Fumo: il cervello rivela se chi ha smesso ci ricascherà
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Fumo: il cervello rivela se chi ha smesso ci ricascherà

L'astinenza provoca in alcuni individui cambiamenti che li rendono più vulnerabili e possono spingerli a riaccendere la sigaretta

Smettere di fumare innesca una serie di cambiamenti nel cervello osservando i quali è possibile identificare chi corre un maggior rischio di ricominciare. Lo sostengono i ricercatori dell'Università americana Penn Medicine che in un articolo apparso su Neuropsychopharmacology spiegano quali caratteristiche sono predittive di successo e quali fanno prevedere il fallimento.

Gli autori hanno preso 80 fumatori tra i 18 e i 65 anni, che dichiaravano di fumare da più di 6 mesi più di 10 sigarette al giorno e li hanno sottoposti a risonanza magnetica funzionale due volte: immediatamente dopo aver fumato e 24 ore dopo aver smesso di fumare. Dopo una breve consulenza sulla cessazione del fumo, i partecipanti hanno fissato una data target nella quale avrebbero smesso di fumare. Sette giorni dopo quella data sono stati sottoposti a una visita per verficare, anche tramite un test delle urine, se erano effettivamente riusciti a resistere.

Basta una settimana

Studi svolti in precedenza suggerivano che se una persona è libera dal tabacco per sette giorni, probabilmente lo resterà per almeno sei mesi, se non di più. Un'astinenza della durata di una settimana è quindi altamente predittiva di successo a lungo termine. A una settimana dall'ultima sigaretta, 61 partecipanti avevano già ripreso mentre solo 19 avevano resistito senza fumo. Quello che gli autori volevano scoprire era quali modificazioni avvenute nel cervello rendevano più probabile ricascare nel vizio.

"Questa è la prima volta che i cambiamenti nella memoria di lavoro indotti dall'astinenza hanno dimostrato di poter prevedere con precisione la ricaduta nei fumatori", ha dichiarato l'autrice Caryn Lerman, professoressa di pschiatria e direttrice del Centro per la ricerca Interdisciplinare sulla Dipendenza da Nicotina della Penn. Di che cambiamenti si tratta? Coloro che avevano ricominciato a fumare presentavano una minore attività nella corteccia prefrontale dorsolaterale sinistra che controlla le funzioni esecutive, come la memoria di lavoro, rispetto ai partecipanti che erano riusciti a smettere.

Mancanza di autocontrollo

La memoria di lavoro è una funzione cognitiva essenziale, è quella che ci permette di imparare, perché ci consente di restare concentrati, di bloccare le distrazioni e quindi di portare a termine i compiti assegnati. In pratica chi non era riuscito a resistere risultava essere meno concentrato e quindi meno capace di autocontrollo. Gli aspiranti ex fumatori che ci erano ricascati mostravano anche una maggiore attività nella corteccia cingolata posteriore, solitamente più attiva quando le persone si trovano in uno stato "introspettivo" o "auto-referenziale".

Rispetto ad altri predittori clinici e comportamentali di possibili ricadute, oggi già a disposizione dei medici, come l'età, i risultati del Test di Fagerstrom per la dipendenza da nicotina e altri, l'analisi delle modificazioni cerebrali ha mostrato di fornire una precisione dell'81% contro il 73% degli altri metodi. Ovviamente l'uso su larga scala del neuroimaging non è clinicamente né economicamente proponibile, ma questi cambiamenti nella memoria di lavoro sono potenziali target per mettere a punto strumenti di valutazione migliori, in particolare per la recidiva precoce del fumo. E possono consentire di identificare bersagli terapeutici per terapie farmacologiche o interventi di altro tipo, per promuovere la cessazione del fumo.

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Marta Buonadonna