Filippo Turetta
(Ansa)
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Quale pena e condanna rischia Filippo Turetta

Filippo Turetta sta per essere estradato in Italia per rispondere dei reati di omicidio volontario aggravato e sequestro di persona. L'avvocato penalista Daniele Bocciolini risponde ad alcune domande in merito al percorso giudiziario a cui Turetta andrà incontro

Ora che Filippo Turetta è stato catturato per il brutale omicidio di Giulia Cecchettin e sta per essere estradato dalla Germania, inizia il suo percorso giudiziario. Turetta dovrà rispondere per il momento dei reati di omicidio volontario aggravato e sequestro di persona.

«Allo stato attuale delle accuse, Filippo Turetta non rischia l'ergastolo e se non cambia il capo di imputazione può ottenere anche il rito abbreviato che prevede ulteriori sconti di pena»-commenta l'avvocato penalista Daniele Bocciolini

Cosa può dirci delle accuse?

«A Turetta sono contestati i reati di cui agli artt. 575, 577 comma 2 c.p. ovvero omicidio volontario aggravato dall’aver commesso il fatto nei confronti di persona con la quale era legato da relazione affettiva e il reato di cui all’art. 605 c.p. ovvero il sequestro di persona per aver caricato sulla propria autovettura e contro la sua volontà la vittima, privandola delle sua libertà personale. Così contestato, trattandosi di una imputazione provvisoria, la pena massima prevista per il reato più grave ovvero l’omicidio è quella di 30 anni di reclusione essendo aggravato dalla “relazione affettiva”. Se dovesse restare questa la contestazione, non rischierebbe , quindi, l’ergastolo, ma la pena della reclusione fino a 30 anni».

Come potrebbero cambiare le accuse nei prossimi giorni?

«Si tratta ovviamente di un capo di accusa assolutamente provvisorio che potrebbe essere integrato e modificato nei prossimi giorni. In particolare, potrebbero essere contestate al Turetta le circostanze aggravanti dei motivi abietti e futili nonché della crudeltà e della premeditazione. Anche la contestazione di una solo di queste circostanze potrebbe far scattare l’ergastolo in caso di condanna».

Cosa può dirci della premeditazione come aggravante?

«In queste ore si parla molto della premeditazione perché sembrerebbero emersi alcuni elementi che potrebbero essere sintomatici. La premeditazione consiste, infatti, nel notevole lasso di tempo che passa tra l’insorgere del proposito criminoso e l’attuazione: deve passare del tempo e per tutt questo tempo il soggetto agente deve aver mantenuto questo proposito. Per questo si punisce più gravemente.A favore della premeditazione il fatto di aver con lui un coltello (forse più di un’arma bianca), del nastro adesivo, il denaro contante, i sacchi di plastica per occultare il corpo, nonché le ricerche effettuate su Internet in ordine a kit di sopravvivenza».

Ricorda qualche caso dove nonostante la crudeltà con cui è stata uccisa la vittima, il colpevole non è stato condannato all'ergastolo?

«Si, uno dei recenti casi e che ha fatto discutere è stato il processo per l’omicidio di Carol Maltesi. Nonostante l’estrema gravità dei fatti e la violenza inaudita posta in essere ai suoi danni, per un bilanciamento tra attenuanti e aggravanti, nemmeno lí c’è stata una condanna alla pena massima ovvero all’ergastolo. Una mia proposta sarebbe quella di escludere l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche in casi gravi come questo. Anche per evitare questi paradossi»

Nel nostro ordinamento i reati di genere non sono previsti. Qual è la sua opinione a riguardo?

«Nel nostro ordinamento non è presente un reato specifico, ovvero il reato di femminicidio nè una circostanza aggravante speciale del reato di omicidio quando è commesso nei confronti di una donna in quanto donna. Su questo ci sono state numerose proposte, ma non sono mai state approvate. Si potrebbe pensare di introdurre una circostanza aggravante tipica per questi reati di genere dal momento che i femminicidi sono all’ordine del giorno oramai anche tra i giovanissimi. Per questo a mio parere occorre agire di più in termini di educazione e prevenzione dell’autore del reato: non basta inasprire le pene. Anche la previsione del massimo della pena non funge più da deterrente. Le donne vanno protette, tutelate, prima e, soprattutto, dopo la denuncia. Troppo spesso diciamo: “denunciate, denunciate”, ma non in tutti i casi le donne hanno la concreta possibilità di farlo. Per questo è molto importante superare l’indifferenza. Nel nostro sistema si attribuisce sempre più importanza alla querela, che è esclusivamente rimessa alla persona offesa. Ma la violenza non è un fatto privato. In casi come questo, non bisognerebbe attendere che sia presentata una denuncia-querela. Da avvocato penalista, garantista per antonomasia, dico che è ora di inziare a garantire anche la vittima mettendola al centro. Andrebbe introdotta la procedibilità d’ufficio in modo che sia sufficiente qualsiasi iniziativa, da parte di terzi, a far scattare il procedimento penale».

