Il sonno della politica risuscita i mostri della politica
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Il sonno della politica risuscita i mostri della politica

La nomina dei '10 saggi' ha somministrato alla crisi una dose di cloroformio

"Aprile, dolce dormire" recita un vecchio adagio popolare. Dopo che Giorgio Napolitano, con la nomina dei 10 «saggi», ha somministrato alla crisi una buona dose di cloroformio, l’impressione è quella di essere testimoni di un letargo indotto per la politica. L’unico risveglio davvero poco gradito è la riproposizione del governo dei peggiori, il governo Monti, di cui non si sentiva assolutamente la necessità.

Avere risuscitato il Professore ed essersi inventati i «consulenti» è stata la migliore medicina per nascondere i guai del Partito democratico, prigioniero del no alle larghe intese nel nome di un antiberlusconismo viscerale e di un innaturale corteggiamento a Beppe Grillo, respinto fra l’altro dall’interessato con arrogante disprezzo.

Con tutto il rispetto che meritano le storie professionali dei saggi, si sa già che il
risultato dei loro incontri è destinato a rimanere una nobile carta d’intenti: «Produrranno
un lavoro simile a un bell’articolo di fondo del Sole 24 Ore» ha sintetizzato assai perplesso Silvio Berlusconi. E, volendo rimanere al giornale della Confindustria in termini di metafora, oggi sarebbe più che mai il momento di ristampare quel «FATE PRESTO» in caratteri cubitali che il quotidiano scolpì nel novembre 2011 sulla prima pagina in pieno impazzimento dello spread.

Perché oggi più che mai (come implora ogni imprenditore o commerciante, dipendente o lavoratore autonomo) c’è da sbrigarsi per fermare l’infamia delle tasse. E invece nell’Italia
strozzata da un credito asfittico dove ogni giorno chiudono negozi e alberghi a causa dell’Imu, dove imprese e ditte individuali alzano bandiera bianca nell’attesa di ricevere i pagamenti dalla pubblica amministrazione, siamo al paradosso di discutere di nuovi balzelli come la Tares che si rivelerà un ulteriore, insostenibile salasso. E tutto questo dopo essere stati flagellati dagli aumenti sulle addizionali regionali e comunali, da prelievi di stato modello cipriota mascherati da nuove imposte direttamente sui nostri conti correnti, dal blocco delle rivalutazioni delle pensioni, dall’inasprimento del carico fiscale generale che ci colloca oltre ogni umana sopportazione. Una follia fiscale mai vista a nessuna latitudine del globo.

Se un messaggio era arrivato forte e chiaro dalle urne, era che mai più, mai più, gli italiani avrebbero voluto Mario Monti come presidente del Consiglio. E invece eccolo ancora lì, nonostante l’umiliante bocciatura, rilegittimato a procurare altri danni non tanto da una insolita «prorogatio» concessa da Napolitano quanto dall’insipienza di un Pd che ha buttato alle ortiche l’occasione storica di vedere a Palazzo Chigi un suo segretario democraticamente eletto e non messo lì grazie a una congiura di palazzo.

Con queste premesse, c’è poco da stare fiduciosi in vista delle elezioni del nuovo presidente della Repubblica. Se, per compiacere i grillini, il Pd vorrà dissacrare anche la più alta carica dello Stato appoggiando la candidatura di una personalità «contro» (contro il Cavaliere e contro i moderati), il Paese, già esasperato dalle tasse, sprofonderà in un pericolosissimo muro contro muro. Davvero Pier Luigi Bersani vuole essere ricordato
dalla storia in modo così irresponsabile e miserevole?

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Giorgio Mulè