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(Ansa)
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Donne e stipendi, la parità che non esiste

Nonostante battaglie e conquiste il gender gap continua ad essere accentuato in Italia. Una differenza del 10% (almeno) che ha bisogno di altri 131 anni per essere colmata

Il capo è uomo e il collega maschio guadagna almeno il 10% in più. I dati diffusi in occasione dell’8 marzo parlano chiaro: il gender gap in Italia e nel mondo non migliora e ci vorranno 131 anni per raggiungere le pari opportunità di genere, 169 anni se si guarda al solo campo economico (Global Gender Gap Report). Una questione di diritti, di legalità ed economica, visto che la parità di genere, anche solo del tasso di occupazione, porterebbe ad un aumento del Pil di dodici punti.

In Italia, dati Eurostat, solo una donna su due, tra i 20 e i 65 anni, lavora. Il tasso di occupazione è al 51,1%, contro il 64,9% della media europea. È al 77% in Germania, al 65% in Francia e al 56% in Grecia. L’inattività femminile nel nostro Paese è il 43,6% mentre in Europa in media è il 30%.

E quando le donne lavorano ecco che il gender gap si vede negli stipendi. Le lavoratrici guadagnano in media il 10,7% in meno dei lavoratori (indagine Odm Consulting). Un dirigente prende circa 125.993 euro lordi l’anno. Una dirigente 109.707 euro lordi. Vuol dire una differenza del 12,9%. Un’impiegata guadagna circa 33mila euro annui, contro i 37mila di un impiegato (-12,2%). Per i quadri la differenza è del 5,9%, per gli operai del 10%. Secondo i calcoli dell’Istat le donne italiane hanno una retribuzione oraria media di 15,2 euro, mentre gli uomini di 16,2 euro. E il gender gap dello stipendio “risulta piccolo dopo l’università, ma si allarga successivamente, soprattutto dopo la nascita di un figlio”, fa notare sempre Claudia Goldin, premio Nobel per l’economia 2023. In questo senso spicca l’Italia dove le donne dedicano 90 minuti al giorno alla “casa”, contro la media di 20 minuti del resto d’Europa, con evidenti ripercussioni sul lavoro.

Per quanto riguarda la carriera, nelle aziende è cresciuta la presenza di donne nei consigli di amministrazione, arrivando al 43%. Ma meno del 5% ha ruoli esecutivi e solo il 2% è amministratrice delegata. Negli enti locali non va meglio. Qui le donne sono 1,9 milioni e gli uomini 1,3 milioni (Centro Studi Enti Locali sui numeri della Ragioneria dello Stato del 2021). Significa che il 56% dei lavoratori nel settore è donna. Ma guardando ai vertici si scopre che il 59% dei capi è uomo. In nessuna Regione i ruoli apicali sono ricoperti prevalentemente da donne, pur essendo in numero maggiore.

Il divario di genere è una questione mondiale. Le donne in media guadagnano 77 centesimi per ogni dollaro guadagnato dagli uomini. E in 92 economie mondiali mancano leggi per la parità salariale e parità di lavoro. L’Italia, secondo il Global gender gap report, è settantanovesimo posto della classifica che misura come 146 Paesi stiano cercando di colmare il gender gap. Guardando solo alla questione economica (tasso di occupazione e salario) il nostro Paese scivola in classifica: 104esima posizione.

Eppure, le leggi ci sono no? Qui ci risponde la Banca Mondiale con uno studio fatto espressamente sul divario tra le riforme legali e i risultati effettivi. La ricerca ha preso in considerazione 190 economie mondiali. Tre i parametri: retribuzione, diritti genitoriali e tutela del posto di lavoro. Risultato? Le donne godono in media solo del 64% delle tutele legali di cui godono gli uomini. Le leggi ci sono, ma non vengono applicate. Per esempio, 98 Paesi hanno adottato leggi che impongono la parità salariale, ma solo 35 hanno messo in pratica anche le misure che rendono applicabili e controllabili le norme. L’Italia in questo studio risulta essere “bravissima” dal punto di vista giuridico. 95 punti su 100. Quindi i sostegni giuridici ci sono. Ma guardando all’attuazione l’Italia ottiene 65 punti su 100. Le donne italiane hanno i diritti, ma godono solo del 68,8% dei loro diritti. Ci sono Paesi, come la Norvegia, dove i diritti per le donne ci sono e sono goduti al 97,5%. Numeri incontrovertibili: la certezza è che quei 131/169 anni per sconfiggere il gender gap suonano ancora molto realistici.

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Cristina Colli