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«I giovani migranti irregolari e soli sono una bomba ad orologeria»

Ciro Cascone, ex procuratore del Tribunale dei Minori di Milano interviene sulle polemiche in merito allo stupro del branco di egiziani a Catania

Dopo l’orribile stupro avvenuto in Villa Bellini a Catania, dove una 13enne è stata abusata da un branco composto da sette giovani egiziani, scatta l’allarme riguardo ai reati commessi da minori stranieri non accompagnati e verso il fenomeno delle baby gang, in costante aumento.

Negli ultimi anni, infatti, abbiamo assistito a un'esplosione dei reati commessi da minori provenienti da contesti di disagio sociale e migratorio, spesso causato dalla mancanza di una rete di supporto familiare e sociale. Questa mancanza, unita alla ricerca di appartenenza e identità, spinge molti ragazzi verso comportamenti criminali e sulla strada delle devianze giovanili. Ne abbiamo parlato con l’ex procuratore del tribunale dei minori di Milano, Ciro Cascone oggi avvocato generale della Repubblica della corte di appello di Bologna.

Cosa ne pensa dei reati commessi dai minori stranieri non accompagnati?

«Bisogna fare una distinzione: in Italia, ci sono tanti ragazzi stranieri, divisi i minori non accompagnati e figli di genitori immigrati, quest’ultimi non differiscono dai ragazzi italiani. I minori non accompagnati invece da anni ripeto, che sono una bomba ad orologeria. La legge 47/2017, (art.10) che riconosce i diritti ai minori accompagnati, non garantisce la loro presa in carico. Questi minori vengono messi su un barcone e mandati in un altro Paese a vivere; affrontano il trauma migratorio ed in balia dei trafficanti, giungono dopo settimane in Italia e la legge, che sulla carta garantisce tante belle cose non fa nulla per integrarli. Mancano le risorse e dei percorsi in grado di accompagnarli nella nostra cultura.Negli ultimi due-tre anni, c’è stata un'esplosione di reati commessi da loro, perché sono aumentati gli sbarchi. Al comune di Milano, ogni giorno, arrivano dai 20 ai 30 minori chiedono accoglienza e non la trovano. Dopo qualche giorno, vengono messi in comunità, ma nessuno li segue».

Quindi cosa succede?

«Penseranno che l’Italia è un Paese dove è consentito tutto, anche toccare le donne, rubare e rapinare. Vengono poi arrestati, pagano per i loro reati. Il problema è che le politiche sociali sono sempre peggiori, e dovrebbero prevenire i reati che commettono seguendoli. Noi abbiamo sempre valutato questi casi con serietà e durezza, ma serve prevenzione. Sono chiusi virtualmente in gabbie, pronti ad esplodere».

Cosa può dirci del fenomeno della violenza di gruppo?

«Dopo 20 anni di giurisdizione minorile, posso dire che il fenomeno delle baby gang, in generale o meglio delle devianze nei giovani in gruppo, oltre ad essere molto diffuso, è in forte aumento. Questa minoranza di ragazzi deviati, anziché impegnarsi in attività costruttive come ballare, giocare o impiegare il tempo in attività costruttive, commette reati. C’è poi da precisare che non sono gruppi strutturati, e questo non significa che siano meno pericolosi. È una tendenza trasversale che incontriamo soprattutto in certe fasce sociali, dove esiste un disagio evidente, nelle grandi periferie».

Quali sono le cause?

«Sono varie le ragioni; sicuramente, il disagio sociale è un elemento scatenante. La grande assente in questi contesti che possono generare devianze è la scuola. La dispersione scolastica dei ragazzi produce vittime del degrado, che diverranno poi gli autori dei reati che leggiamo sulle cronache. La maggior parte non ha idea di cosa sia un progetto di vita. Sono anni che parlo di prevenzione; questi ragazzi vanno cercati prima che commettano reati, bisogna creare degli spazi: se non fanno nulla, si ritroveranno a fare altre cose. A Milano, non siamo stati indulgenti con i reati che commettono i minori in concorso con i maggiorenni. Noi interveniamo senza essere buonisti. La scuola, serve per formare un pensiero critico, insegna a pensare prima di agire, mentre i ragazzi oggi passano direttamente all’azione, che può essere uno stupro o un’aggressione».

Quali casi le sono capitati di violenza di gruppo?

«Mi sono capitati nella mia carriera nella magistratura tantissimi casi di violenza di gruppo, e lo schema è sempre lo stesso: la ragazzina ubriaca e stuprata alla festa o quella trascinata dal gruppo come nel caso di Catania. Gruppi che si sentono impunibili e vorrebbero frazionare le loro responsabilità, ma pagano con la reclusione nei carceri minorili, con pene anche da 5 a 10 anni».

È un fenomeno nuovo?

«No, non lo è c’è sempre stato ma oggi è certamente cresciuto ed è più amplificato attraverso la visibilità che offrono i social su certe cose. Il dato positivo è che ci sono più denunce».

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Linda Di Benedetto