Che può dirci del codice Rosso?

«Con il cd. Codice Rosso" (la legge 19 luglio 2019, n. 69) si è cercato di cambiare qualcosa soprattutto con riferimento ai tempi. Molto spesso in questi casi bisogna agire immediatamente. Il problema è quello di comprendere subito se la vittima corre davvero un pericolo concreto per la propria incolumità. Per questo, è stato previsto che il P.M., ove proceda per i delitti di violenza domestica o di genere, entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato, deve assumere informazioni dalla persona offesa o da chi ha denunciato i fatti di reato. Per questo motivo, è stata anche modificata la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, nella finalità di consentire al giudice di garantirne il rispetto anche per il tramite di procedure di controllo attraverso mezzi elettronici o ulteriori strumenti tecnici, come l’ormai più che collaudato braccialetto elettronico».

È efficace?

«Purtroppo, si è visto che troppo spesso il “Codice rosso” non veniva applicato. Per questo motivo, su iniziativa della Collega Giulia Bongiorno si è intervenuti per rafforzare il Codice rosso, anche perché 15 su 100 donne uccise avevano già denunciato. La norma, contenuta nel disegno di legge, prevede un’ulteriore ipotesi di avocazione delle indagini preliminari da parte del procuratore generale presso la Corte d’appello, che ricorre quando il pm, nei casi di delitti di violenza domestica o di genere, non senta la persona offesa entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato.Per evitare una sottovalutazione del pericolo e del rischio, dopo la denuncia, potrebbe essere introdotto l’obbligo di disporre una consulenza tecnica specifica proprio al fine di valutare la personalità di questi soggetti , così evitando errori di valutazione. Andrebbe poi intensificato l’uso del braccialetto elettronico. Considerato lo stato di dipendenza (anche economica) e di soggezione in cui vivono certe donne, non può essere rimesso tutto alla querela che in molti casi viene anche ritirata dietro paure e pressioni. Per alcuni reati si potrebbe pensare davvero di introdurre la procedibilità di ufficio».

In Italia sempre meno ergastoli per chi uccide le donne

Come anticipato dall'avvocato Bocciolini è difficile che l'ergastolo venga applicato. A dimostrazione di questo le sentenze di alcuni efferati omicidi come il recente caso di Carol Maltesi. I fatti risalgono all’11 gennaio 2022 quando il corpo di Carol fu fatto a pezzi e messo in alcuni sacchi dell’immondizia per poi essere ritrovato mesi dopo nel Bresciano. L’assassino Davide Fontana, 44 anni è stato condannato dal Tribunale di Busto Arsizio a 30 anni di carcere e non all’ergastolo (come chiedeva il pm). Secondo i giudici non vi fu premeditazione e nemmeno le aggravanti dei motivi futili o abietti e della crudeltà. E sempre per i giudici, il movente non è la gelosia: la ragazza era "disinibita". Un altro caso emblematico è lo sconto di pena per Antonino Borgia che il 22 novembre 2019, a Giardinello (Palermo), uccise con 10 coltellate la sua amante Ana Maria Lacramioara Di Piazza. La vittima aveva 30 anni e un bimbo in grembo. La corte d’Assise di Palermo lo aveva condannato all’ergastolo nella primavera del 2021. Mentre la corte d’appello ha ridotto la pena a 19 anni e quattro mesi. Un'altra sentenza recente invece riguarda il processo a Sergio Giana che ha inferto a Loredana Scalone 28 coltellate uccidendola, per poi occultare il suo cadavere tra gli scogli e tornare il giorno dopo per ripulire la scena del crimine. Su questo caso il 26 ottobre scorso la Corte d’Assise di Catanzaro ha condannato Sergio Giana, reo confesso, a 25 anni di reclusione, non accogliendo la richiesta della Procura che aveva chiesto l’ergastolo.

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Linda Di Benedetto