12 mesi si è già pentito, +37% rispetto al 2023. “Il Covid è stato uno scossone rapido e potente e quindi ha spinto molti a mettere in discussione la “sindrome da criceto” tanto diffusa e a cambiare. Ma i cambiamenti, dopo la primissima fase, hanno sempre bisogno di essere meditati a mente fredda e l’assestamento ora fa vedere con lucidità quello che nella fase dell’“innamoramento” non si vedeva”, spiega Sabrina Bonomi, professoressa di organizzazione aziendale all’Università e-Campus e socia fondatrice della Scuola di Economia Civile. E così il nuovo lavoro appare presto nella sua routine, come quello vecchio. E si rivaluta in alcuni casi la posizione e l’ambiente (le relazioni) che si sono lasciati sull’onda del “cambiare a tutti i costi”. In più ci sono tutti quelli che in nome della conciliazione vita-lavoro e della ricerca della flessibilità si sono buttati al motto “cambiamo per una nuova vita”, ma hanno poi trovato difficoltà a ricollocarsi. E poi c’è la rottura di un tabù. “Fino a quattro anni fa le aziende si vantavano di turnover bassissimi. Oggi abbiamo capito che si può cambiare, perché quando si fanno le stesse cose per anni si perde in creatività e stimoli.La tragedia è cambiare la prima volta, ma una volta fatto è facile ripeterlo”, continua Bonomi.

Oltre ai fuggitivi e ai pentiti ci sono altre due categorie sotto i riflettori. Sono raddoppiati (dal 6% al 13%) i Job Creeper: i dipendenti dal lavoro, quelli che non riescono a smettere di lavorare e lo fanno in momenti che dovrebbero dedicare alla propria vita privata. “Il lavoro è una fuga dalle fragilità, sicuramente aumentate in questi anni, con un impoverimento dei legami. Il lavoro è riconoscimento sociale ed è per molti un modo per non occuparsi degli altri aspetti della propria vita, di riempire un vuoto”, spiega Bonomi.

Resta stabile (12%) il numero dei Quiet Quitter (12%), i lavoratori abbandonatori silenziosi, che fanno il minimo indispensabile, senza essere coinvolti emotivamente nelle attività che svolgono.“Questo è un dato molto preoccupante. Sono tutti i lavoratori che vorrebbero cambiare, ma non riescono. Sono quelli che non sono gratificati, ma non riescono a svincolarsi e quindi si proteggono relegando il lavoro al minimo e cercando la felicità fuori. Chi non riesce a posizionarsi qui finisce in bornout. In più queste persone lavorano con minor passione e creatività e questo è anche un danno economico, che pesa ancor più della minor produttività”, commenta Bonomi.

Non sorprende dunque il clamore che ha sollevato in tutto il mondo il video di Qu Jing, la manager a capo delle pubbliche relazioni della cinese Baidu. Ha criticato apertamente i dipendenti che rifiutano i lunghi viaggi d’affari spiegando chiaramente le sue priorità: “Non ho alcun obbligo di sapere se i dipendenti stanno male, né di considerare le loro famiglie, poiché non sono la loro madre. Se non sei soddisfatto del tuo lavoro, puoi dimetterti. Lo approverò immediatamente”. “Bisogna cambiare paradigma economico. Al centro abbiamo messo la produttività, la finanza, la competitività. Vanno rimesse al centro le persone e l’equilibrio tra vita lavorativa e professionale”, conclude Sabrina Bonomi.Eh sì, dopo la pandemia, sembra esserci la ricerca della felicità, dietro tutte le mosse nel mondo del lavoro. Che si sia pentiti, in fuga, dipendenti dal lavoro o abbandonatori silenziosi.

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Cristina Colli