giulia cecchettin emulazione
(Ansa)
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La spettacolarizzazione di un crimine porta all'emulazione

Il caso di Giulia Cecchettin avrebbe dovuto portare a riflessioni serie, invece viene tutto gonfiato per dovere di audience tv. Ma questo scatena reazioni pericolose

I recenti fatti di cronaca hanno evidenziato come gesti che dovrebbero portare ad una riflessione, vengono spesso trasformati in un fenomeni di pura spettacolarizzazione con tutto quello che ne consegue. Un effetto che potrebbe verificarsi ad esempio è quello di comportamenti di natura imitativa, quello che viene definito “effetto copycat”, ossia il “crimine emulato”. In altri termini un certo tipo di copertura mediatica dei fatti di cronaca nera potrebbe avere la capacità di rendere più frequenti crimini simili a quelli di cui tratta, inducendo altri soggeti a imitarli. Per rientrare in questa tipologia di reati, un crimine deve essere stato ispirato da un precedente crimine divulgato, nella fattispecie devono essere presenti almeno un paio di crimini resi noti dai media. Il crimine emulato può essere motivato da un mezzo di comunicazione reale o immaginario o da una rappresentazione artistica in cui l'autore incorpora aspetti del reato originale, ad esempio, metodo, tecnica, scelta della vittima, o in un nuovo crimine.

La tecnologia dei mass media genererebbe una falsa familiarità, una linea sfocata tra fantasia e realtà, un regno virtuale all'interno del quale le razionalizzazioni e i sentimenti di colpa, che normalmente aiutano a mediare l'azione criminale, vengono assolti. La tecnologia dei mass media avrebbe cambiato il modus operandi degli elementi criminali nel corso della storia e gli attuali progressi tecnologici avrebbero cambiato l'ambiente fisico in cui si verifica il crimine. La tecnologia, in questi termini, sarebbe in grado di dare forma al comportamento criminale.

Il fenomeno dei copycat crimes è ad oggi ancora poco studiato, ma cercherò di identificare quali sono le potenziale caratteristiche che predisporrebbero al verificarsi di tale tipologia di azione criminosa.

A seguito della pubblicazione del romanzo “I dolori del giovane Werther” di Goethe, si assistette in Germania auna delle più importanti epidemie di suicidi tra i giovani. Un fenomeno analogo avvenne in Italia nel 1802, dopo la pubblicazionedel romanzo di Ugo Foscolo “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”. Questi episodi misero in rilievo un elemento caratterizzante buona parte degli atti suicidari, ossia l’imitazione. Viene infatti definito “effetto Werther” l’influenza esercitata sul suicidio dalla letteratura e dai mezzi di comunicazione. Il ruolo dei mass-media in epoca attuale è però cresciuto a dismisura. I continui cambiamenti e l’assenza di punti di riferimento stabili, complici una società edonistica centrata su modelli di riferimento fittizi, la mancanza di pensiero critico e la perdita di una cultura sociale di gruppo, possono predisporre l’individuo non particolarmente strutturato a una maggiore influenza esterna. Questi elementi potrebbero far propendere verso l’ipotesi che, l’effetto Werther, in epoca anteriore correlato solo al suicidio, possa ad oggi essere presente per differenti tipologie comportamentali devianti eterodirette. Sono state rilevate delle correlazioni relative ai casi di emulazione di condotte di natura deviante ove la notizia di cronaca abbia avuto più risonanza. Ma i media non sono tutto, la comunicazione passa attraverso altre piattaforme: i canali social, le applicazioni di messaggistica, i commenti degli utenti. Occorre quindi prendere atto di una doppia relazione in cui è immerso il flusso delle nostre decisioni comunicative considerando tutto quanto sta alle nostre spalle, con tutto ciò che si è sedimentato nella nostra cultura e nelle nostre coscienze, ma anche con tutto quanto si sta dipanando sotto i nostri occhi, riguardo alla trasformazione dell’ecosistema dell’informazione in cui viviamo. Al giornalismo compete un’assunzione di responsabilità fondamentale, anche se i giornalisti non sono gli unici soggetti chiamati a esercitare una maggiore consapevolezza. Ogni cittadino è utente, ma anche protagonista di questo flusso di informazioni e nessuno si può chiamare fuori e sfuggire alle proprie responsabilità.

Il fenomeno imitativo appena inquadrato deve però essere inserito all’interno di uno specifico quadro personologico in cui devono essere presenti delle condizioni specifiche affinché il processo imitativo passi da un piano di intento a un piano di azione. Un termine utilizzato per esprimere lo stesso malessere in una tonalità un po’ più cupa è quello di disadattamento, che designa una condizione di sofferenza cagionata dalla difficoltà, vera o presunta, di trovare all’interno del proprio ambiente di vita uno spazio proprio, coincidente con le aspettative e le ambizioni personali. La parola disagio racchiude in sé una molteplicità di situazioni, spesso differenti, accomunate dalla carenza di abilità sociali e dall’incapacità di prendere parte attiva nella comunità di riferimento e, conseguentemente, nella progettazione della propria vita. Si consideri che gli individui portatori di un disagio in senso lato possono relazionarsi con l’ambiente esterno in diversi modi: con una chiusura in sé stessi e conseguente creazione di ansie e nevrosi; oppure con atteggiamenti aggressivi, sfrontati, di sfida nei confronti di un mondo che, in qualunque modo stiano le cose, così come può cadere in forme di criminalità e microcriminalità. Il disagio e il disadattamento, pur presentandosi come espressioni di un malessere esistenziale, non conducono in senso stretto, all’assunzione di condotte criminali o di aggressività e violenza. È pur vero che chi vive l’ambiente esterno con sentimenti di rivalsa e rifiuto può con maggiore probabilità, ma senza alcun meccanismo automatico, sarebbe più predisposto a infrangere le regole di una società vissuta come ostile ed escludente. L’attore della condotta deviante illustrata dai media verrebbe così a rappresentare, per l’imitatore, la figura di un leader, solo in quanto passato agli onori della cronaca e quindi conosciuto e riconosciuto, percepito come una personalità forte e carismatica, capace di coinvolgere e motivare. Un leader in grado di colmare le proprie lacune in quanto vissuto come in grado di mantenere inalterato il contatto con la realtà, di gestire tutte le fasi esecutive del reato. Il processo imitativo consentirebbe quindi al soggetto che si sentirebbe manchevole di viversi finalmente come riconosciuto per mezzo dell’azione svolta, rispondendo al bisogno di sentirsi finalmente qualcuno fuggendo al timore di essere relegato all’oblio. La condotta deviante verrebbe così associata al concetto di reputazione, intesa come rispettabilità e ammirazione, rispetto e riconoscimento.

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Cristina Brasi