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(Ansa)
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La baby gang dello stupro di Catania spiega il vero problema dell'immigrazione: l'integrazione

Giovani che non ne vogliono sapere di essere italiani, anzi, ci vedono come nemici. E non potrà che andare peggio

La terribile vicenda dello stupro ai danni di una 13 enne compiuta da una baby gang di ragazzi extracomunitari sta facendo discutere. Sono molti quelli che sottolineano proprio il fatto che sempre più spesso queste bandi criminali di giovani non italiani siano i protagonisti di fatti di cronaca. Difficile e forse sbagliato sostenere che questo genere di episodi siano colpa sempre e solo di organizzazioni di ragazzi stranieri. Ma di sicuro le storie di questi ragazzi, le loro vite, raccontano cose già sentite. Ricordiamo ad esempio i fatti del capodanno di due anni fa a Piazza Duomo di Milano con un altro stupro e molestie verso alcune ragazze italiane compiuti, anche questi, da gang di extracomunitari. L’inchiesta portò alla luce le stesse dinamiche sociali, personali e familiari che oggi leggiamo per gli stupratori di Catania.

Fatti come questi dimostrano il fallimento dell’idea di integrazione, cosa ben diversa dal concetto di immigrazione.

Questi ragazzi non si sentono italiani, non vogliono nemmeno esserlo. Non pensano a mischiarsi con gli italiani, al massimo li scelgono come obiettivi dei loro reati e delle loro aggressioni. Giovani che vivono in famiglia dal livello economico e sociale bassissimo, in quartieri dormitorio, spesso in case occupate. Un mix dove l’integrazione non riesce a farsi strada. restano quindi i quartieri separati, i mondi separati. Zone che diventano sempre più spesso dei ghetti, delle diramazioni dei loro paesi di origini (moschee abusive comprese che stano spuntando dappertutto in modo impossibile da controllare), piccole colonie a casa nostra.

Quello che puoi succede è la diretta conseguenza. 9 volte su 10 le vittime di reati compiuti da baby gang di stranieri sono proprio gli italiani. Non si attaccano mai tra loro stessi, cercano l’italiano perché banalmente viene visto (lui) com un nemico, come qualcosa di diverso. Invece di integrarsi quindi ci combattono.

Gli esperti di terrorismo islamico che si sono occupati dei grandi attentati degli anni passati di Parigi e Bruxelles raccontano di come le banlieu, i ghetti di e per stranieri che si formano nelle grandi città, siano il terreno più fertile possibile per la propaganda jihadista; basta soffiare sulla brace un po’ di odio, basta far credere ai giovani che nessuno li vuole, anzi, che sono visti come degli ospiti indesiderati ed il gioco è fatto.

D’altronde la colpa è di chi per anni ha propagandato il mito e la cultura dei porti aperti e dell’accoglienza. Concetti che però si esauriscono nel momento stesso dello sbarco, dell’arrivo in un porto italiano. Quello che succede dopo non interessa, nel bene e nel male. I dati sulla criminalità sono sotto gli occhi di tutti. In Italia gli stranieri sono il 32% della popolazione carceraria, sono gli autori del 31% dei reati per droga, il 31% dei reati contro la persona ed il 30% di quelli in famiglia. Numeri molto elevati se pensiamo che rappresentano solo l’8,5% dell’intera popolazione. Di fatto il tasso di criminalità degli extracomunitari, soprattutto se clandestini, è 5 volte superiore a quello degli italiani.

Viene poi da chiedersi perché l’integrazione sia così complessa. La risposta che riceverete da chi di questo si occupa ogni giorno è molto semplice: cultura e famiglia. I giovani pagato le scelte dei loro genitori che vivono da noi con le regole esistenti nei loro paesi di origine.

Il modello, come è stati gestito fino ad oggi, non funziona. Senza arrivare allo stupro di Catania o ad esempio al brutale omicidio di Saman, ammazzata perché scappava dal matrimonio combinato deciso dai genitori, sono le piccole cose della vita quotidiana che creano differenze, attriti ed astio tra due mondi diversi e separati. La domanda quindi è la seguente: perché accogliere chi in realtà ci detesta?

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Andrea Soglio