L'Europa senza frontiere non esiste
Il dramma dei migranti lo dimostra: il problema è l’incapacità di sentirsi un blocco unico rispetto alle minacce esterne
E se fosse l’idealismo il grande nemico dell’Europa? E se fosse la tara dell’utopia, della rincorsa emotiva del buonismo che in politica prende le forme e le parole della demagogia, a impedire di mettere in pratica, con la lucidità del pragmatismo, le misure adeguate all’impatto migratorio da Sud e da Est?
Voglio dire: adesso si parla tanto di Schengen, del fatto che l’idea di una Europa senza frontiere muore con i controlli istituiti da Germania, Austria e altri Paesi per arginare il flusso di immigrati illegali. In realtà, l’Europa muore se non è in grado di controllare le proprie frontiere esterne e si trova quindi in balìa, Stato per Stato, della violazione dei confini nazionali che pur esistono e continueranno a esistere, finché non vivremo in un vero spazio comune europeo, una federazione europea o Stati Uniti d’Europa retti da un governo federale con i poteri di un autentico esecutivo.
L’Europa della cui implosione ci lamentiamo in questi giorni non esiste ora e non esisteva prima. Abbiamo mai davvero creduto che esistesse un’Europa senza frontiere, che non fosse solo l’illusione di un passaggio in auto senza soluzione di continuità da Palermo a Copenaghen?
L’Europa dei nostri sogni e dei sogni di quelli che pomposamente nelle pubbliche apparizioni i politici europei chiamano “padri”, c’è mai davvero stata? O la potenza dell’assalto migratorio mette in luce proprio l’assenza dell’Unione? Che cosa mai dovrebbe implodere, se non la finzione di un continente dilaniato dalle divisioni e dall’assenza di una visione unitaria?
Quindi smettiamola di piangere sulla fine dell’Europa senza frontiere. E smettiamola di additare questo o quel Paese, questo o quel leader, se un giorno decide di aprire, un altro di chiudere i varchi d’ingresso.
Migranti: tutte le volte che Schengen è stato sospeso
La gestione delle frontiere si fa con l’intelligenza di governo di leader non accecati dalla pressione quotidiana della pubblica opinione o dall’esigenza di bilanciare l’autorità morale con quella politica. Chiudere una frontiera se è a rischio di essere travolta da un’ondata di immigrati illegali è una decisione di governo, prima ancora che un dilemma morale.
E non c’è nulla di “male” nella creazione di un filo spinato per impedire che un terrorista al giorno si faccia esplodere in casa tua o che l’assalto di migliaia di irregolari stracci le regole della sicurezza nazionale e minacci l’equilibrio interno. Chi poteva dubitare che Angela Merkel avesse deciso a un tratto di aprire le frontiere per riscattare l’immagine della Germania “nazista” settant’anni dopo e, al tempo stesso, alleggerire una situazione potenzialmente esplosiva in un momento di difficoltà “gestionale”? Chi poteva pensare che dietro quella decisione ci fosse altro che una scelta “opportunista”? Viva l’opportunismo, verrebbe da dire.
Il problema dell’Europa è l’incapacità di sentirsi un blocco culturalmente e politicamente unico rispetto alle minacce esterne. È la sua incapacità di essere Europa. Per inciso: lo dimostra anche il tempo che si è impiegato per decidere di usare la forza contro gli scafisti, e l’inconsistenza di questa decisione che si limita (diciamolo chiaramente) alla possibilità di fermare un gommone, mettere i salvo i profughi, arrestare i “passatori” (gli scafisti veri, i criminali veri, non s’imbarcano) e affondare un natante che sarebbe probabilmente affondato comunque. E nonostante l’irrilevanza di questa decisione, i singoli Paesi europei faticano a contribuire come promesso con navi e uomini (che infatti non bastano).
Basta con l’ipocrisia della fine dell’Europa di Schengen. Quell’Europa senza frontiere non c’è mai stata. Proviamo a limitarci a controllare le nostre frontiere (italiane), visto che gli altri stanno cercando di farlo con le proprie.