Grillo, Renzi e la politica dei due forni
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Grillo, Renzi e la politica dei due forni

L'apertura a sorpresa del M5S sulla legge elettorale apre scenari inediti. Ma il premier non punti a giocare su troppi tavoli. I precedenti non depongono a suo favore

«Se Matteo Renzi ritiene che la legge M5S possa essere la base per una discussione comune, il cui esito dovrà comunque essere ratificato dagli iscritti al M5S, Renzi batta un colpo. Il M5S risponderà». È domenica mattina, a poche ore dalla straordinaria vittoria ai Mondiali degli azzurri di Balotelli e Darmian, quando Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio pubblicano a sorpresa sul blog un’apertura di credito (la prima, dacché il M5S è sbarcato in parlamento) all’uomo che fino al giorno prima veniva definito da Grillo stesso «l’ebetino di Firenze»: il Fonzie salito a Palazzo Chigi grazie a quello che il professor Becchi ha definito e continua a definire il «colpo di stato permanente» organizzato a Francoforte e sul Colle più alto per tenere fuori il popolo dalla stanza dei bottoni.

«E ora? Ora sono avvenute due cose che hanno cambiato lo scenario: il M5S ha una legge approvata dai suoi iscritti (e non discussa a porte chiuse in un ufficio del Pd in via del Nazareno) e Renzi è stato legittimato da un voto popolare e non a maggioranza dai soli voti della direzione del Pd» riconosce lo stesso Beppe Grillo in quello che potrebbe passare alla storia come il post che archivia una fase - quella rivoluzionaria - e ne apre un'altra, all'insegna del dialogo, della tattica e del possibile compromesso, come già accadde alla Lega Nord di Umberto Bossi all'indomani del ciclone Tangentopoli, nella prima metà degli anni 90.

È presto però per dire che cosa potrebbe accadere ora, se quella di Grillo sia solo una tattica di breve respiro per stanare l’avversario (come quando tirò fuori dal cilindro il nome di Stefano Rodotà, ex presidete del Pds, per mettere in imbarazzo i democratici) oppure un autentico scongelamento delle truppe grilline in parlamento, dopo un anno di muro contro muro e di no a oltranza al «partito unico» nella convinzione di Grillo (rivelatasi errata) che l’Italia avrebbe fatto default in autunno e che – per conquistare il potere – il M5S avrebbe dovuto solo aspettare il cadavere dell’avversario sulla riva del fiume.

È possibile che ora si apra una nuova fase di tentativi di abboccamento a cui seguono improvvise gelate. Prova ne sia il vivace dibattito scatenatosi, poche ore dopo l’apertura grillina,  sull’opportunità che l’incontro tra Pd e M5S possa avvenire in streaming, una delle bandiere di Grillo che ora ha raccolto per ironia della sorte - «visti i precedenti con i 5 Stelle» - il segretario de facto del Pd renziano, Lorenzo Guerini, e  al contrario lasciato cadere il vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio («non è essenziale»).

Quello che invece appare plausibile, già oggi, è che Renzi punti ad approfittare di questa apertura di Grillo (dopo quella di Salvini) per giocare su due tavoli (quello del patto del Nazareno con Forza Italia e quello che potrebbe aprirsi ora con i 5 Stelle) facendo diventare ancora più centrale il ruolo del Pd nel sistema politico italiano. Una nuova balena, non bianca ma rosa. «La politica dei due forni», la definiva in tempi non sospetti Giulio Andreotti. Però, attenzione: chi punta a prendere tutto il banco in politica, come sul tavolo verde, prima o poi, si ritrova con un pugno di mosche in mano. E il premier, che è un figlio di un potente capataz toscano della Democrazia cristiana degli anni 80, questo dovrebbe saperlo.

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Paolo Papi